IO MI CHIEDO E CHIEDO A TUTTI I PRESCELTI

 

IO MI CHIEDO E CHIEDO A TUTTI I PRESCELTI DEL PARLAMENTO – DELLE REGIONI- DELLE PROVINCE E DEI COMUNI, COME POSSONO AFFIDARE AL LIBERO MERCATO NEOLIBERISTA L'OTTENIMENTO DELLA MASSIMA OCCUPAZIONE DEGLI ITALIANI SE IN 30 ANNI HANNO DATO TUTTO QUANTO ERA NELLE LORO POTENZIALITA’ OTTENENDO QUESTI RISULTATI?

NADIA URBINATI titolare della cattedra di scienze politiche alla Columbia University di New York e FRANCESCO SEGHEZZI Presidente di Fondazione ADAPT e assegnista di ricerca presso l'Università di Modena e Reggio Emilia hanno scritto articoli pubblicati dal quotidiano DOMANI oggi 15 agosto 2023 che possono rappresentare un’indicazione per tutti noi cittadini italiani.

La Prof.ssa Urbinati nel suo scritto riflette sul ritorno delle petizioni che è sua opinioni rappresentino la messa in luce di un deficit nelle democrazie rappresentative, per la debolezza dei corpi politici intermedi, che non sanno tenere insieme società e istituzioni attraverso un progetto politico di governo e quindi un'idea di giustizia che leghi le varie rivendicazioni.

Il Prof. Seghetti analizza i dati Eurostar che manifestano la criticità del LIBERO MERCATO, che è la conseguenza del neoliberismo economico, che in Italia oltre a non riuscire a dare lavoro e salari adeguati ai lavoratori con un basso livello di istruzione e competenze che, a detta della LIBERA IMPRESA, POCO SEMBRANO RISPONDERE ALLE LORO ESIGENZE, SEMPRE LA LIBERA IMPRESA CHE DA LAVORO A 7 ITALIANI SU 20 ANCHE IN TEMA DI GIOVANI CON ALTO LIVELLO DI ISTRUZIONE PRESENTA ALTRETTANTE – SE NON MAGGIORI - CRITICITA’.

Nel suo articolo il prof. SEGHETTI riferisce che dai suoi studi scaturisce la seguente evidenza scientifica:

una parte della struttura imprenditoriale Italiana non necessita delle competenze dei laureati a causa dei bassi livelli di innovazione e della forte presenza di lavori routinariQuesto fa sì che la laurea, pur portando in generale a tassi di occupazione maggiori rispetto agli altri titoli di studio, non sia una garanzia di occupazione anzi a volte risulta un titolo di studio quasi ingombrante.

LE CRITICITÀ DEL LIBERO MERCATO NEOLIBERISTA SI EVIDENZIANO NEL FATTO CHE L’ISTAT ACCERTA CHE I PRIVATI DANNO LAVORO A 7 ITALIANI OGNI 20 – IL LIBERO MERCATO DA SALARI TROPPO BASSI AI LAVORATORI CON UN BASSO LIVELLO DI ISTRUZIONE E COMPETENZE E – SEMPRE PER IL LIBERO MERCATO- LA LAUREA DEI GIOVANI NON E’ UNA GARANZIA DI OCCUPAZIONE ANZI A VOLTE RISULTA UN TITOLO DI STUDIO QUASI INGOMBRANTE.

IO MI CHIEDO E CHIEDO A TUTTI I PRESCELTI DEL PARLAMENTO – DELLE REGIONI- DELLE PROVINCE E DEI COMUNI, COME POSSONO AFFIDARE AL LIBERO MERCATO NEOLIBERISTA L’OTENIMENTO DELLA MASSIMA OCCUPAZIONE DEGLI ITALIANI SE IN 30 ANNI HANNO DATO TUTTO QUANTO ERA NELLE LORO POTENZIALITA’ OTTENENDO QUESTI RISULTATI?

