Destra, clericali e sinistra: tutti d’accordo con Roberto Vannacci

 

Destra, clericali e sinistra: tutti d’accordo con Roberto Vannacci

Mi padre le ha detto «Guarda, per esempio io, quando mangio la zuppa, co' la destra uso il cucchiaio, co' la sinistra invece 'n tozzo de pane e faccio la scarpetta, la zuppetta nella zuppa. Volendo politicamente potrei pure usà la destra per fa' la zuppetta, ma co' la sinistra er cucchiaio nun ce riesco a usallo, me casca tutta la zuppa, me sbrodolo tutto, viene 'no schifo, viene. Capisci?»
Mi madre je disse «nun è mica vero che la destra e la sinistra so' uguali: so' differenti, anche se poi servono pe' magnasse la stessa zuppetta».
> Ascanio Celestini <
Da "Parla con me", Rai 3, 9 marzo 2008

Destra, clericali e sinistra: tutti d’accordo con Roberto Vannacci

Lorenzo Castellani, assegnista di ricerca in Storia delle Istituzioni Politiche presso la Luiss Guido Carli di Roma, ha scritto un articolo pubblicato dal quotidiano DOMANI di oggi 26 agosto 2023 in cui descrive il fallimento del progetto di egemonia culturale messo in atto dal Partito dei Fratelli d’Italia, dopo la vittoria nella guerra delle elezioni dello scorso anno.

L’egemonia di una cultura è la preminenza (imposta, riconosciuta o tollerata) di una cultura nei confronti di una o più altre culture.

Anche in questo caso si fa ricorso alle categorie della nostra cultura patriarcale della competizione e perciò stesso, tutte le sotto culture che sono in lotta tra di loro al fine di conquistare l’egemonia, non sono altro che particolari interpretazioni dell’unica cultura a cui appartengono tutte queste sub culture, in lotta tra di loro per la conquista dell’egemonia.

Il prof. Castellani sconsiglia la sub cultura di destra di mettersi in competizione con la sub cultura di sinistra perché i seguaci della destra non appaiono interessati a una fioritura di fondazioni, centri culturali, case editrici, riviste, pamphlet raffinatissimi ed una accademia rinnovata.

Invece, sempre secondo il prof. Castellani, i seguaci della sub cultura di sinistra, sono interessatissimi alla fioritura di fondazioni, centri culturali, case editrici, riviste, pamphlet raffinatissimi ed ad una accademia rinnovata.

Mi chiedo e chiedo al prof. Castellani se sia proprio certo che i seguaci della sub cultura di sinistra vogliano ciò che descrive abbiano già. Dalle mie osservazioni, i tanti PEPPONI, che il prof. Castellani definisce gramsciani di destra, non gradiscono queste tendenze culturali radical chic, anzi per molti di loro proprio questa egemonia radical chic è stata la causa dell’allontanamento dal voto.

Quindi non vi dovete sorprendere dell’adesione alle idee di Roberto Vannacci da parte dei PEPPONI gramsciani di destra.

La quasi TOTALITA’ delle persone con cui ho conversato pratica la nostra cultura patriarcale questi miei conoscenti sono raggruppati nelle seguenti sub culture: liberale, clericale, comunista, fascista, di destra, conservatrice, di sinistra e potete riscontrarlo anche voi leggendo di seguito le caratteristiche di questa nostra cultura patriarcale.

Cultura patriarcale:

Gli aspetti puramente patriarcali dello stile di vita della cultura patriarcale europea a cui appartiene gran parte dell'umanità moderna, e che d'ora in poi chiamerò cultura patriarcale , costituiscono una rete chiusa di conversazioni caratterizzate dal coordinamento di azioni ed emozioni che fanno della nostra vita quotidiana un modo di convivenza che valuta la guerra, la competizione, la lotta, le gerarchie, l'autorità, il potere, la procreazione, la crescita, l'appropriazione delle risorse e la giustificazione razionale del controllo e dominio degli altri attraverso l'appropriazione della verità.

Così, nella nostra cultura patriarcale parliamo di lotta alla povertà e agli abusi quando vogliamo correggere ciò che chiamiamo ingiustizie sociali, o combattere l' inquinamento quando parliamo di ripulire l'ambiente o di affrontare "l'aggressione" della natura quando siamo di fronte a un fenomeno naturale che costituisce un disastro per noi, e viviamo come se tutte le nostre azioni richiedessero l'uso della forza, e come se ogni occasione per un'azione fosse una sfida.

Nella nostra cultura patriarcale viviamo nella sfiducia e cerchiamo la certezza nel controllo del mondo naturale, degli altri esseri umani e di noi stessi.

Parliamo continuamente di controllare il nostro comportamento o le nostre emozioni, e facciamo molte cose per controllare la natura o il comportamento degli altri, nel tentativo di neutralizzare quelle che chiamiamo forze antisociali e naturali distruttive che derivano dalla loro autonomia.

Nella nostra cultura patriarcale non accettiamo disaccordi come situazioni legittime che costituiscono punti di partenza per un'azione concertata di fronte a uno scopo comune, e dobbiamo convincerci e correggerci a vicenda, e tolleriamo solo il diverso nella fiducia che alla fine saremo in grado di portarlo a convincersi dell’unico modo buono che è il nostro, oppure finché non possiamo eliminarla o eliminarlo sotto la giustificazione che quello che pensa, dice e fa è sbagliato.

