"Cosa voglio conservare nella mia vita?"
Ho
letto le riflessioni di Antonio Errico pubblicate dal QUOTIDIANO di oggi 6
agosto 2023. Le preoccupazioni del prof. Errico, pur legittime, sono facilmente
fugabili se osserviamo che come facciamo a mutare la nostra cultura.
Per
riflettere insieme possiamo osservare le basi biologico-culturali del
comportamento umano, applicabili a qualsiasi stile di vita che ci porteranno a dove
vogliamo andare, secondo le nostre riflessioni, secondo i nostri approcci.
Faccio
riferimento a ciò a cui tendo ovvero “al candore del bambino che fa domande” e per
farlo c’è la necessità di "saltare le certezze e godersi le
conversazioni" perché "viviamo in una cultura dove uno ascolta
aspettando che l'altro dica quello che pensa".
Ascoltiamo?
Noi "siamo tutti ugualmente intelligenti dalla praticità del
linguaggio", e la nostra l'intelligenza è la "capacità e flessibilità
di fronte a un mondo che sta cambiando".
Noi
possiamo ascoltare in due modalità diverse:
1. modalità uno (pregiudizio, che chiude gli spazi per
la conversazione);
2. e in modalità due (aprendo gli spazi per una
conversazione riflessiva e collaborativa).
Questo
secondo ascolto è amorevole, è co-ispirazione. "La creatività nasce dallo
spazio relazionale in cui viviamo."
Se
hai fiducia, la creatività è aperta. Invece in uno spazio di controllo, ci
sentiamo meno creativi perché abbiamo paura, aspettando di soddisfare le
aspettative del capo.
"I
sostantivi nascondono i verbi." L'amore (statico) non è lo stesso
dell'Amore (dinamico, fluido). La riflessione è fermarsi dove si è - e chiedersi, se si è dove si è, per curiosità
o per dolore. “La riflessione cambia il mondo”, per questo istintivamente
diciamo: “Non ci voglio nemmeno pensare”.
Nella
multidimensionalità dell'abitare, la prima che ci insegna a farlo è una persona
(donna, madre, nonna, con il compito di conversare). "Siamo responsabili
di ciò che diciamo, ma non di ciò che gli altri sentono".
L'origine
dell'essere umano è la conversazione. “Quando ascoltiamo, diventiamo più
sensibili”, perché è il nostro modo naturale di vivere. "Siamo un successo
sistemico ".
Come facciamo a cambiare? Conservazione,
trasformazione e cambiamento:
"Tutto cambia e si trasforma intorno a ciò che si conserva".
"Niente accade nel cosmo perché deve accadere." Pertanto, "il
cambiamento fondamentale è ciò che viene preservato".
L'albero non è nel seme.
Possiamo
fare la distinzione tra organizzazione (dal greco 'organi', strumento) e
struttura (dal latino 'estrúdere', costruire). Gli esseri viventi sono
organizzazioni con una struttura variabile. Ed esistono in due domini: le
dinamiche interne (la realizzazione del vivere) e lo spazio relazionale, che
sono domini disgiunti. Il primo dominio è la fisiologia; il secondo dominio è
il comportamento o il sistema relazionale. Essere vivi è un sistema
autopoietico.
L'osservazione
avviene solo nello spazio umano, avviene nel linguaggio.
La menzogna è una dinamica
relazionale e avviene nel presente. L'errore invece riusciamo a verificarlo
solo successivamente; la verifica avviene solo dopo averlo commesso. Se si
punisce l'errore, si verificano negligenza e bugie. La menzogna, l'errore e la
negligenza sono rivelatori di vita.
Voglio
concludere con una domanda forte: "Cosa voglio conservare nella mia
vita?"
Buona
riflessione
Letture
UN PENSIERO “IBRIDO” PER
IL TEMPO CHE CAMBIA
Antonio ERRICO
In natura e in cultura indietro non si torna. Mai. Nessuno sa dire se in natura accada in qualche recesso
remotissimo dell’universo sconosciuto. Ma in quello conosciuto, su questa Terra,
non accade mai. Il passato si rielabora, si ristruttura, si riconfigura, ma non
si ripristina, (...)(...) alla condizione della ciclicità. Le civiltà hanno
mutamenti a volte lenti, a volte rapidissimi, che richiedono una calibratura delle
conoscenze e delle competenze, vale a dire molteplici modalità di lettura e di
interpretazione dei fenomeni e delle storie che attraversano il mondo, che
pretendono nuove visioni, nuove metodologie di organizzazione del pensiero,
nuove categorie.