E alla luce di queste evidenze, parafrasando la Prof.ssa Urbinati, invito i corpi politici intermedi, a tenere insieme società e istituzioni attraverso un progetto politico di governo e quindi un'idea di giustizia, che leghi le varie rivendicazioni.

Buona riflessione

UNO STRUMENTO DEMOCRATICO
Il ritorno delle petizioni che creano soggetti collettivi
NADIA URBINATI Politologa
Come avevano pro-messo all'uscita dall'incontro a palazzo Chigi con la premier e il suo governo, le opposizioni hanno lanciato una petizione a sostegno del-la proposta di legge sul sala-rio minimo. Immediata la ri-sposta dei cittadini, che han-no preso d'assalto il sito salariominimosubito.it tanto da mandalo in tilt per qualche ora.
Che cosa è la petizione e perché può essere molto im-portante?
La petizione è uno strumento antico, riattivato da pochi an-ni grazie ai nuovi mezzi di co-municazione.
E’ nata prima della democrazia per ripara-re un'ingiustizia subita. Uno dei primi esempi provie-ne dalla Repubblica di Vene-zia dove circa alla meta del tre-dices imo secolo, un tribunale riconobbe i diritti dei credito-ri nel confronti del debitori insolventi.
Le petizioni hanno avuto lo scopo non di mettere in di-scussione un sistema di pote-re ma di rendere giustizia. Fu-rono numerosissime nelle co-lonie britanniche del nord America e in quelle spagnole del centro e sud del nuovo continente. La petizione portava con se due ingredienti fondamenta-li per la democrazia a venire in primo luogo, esaltava il mo-mento della voce chiedendo che una rivendicazione venis-se "ascoltata" da chi deteneva il potere e dall'opinione pub-blica (ha creato di Fatto un pubblico); in secondo luogo, creava un'opposizione, tanto che si potrebbe dire che l'idea di un'opposizione legittima sia storicamente nata con la petizione.
La contestazione aperta, piut-tosto che il risentimento se-greto è intrinsecamente de-mocratica e suggerisce la pos-sibilità dl un progetto consa-pevole di autogoverno. Quin-di, nonostante non metta in discussione Il sistema, la peti-zione mette in moto un pro-cesso di rivendicazione—o di rappresentazione nel senso più ampio del "dare voce —che definisce alcune persone in contrasto con altre.
I firmatari sono unificati at-traverso la loro petizione, in opposizione a coloro da cui si attendono una risposta concreta.
Ecco la peculiarità della peti-zione nasce con una richie-sta specifica e crea un sogget-to collettivo.
Diventa una sfi-da a chi governa una dimo-strazione di forza democrati-ca che sta nell'unione dei fir-matari (il numero di firme). La nascita e il consolidamen-to della democrazia dei parti-ti hanno fatto deperire que-sto strumento i partiti i sin-dacati, le associazioni civili hanno preso il posto delle pe-tizioni.
Il ritorno della petizio-ni mette quindi in luce un de-ficit nelle democrazie rappre-sentative, senza dubbio la de-bolezza dei corpi politici in-termedi, che non sanno tene-re insieme società e istituzio-ni attraverso un progetto poli-tico di governo e quindi un'i-dea di giustizia che leghi le va-rie rivendicazioni. In fondo, anche chi onesta-mente critica la proposta del salario minimo perché spo-sta nella legge quel che do-vrebbe restare nella contesa sociale e politica presume quel che non c'è più: un lavo-ro organizzato e dei corpi in-termedi rappresentativi e for-ti.
Il ritorno all'uso della petizio-ne può significare che nella democrazia disintermediata, dell’audience l'antica strate-gia della petizione potrebbe consentire di avere mediazio-ne ovvero unire cittadini dissociati.
Certo unisce intorno a un te-ma singolo (one issue) tutta-via offre ai partiti un'eviden-te opportunità: prima di tutto misura la quantità del-le opinioni e in secondo luo-go perché mostra che esiste una volontà associativa al di là della specifica petizione. Come in passato così nel pre-sente la petizione può essere un inizio.
