LA MANUTENZIONE DELL’AMORE
Ma a un tratto le domande cambiano.
Quale è il gruppo preferito di tuo figlio? Dove si sono
conosciuti papà e mamma? Dove sono andati in viaggio di nozze? Dove lavora la
mamma? Di che cosa si occupa esattamente papà? Che cosa faceva il nonno prima
della pensione? Qual è la canzone preferita di tua figlia? Il libro preferito
di tua sorella? Il sogno di tuo fratello? Perché papà e mamma ti hanno chiamato
così? Sai rispondere a queste domande semplici?
Tempo fa lessi un libro, molto pragmatico e semplice, di Gary
Chapman, un consulente familiare: I cinque linguaggi dell’amore. L’autore
spiega che ciascuno di noi impara a riempire il proprio «serbatoio dell’amore»
da bambino, sulla base dei cinque possibili modi in cui l’amore viene trasmesso
nelle relazioni. Li usiamo tutti e cinque, ma
ognuno ha la sua classifica e dà amore nel linguaggio con cui lo ha ricevuto,
sicuro che anche l’altro parli lo stesso, ma non è così.
Spesso una relazione (di coppia, d’amicizia, educativa...) non
cresce perché le persone non usano l’uno il linguaggio dominante dell’altro:
ciascuno fa il suo discorso amoroso che, per quanto sincero, l’altro non riesce
a recepire, perché è sintonizzato su un’altra stazione.
Tante relazioni si rovinano, benché ci sia impegno, semplicemente
perché non si parla la lingua altrui, convinti che la propria sia l’unica.
Ecco i cinque linguaggi.
1) Parole di incoraggiamento: tutta l’area delle parole di
conforto e rassicurazione («figlio mio, sono fiero di te», «figlia mia, se
potessi scegliere tra tutti i ragazzi del mondo sceglierei te», «sei una moglie
eccezionale», «caro, hai fatto un lavoro perfetto»...).
2) Momenti speciali: vicinanza e ascolto esclusivi
(eliminando ogni distrazione: cellulare, tv, giornale...), insomma dialogo con
contatto visivo costante, senza interrompere, osservando il linguaggio del
corpo altrui, chiedendo chiarimenti e il permesso per dire la propria opinione.
3) Doni: non grandi regali ma piccole cose e gesti frequenti
e sentiti, cioè personalizzati (un biglietto affettuoso, un fiore inaspettato,
un piatto speciale, una canzone azzeccata...).
4) Gesti di servizio: partecipare ai lavori di casa e non,
gratuitamente, facendoli insieme (dalla lavatrice ai piatti, dal mettere i
panni sporchi nella cesta a sparecchiare la tavola, dalla spazzatura alla
spesa...).
5) Contatto fisico: gesti affettuosi, da una carezza data senza
motivo a un abbraccio quando si rientra a casa, da un bacio sugli occhi stanchi
la sera a uno sulle labbra uscendo di casa, dal prendersi per mano in pubblico
al saper ascoltare il corpo dell’altro nell’intimità amorosa.
Chiaramente ogni linguaggio va adattato al tipo di relazione
e all’età delle persone: saper amare in fondo è imparare ad usare tutti i
linguaggi con naturalezza.
Avendo ognuno di noi uno o due linguaggi privilegiati, se
non conosciamo quelli delle persone vicine, anche se li «amiamo», non
riusciremo a farli «sentire amati». Anzi magari ci e li colpevolizzeremo se non
rispondono, ma stiamo semplicemente parlandolingue diverse. Se l’amata
preferisce il «tempo di qualità» un uomo non può cercare sempre e solo il
«contatto fisico». Se un figlio ha bisogno di «parole di incoraggiamento » non
serve sbrigarsela facendogli «doni».
Sono esempi generici: occorre osservare, chiedere, provare,
e poi stilare la graduatoria dei cinque linguaggi, propria e di ciascuno, per
impegnarsi a usare quello adatto a riempire il serbatoio dell’amore altrui, uscendo
dal proprio modo di amare e imparando anche gli altri: questo fa maturare sé e
la relazione. Ho alunni a cui serve una mano sulla spalla, altri a cui fa bene
un «sono fiero di te», ad altri devo regalare un libro e ad altri ancora
offrire un caffè a tu per tu. Ognuno può ricevere amore solo nella lingua in
cui riesce a comprenderlo: la porta delle persone si apre solo con la chiave
adatta alla loro storia, non esiste il passepartout.
E la persona, nella sua unicità, emerge e si consolida solo
quando si sente dare del tu dall’amore.
Quando i miei genitori hanno festeggiato un importante
anniversario di matrimonio, noi figli abbiamo recuperato, da una scatola che
ritenevano ben nascosta, le loro lettere. Le abbiamo rilegate in ordine
cronologico in un libro che abbiamo regalato loro. Noi figli non le abbiamo lette
(o quasi...), per rispetto della loro intimità, ma quelle righe, scritte a mano
con cura e trepidazione, erano la futura storia di ciascuno di noi.
Non sarà possibile farlo con le mail e i messaggi WhatsApp, a
meno che non decidiamo di prendere carta e penna. Avete mai scritto una lettera
(magari a mano) a vostro figlio, ai vostri genitori? Io lo consiglio sempre a
chi non riesce a confidarsi faccia a faccia. Una mail dopo un po’ non si
rilegge e non si conserva, al contrario di una lettera scritta a mano. Queste
sono «le basi della vita» e richiedono una calma creativa. In questo nostro tempo,
troppo veloce e ingolfato, forse proprio per zittire l’urlo del cuore vuoto,
così come per pensare bisogna fermarsi a pensare, per amare bisogna fermarsi ad
amare.
Il letto da rifare è trovare il tempo, un poco ogni giorno, per
immaginare, e poi realizzare, un gesto quotidiano per ogni relazione
fondamentale, in base al linguaggio dell’amore principalmente usato dell’altro.
La manutenzione dell’amore si fa con gli strumenti giusti, e così l’amore
cresce, altrimenti, pur con tutte le buone intenzioni, l’improvvisazione e la
routine ne diventano la fatale manomissione.
Tratto da LA MANUTENZIONE DELL’AMORE di Alessandro D’Avenia
- Corriere della Sera Lunedì 14 Gennaio 2019
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