La
sola cosa che conta, nell’ambito dei processi di cambiamento, è fare in modo di
non subire le forme, i modelli, le idolatrie, le finzioni, i linguaggi, ma riuscire
a governarli in ogni contesto. Quello che accade è una relazione fra passato e
futuro che si rende concreta con il passaggio attraverso il presente, che si pone
come causa di un nuovo e diverso progetto, di un’altra cultura che propone
forme e modelli e linguaggi differenti dai precedenti, molto spesso non ancora assimilati,
soprattutto non ancora rapportati alle esistenze. Ma si deve imparare a capire
quali sono le cose che sono progresso e sviluppo da quelle che ne costituiscono
soltanto un’apparenza.
Bisogna
imparare a capirlo in tempo, attraverso l’integrazione degli elementi della cultura
alla quale si appartiene con quelli della cultura che sopraggiunge.
Verranno
mutazioni culturali: profonde, radicali. Lo sappiamo bene, e sarà un gran bene
che vengano, probabilmente.
Una
cultura che non riformula se stessa continuamente, infiacchisce e muore.
Le
cose cambieranno. Forse non più di quanto cambiano ogni giorno. Avremo
mutazioni. Forse non più di quante, formali e sostanziali, ne abbiamo avute nel
Novecento e di quante ne abbiamo. Cambierà la nostra esistenza. Forse non più e
non meno rapidamente di quanto è cambiata negli ultimi tempi e di quanto cambia
in questo presente. Se sarà meglio, se sarà peggio, non possiamo saperlo.
Quelli che sono ottimisti sempre e comunque dicono che il cambiamento che si è
verificato negli ultimi tempi è stato in meglio, indubbiamente.
Hanno
ragione. Quelli che sono pessimisti sempre e comunque dicono che il cambiamento
che si è verificato è stato in peggio. Hanno ragione.
Quelli
che si soffermano a riflettere un poco, ad analizzare i fatti, i fenomeni, le
storie, a fare il conto dell’impresa e della spesa, dicono che è cambiato un po’
in meglio e un po’ in peggio. Hanno ragione anche loro, forse più di quanto ne
abbiano gli ottimisti e i pessimisti.
Ma
con le mutazioni che verranno si dovrà essere in grado di stabilire un
confronto critico e dinamico.
Non
basterà saperle determinare; sarà indispensabile anche saperle gestire, con equilibrio
e saggezza, perché non ci travolgano. Le mutazioni della cultura si governano
esclusivamente con il pensiero perché è il pensiero che le realizza. Allora
avremo bisogno di un pensiero diverso; ne abbiamo già bisogno. Una
conformazione di pensiero che sia in grado di non accogliere ogni cosa
indiscriminatamente, che sia capace di selezionare e di decidere che cosa produce
il meglio e che cosa produce il peggio, senza ottimismi o pessimismi stabiliti
a priori. Si avrà bisogno di un pensiero che non si pone in modo servile nel
confronti delle macchine, per esempio, che va oltre le delimitazioni, quando
deve, ma che sa anche fermarsi sulla soglia dell’oltre quando intuisce che
scavalcarla non è giusto, non è meglio. Allora è un pensiero che combina sapientemente
la razionalità con l’intuizione, la prudenza con l’imprudenza calcolata, la
fantasia con la fattibilità, il calcolo con l’azzardo, il rigore con lo
stupore.
Forse
si avrà bisogno di questo pensiero. Per non farci sopraffare dalla ragione
senza condizioni dell’algoritmo, per esempio. Per non farci sedurre da qualsiasi
sirena che canta, da qualsiasi nuovo che avanza, da qualsiasi avanzo del nuovo,
per non farci esultare se qualcuno ci lascia in dono un cavallo di legno sotto
le mura della nostra esistenza, per non portarcelo in casa senza prima guardare
bene che cosa c’è dentro.
Si
avrà bisogno di un pensiero che si affida a quello che sopraggiunge ma che di
esso allo stesso tempo diffida, e così commisura, verifica, valuta, confronta,
riscontra, distingue il falso dal vero, il superfluo dall’essenziale, la copia
dall’originale. Richiamare una competenza del genere potrebbe anche sembrare
banale, ma non lo è. Perché sempre di più avvertiamo l’assedio del falso: della
falsa notizia, del falso modello, della falsa realtà: la realtà virtuale,
aumentata, manipolata, contraffatta, affatturata. La simulazione della realtà; la
realtà “altra”, quindi irreale. Ne avvertiamo l’assedio semplicemente per il
fatto che abbiamo conservato una qualche capacità di distinguere, che però stiamo
rischiando di perdere, per cui potrebbe accadere che ad un certo punto non si
sappia
più avvertire, per cui percepiremo il vero e il falso come la stessa cosa.
Sarà
a quel punto che l’identità di questa civiltà sarà definitivamente snaturata.
Abbiamo bisogno di un
Pensiero
che sia in grado di impedirlo.
Antonio Errico
Commenti
Posta un commento