I NUOVI DATI EUROSTAT Il lavoro manca anche ai laureati Italia peggio di tutti nella Ue
FRANCESCO SEGHEZZI economista
II dibattito pubblico si sta giustamente concentrando sulla componente più povera del mercato del lavoro, spesso lavoratori con un basso livello di istruzione e competenze che poco sembrano rispondere alle esigenze delle imprese.
Ma guardare a queste persone non deve portarci a pensare che invece coloro che hanno un alto titolo dl studio e, almeno sulla carta, competenze più aggiornate non vivano una situazione di difficoltà nel momento dell'incontro con il mondo del lavoro.
Nei giorni scorsi Eurostar ha infatti pubblicato del dati particolarmente preoccupanti sul tasso di occupazione dei laureati in Europa e da questi emerge come l'Italia sia all'ultimo posto nel continente.
Se Infatti si considerano i laureati negli ultimi tre anni, tra i 20 e i 34 anni, la media europea di coloro che ha una occupazione è dell'82,4 per cento mentre il dato italiano si ferma al 65,2 per cento.
La Grecia, che negli ultimi anni aveva performance peggiori delle nostre ci ha superato con il 66,1 per cento mentre sembra distante anni luce il 92 2 per cento tedesco o l'89 per cento della Svezia.
Si tratta di un dato aggregato, che non rende ragione dei differenti esiti occupazionali In base alla tipologia di laurea, cosi come non mostra le forti differenze territoriali che caratterizzano il mercato del lavoro Italiano.
Ma se consideriamo il sistema-paese nel suo complesso è chiaro che ne usciamo fortemente penalizzati e allo stesso tempo però il dato consente di fare qualche riflessione.
A partire dal grande paradosso che aleggia su queste percentuali, ossia il fatto che l’Italia è allo stesso tempo all'ultimo posto per l'occupazione dei laureati e agli ultimi posti per numero di laureati stessi.
Quindi neanche un titolo di studio più raro che in altri paesi riesce a scalfire la strutturale debolezza dell'occupazione in Italia, unitamente all'elevata percentuale di lavoro irregolare e questo in parte può spiegare l'anomalia in Europa.
Allo stesso tempo però è difficile e riduttivo immaginare che sia tutta colpa dei giovani perché sappiamo che come osservato ormai da decenni una parte della struttura imprenditoriale Italiana non necessita delle competenze dei laureati a causa dei bassi livelli di innovazione e della forte presenza di lavori routinari.
Questo fa sì che la laurea, pur portando in generale a tassi di occupazione maggiori rispetto agli altri titoli di studio, non sia una garanzia di occupazione anzi a volte risulta un titolo di studio quasi ingombrante.
E così si spiega la presenza massiccia di lavoratori sovra-qualificati che si trovano a svolgere mansioni inferiori rispetto alle competenze di cui il mercato ha bisogna la domanda di tecnici nel settore manifatturiero e la domanda fortissima di lavoratori nel servizi alla persona, ad esempio, se non viene soddisfatta da una offerta di pari livello verrà soddisfatta da chi piuttosto che rimanere disoccupato, si convincerà a fare un lavoro al di sotto delle sue capacità.
E chi non accerta questo rischia spesso di rimanere ai margini del mercato del lavoro. Sullo sfondo resta l'urgenza di rinnovare i percorsi universitari, non per inclinarli verso le esigenze del mercato, ma per metterli maggiormente in dialogo con la realtà anche fuori dalle aule, sia per le materie umanistiche (troppo spesso chiuse in teche di cristallo) che per quelle scientifiche. Occorre partire anche da qui per ridurre quel mismatch di cui tanto si parla, troppo spesso semplificandone le cause e facendone oggetto di sterili contrapposizioni ideologiche sulla pelle del giovani.

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