Pellegrino “Zero dubbi La manovalanza fascista mise la bomba per Gelli”

 

Intervista all’ex presidente della Commissione stragi

Pellegrino “Zero dubbi La manovalanza fascista mise la bomba per Gelli”

di Concetto Vecchio

Roma — Giovanni Pellegrino, lei ha

presieduto la Commissione stragi

dal 1996 al 2003, ha senso rifarne

una nuova, come vuole Fratelli

d’Italia?

«No, non mi sembra una buona idea

affidare alla politica la riscrittura

della storia d’Italia: tende a dividersi,

perdendo così di vista la verità».

Teme la riscrittura politica?

«Temo la tentazione di usare la storia

come un bastone da agitare contro

l’anniversario».

Lei ha diretto una commissione

d’inchiesta per sette anni.

«Ma l’unica relazione che riuscimmo

ad approvare fu quella sull’omicidio

D’Antona. Per esperienza quindi le

dico che le commissioni funzionano

meglio sull’attualità».

Si corre il rischio di una nuova

Mitrokhin?

«Sì, con quella la destra volle regolare

i conti con gli ex Pci. Il presidente

Guzzanti andò da Berlusconi per

sottoporgli la relazione e lui la trovò

così faziosa che alla fine non ebbero il

coraggio di approvarla».

Cosa ha capito della storia

d’Italia?

«Non può che esser letta all’interno

della Guerra fredda, l’Italia era una

frontiera occidentale, con dentro il

più grande partito comunista

d’Europa. Tutti i partiti erano

finanziati, quelli di governo dagli

Usa, il Pci dal Kgb».

Il Pci era finanziato dal Kgb?

«Sì, questo è ormai accertato».

Perché la destra insiste per una

nuova commissione Stragi?

«Non vuol accettare che le stragi

hanno avuto una matrice neofascista.

Ci furono complicità con gli apparati:

Ordine nuovo era finanziato dagli

apparati militari, Avanguardia

nazionale era legata a Umberto

D’Amato, il direttore dell’Ufficio

Affari Riservati del Viminale».

In chiave anti sinistra?

«Sì, i ministri dc Rumor e Taviani li

mettevano fuorilegge e i carabinieri e

il Viminale li finanziavano. Era un

Paese schizofrenico».

La sua Commissione ebbe due

importanti esponenti di destra.

«Uno era Alfredo Mantica, molto

preparato, che non nascondeva il

fatto che i missini si erano battuti con

ogni mezzo contro il comunismo».

Lo rivendicava politicamente?

«Una volta mi raccontò che durante

una riunione di missini a Milano lui,

osservando la platea, disse a un

dirigente: “Siamo un partito

rivoluzionario!”. E il dirigente: “Sì,

metà assemblea è sul libro paga del

Viminale, l’altra metà su quello delle

Forze armate”».

L’altro esponente era Fragalà.

«Gli dicevo: “Però Enzo, bisogna

abbassare il tasso di anticomunismo

viscerale”. E lui: “Io sono un

anticomunista viscerale!”. Questa

cultura, a destra, è rimasta».

Cosa pensa della pista palestinese

a Bologna?

«Non vi ho mai creduto. Il capo

centro del Sismi a Beirut, Stefano

Giovannone, aveva ricucito con i

palestinesi dopo gli arresti

dell’autonomo Daniele Pifano e dei

palestinesi che trasportavano il

missile ad Ortona».

Quindi cade la tesi della

vendetta?

«Sì».

Chi ha messo la bomba alla

stazione?

«Manovalanza fascista agli ordini di

Licio Gelli. Le sentenze contro

Mambro e Fioravanti si sono

ripetute, e con nuovi particolari, da

avvocato mi sembra di poter

escludere l’errore giudiziario».

È quel che sostiene l’ultima

sentenza?

«La ragione della strage sta in una

lotta interna alla P2, Francesco

Pazienza che succede a Licio Gelli, e

quest’ultimo che vuol lanciare un

segnale, per dire che non lo si può

rimuovere, perché sa i segreti di tutte

le stragi».

Lei passa per uno che ha una sua

idea personale su Bologna.

«Non ho mai creduto a Bologna come

a un remake di Piazza Fontana. Era

un altro contesto. E perché penso che

l’altro condannato, D’Amato, un

personaggio molto complesso, non

ambisse a una svolta autoritaria».

Perché, se le sentenze lo

escludono, la destra rilancia la pista

palestinese?

«È un problema di cultura di

formazione. Questa distorsione

arriva fino alla Resistenza, col

presidente del Senato che equipara i

nazista di via Rasella a una banda

musicale”.

Come mai Cossiga cambia idea su

Bologna?

«Era un personaggio balzano. Anche

se ha colto con più lucidità di tutti

quanto era avvenuto nella Prima

Repubblica».

E cos’era avvenuto?

«Era un Paese dove il ministro Paolo

Emilio Taviani e il capo dell’Anpi

Arrigo Boldrini, due ex partigiani,

andavano insieme al 25 aprile, e poi

Taviani tornava al Viminale e trovava

questa nota dei servizi: “Boldrini oggi

era al corteo per la festa della

Liberazione”».

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