Nella nostra cultura patriarcale viviamo nell'appropriazione e agiamo come se fosse legittimo stabilire con limiti di forza che limitano la mobilità degli altri in certe aree di azioni che prima della nostra appropriazione erano del loro libero accesso. Inoltre, lo facciamo mentre manteniamo per noi stessi il privilegio di muoverci liberamente in quelle aree, giustificando la nostra appropriazione di esse attraverso argomenti basati su principi e verità di cui ci siamo appropriati. Così parliamo di risorse naturali in un atto che ci acceca della negazione dell'altro che il nostro desiderio di appropriazione implica.

Nella nostra cultura patriarcale, ripeto, viviamo in diffidenza verso l'autonomia degli altri, e ci appropriamo sempre del diritto di decidere ciò che è legittimo o meno per gli altri in un continuo tentativo di controllare le loro vite. Nella nostra cultura patriarcale viviamo nella gerarchia che richiede obbedienza, affermando che la convivenza ordinata richiede autorità e subordinazione, superiorità e inferiorità, potere e debolezza o sottomissione, e siamo sempre pronti ad affrontare tutte le relazioni, umane o meno, in quei termini. Quindi, giustifichiamo la competizione, cioè un incontro in reciproco diniego, come modo per stabilire la gerarchia dei privilegi sotto la pretesa che la competizione promuova il progresso sociale consentendo al meglio di apparire e prosperare.

Nella nostra cultura patriarcale siamo sempre pronti a trattare i disaccordi come dispute o lotte, argomenti come armi, e descrivere una relazione armoniosa come pacifica, cioè come assenza di guerra, come se la guerra fosse l'attività più umana e fondamentale.

Buona riflessione

L'EDITORIALE
Cosa resta della grandeur dì una cultura dì destra? Il richiamo della foresta
LORENZO CASTELLANI storico
In certi circoli della destra si era diffusa una certa grandeur dopo la vittoria elettorale dello scorso anno. Pareva finalmen-te propizio il momento per la costruzione di una élite di de-stra, un distillato culturale di conservatorismo dalle sfuma-ture eleganti.
Ci si aspettava una fioritura di fondazioni. centri culturali, case editrici, ri-viste, pamphlet raffinatissimi, una accademia rinnovata. E in-vece, nemmeno un anno dopo, il libro di destra più venduto è quello autoprodotto del gene-rale Vannacci ed i presunti pro-tagonisti della nuova egemo-nia culturale sono ridotti alla difesa dell'autore col coltello tra i denti.
Non si tratta certo di proteggere D'Annunzio, Monta-le Prezzolini o Ratzinger dalla censura della sinistra, ma di ri-vendicare le tesi estremistiche, la prosa incespicante, i concet-ti sempliciotti e tribali, il lessi-co da caserma, la posa da deep web (*) di un alto ufficiale il cui comportamento, sul piano isti-tuzionale, suscita più di un dubbio.
Insomma dell'alta cul-tura, e dell'organizzazione ad essa necessaria per combatte-re l'egemonia del gramscismo con i suoi stessi mezzi nemme-no l'ombra. Siamo lontani per-sino dalla più radicale ma sem-pre presa a modello, Francia: a Parigi signori come Zemmour, Onfray, Finkielkraut e Bellamy dimostrano di saper scrivere e padroneggiare concetti storici e filosofici.
Invece la compa-gnia della destra culturale ita-liana cede subito al richiamo della foresta e si immola per un generale che vuole fine poli-tica e che, per altro, mette an-che in difficoltà le forze della maggioranza con i suoi argo-menti brutali.
Allora cosa resta del progetto della contro ege-monia culturale dei conserva-tori?
Qualche posto in televisio-ne, un manipolo di nomine nei musei e negli enti culturali, qualche denaro per le fondazio-ni. Non rimane insomma, che l'ordinaria amministrazione del potere.
Allora forse sarebbe stato meglio calibrare le ambi-zioni alla realtà: non la contro egemonia di gruppetti che pre-tendono di fare alta cultura: non una destra chic e dandy, non l'alterigia di coloro che vor-rebbero essere chiamati Intel-lettuali: ma una rivendicazio-ne politica dei concetti sempli-ci espressi dal generale Vannac-ci che tanto successo riscuoto-no nel pubblico.
Si faceva pri-ma a dire che quelle idee tutto sommato non dispiacciono al-la maggioranza della popolazione o che, in ogni caso, que-sta maggioranza è disposta a tollerarne la rivendicazione e a sostenerne la circolazione.
Sa-rebbe stato più onesto che tentare di nobilitare il caso Va nnac-ci come parte di un progetto di contro egemonia o come rea-zione alle tendenza censorie della sinistra.
La destra pertan-to torni a ciò che sa fare riven-dicare e alimentare la cultura popolare, scagliarsi contro i progetti dirigisti e pedagogici del progressismo, ma lasci per-dere i progetti intellettuali di grande ambizione. In primis perché nei circoli vicini ai parti-ti della maggioranza mancano quantità e qualità per realizza-re un progetto di quel tipo e in secondo luogo perché all'eletto-rato di destra non interessa nulla dell'egemonia culturale. A quella porzione d'Italia basta il bestseller fatto in casa del ge-nerale Vannacci. Con buona pa-ce dei gramsciani di destra
(*) oltre ai classici browser e siti web, esiste un universo sommerso: il deep web. Questo insieme di contenuti, pur essendo presente sul web, non è indicizzato dai motori di ricerca classici: possono essere trovati, infatti, attraverso canali differenti.

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