«L'è tutto sbagliato, l'è tutto da rifare!».

 

«L'è tutto sbagliato, l'è tutto da rifare!».

Lorenzo Castellani(*), Lecturer presso la LUISS School of Government e docente di storia delle istituzioni politiche presso la LUISS Guido Carli, ha scritto un articolo pubblicato dal quotidiano DOMANI di oggi 14 agosto 2023 nel quale pur riconoscendo che:

“in questa fase è una tendenza mondiale quella di uno Stato più interventista e protezionista”

non condivide le seguenti decisioni prese dal governo:

1. licenza aggiuntiva alla corporazione dei taxi;

2. l’intervento sui prezzi delle compagnie aeree e su quelli dei carburanti;

3. l’accordo tra Mef e TIM sulla rete unica;

4. la tassa sugli extra-profitti delle banche.

Il prof. Castellani non è nemmeno d’accordo sugli interventi degli enti pubblici controllati dal governo: ad esempio Invitalia, agenzia pubblica che ha appena rilevato quote in Snaidero, produttore di cucine, e Pernigotti, storica azienda di dolciumi.

Come diceva Gino Bartali anche per il Prof. Lorenzo Castellani «L'è tutto sbagliato, l'è tutto da rifare!».

A questo punto io chiedo al prof. Castellani se è a conoscenza dell’esito dell’azione del LIBERO MERCATO e del Neoliberismo economico che dal 1992 ad oggi ha deciso le sorti del benessere del nostro Paese.

Lo sa il prof. Castellani che il LIBERO MERCATO da lavoro solo a 7 italiani su 20?

Lo sa il prof. Castellani che questo è un dato che corrisponde alla performance di tutti i paesi in cui c’è il libero mercato?

Allora pur non entrando nel merito delle osservazioni con cui ha definito inopportune le decisioni del governo, io chiedo al Prof. Castellani, come superare le criticità del LIBERO MERCATO e del Neoliberismo economico. Perché è sotto gli occhi d tutti che, soprattutto al sud, se un giovane vuole lavorare E’ COSTRETTO A EMIGRARE AL NORD O ALL’ESTERO.

La decisione di far emigrare i giovani del sud è stata presa dai mercati finanziari e ciò è per me INACCETTABILE.

Se lei, caro prof. Castellani è a conoscenza di misure che il governo potrebbe attuare per superare le criticità, è mia opinione che dovrebbe urgentemente RENDERLE PUBBLICHE.

Buona riflessione

(*) E’ assegnista di ricerca in Storia delle Istituzioni Politiche presso la Luiss Guido Carli di Roma. Nel 2017 è stato Postdoc Researcher presso l'Einaudi Institute for Economics and Finance dalla Banca d'Italia. Nel 2016 ha conseguito il dottorato in Political History presso l'IMT di Lucca. Dal 2014 al 2016 è stato visiting scholar presso il King's College di Londra. Si occupa prevalentemente di storia anglo-americana e di analisi di scenari politici. Cura il Monthly Report on Italy della Luiss School of Government e scrive di politica e storia per varie testate nazionali. Il suo ultimo libro è The Rise of Managerial Bureaucracy. Reforming the British Civil Service (Palgrave Macmillan, 2018).

L’economia estrema di Meloni
A chi giova l’irruenza statalista
LORENZO CASTELLANI
storico
È sull’economia che le inclinazioni
più estremiste del governo
rischiano di venire fuori. L’estate
mostra gli aspetti corporativi
e statalisti, in particolare di
Fratelli d’Italia, che possono minare
la credibilità dell’Italia rispetto
ai mercati internazionali
e soprattutto ingessare eccessivamente
l’economia. Se in
questa fase è una tendenza
mondiale quella di uno Stato
più interventista e protezionista
ci sono però misure, modi e
forme che vanno calibrate per
rinforzare l’economia e non
per intorpidirla. Il governo, invece,
agisce a tutto raggio e spesso
interviene con irruenza. Dapprima
il regalo della licenza aggiuntiva
alla corporazione dei
taxi, poi l’intervento maldestro
sui prezzi delle compagnie aeree
e su quelli dei carburanti,
l’accordo tra Mef e TIM sulla rete
unica e infine la tassa blitz sugli
extra-profitti delle banche.
A questo si aggiungono gli interventi
degli enti pubblici controllati
dal governo: ad esempio
Invitalia, agenzia pubblica
che oramai investe in qualunque
attività come fosse un fondo
privato e ha appena rilevato
quote in Snaidero, produttore
di cucine, e Pernigotti, storica
azienda di dolciumi.
Serve davvero, in un paese con
tanto risparmio privato accumulato,
che gli enti pubblici intervengano
anche in settori
non strategici mettendo a rischio
i soldi dei contribuenti?
La ricetta dell’esecutivo è quella
della destra sociale, la parte
più radicale del partito di Meloni
che fa asse con Salvini, che
sfrutta il cambio di paradigma
economico internazionale per
far avanzare lo Stato in ogni settore.
Uno Stato che però, bene ricordarlo,
è fortemente indebitato,
deve sfruttare ancora
gran parte dei fondi del Pnrr,
manca di capacità manageriali
adeguate a gestire un tal livello
di penetrazione pubblica nell’economia.
Il governo entra con
quote importanti in aziende
che sono o erano private, rischia
di far salire i prezzi degli
aerei con le norme sul caro voli
che manipolano il mercato, di
avallare inconsciamente una
stretta creditizia e far salire i costi
di gestione dei conti correnti,
tutela gli interessi di categorie
protette come balneari e tassisti
senza riguardo per consumatori
e qualità del servizio. A
chi giova tutto questo? Nel breve
periodo forse a racimolare
qualche consenso in più attraverso
interventi protezionistici
e una politica industriale,
che in questa fase storica sarebbe
un elemento molto importante
se fatta con serietà, perturbata
dalla demagogia.
La strategia e i rischi
L’obiettivo politico di Meloni
sembra quello di coprirsi a sinistra.
Dopo aver abolito parzialmente
il reddito di cittadinanza,
rifiutato il salario minimo e
non potendo parlare di immigrazione
per evidente fallimento
della politica governativa rispetto
a quel vecchio cavallo di
battaglia al governo servono
dei provvedimenti che possano
esser percepiti come “giustizia
sociale” dall’elettorato e
che, in parte, sono condivisi da
pezzi dell’opposizione. Il rischio
è che come l’Italia era entrata
male nel ciclo neo-liberale
degli anni novanta, con privatizzazioni
malfatte, poche liberalizzazioni,
capitalismo
clientelare e dismissione di industrie
strategiche, oggi il paese
si avvii in maniera altrettanto
maldestra nel nuovo ciclo
protezionista-statalista cominciato
dopo la pandemia. Con
un governo che fa troppo e male,
attraverso interventi che depotenziano
il dinamismo imprenditoriale
e ingessano il capitalismo
privato. Col problema
per Meloni che, quando ci
saranno esigenze di bilancio,
l’esecutivo sarà costretto a varare
nuove tasse depressive su
chi investe e produce. Lo Stato
può tornare a intervenire nell’economia
per esigenze di sicurezza
nazionale, come sosteneva
già Adam Smith, ma ciò non
significa sdoganare azioni di
regolazione, corporativismo,
protezionismo e investimento
pubblico in qualunque settore.
Il pericolo di un effetto boomerang
sull’economia è molto elevato.

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