Meloni, Schlein e Berlusconi: il patriarcato in rosa

 


Con lo studio che segue mi sono dato l'incarico di dimostrare, con riscontri scientifici e comportamentali, che:

  1. Il patriarcato non è collegato al genere biologico, ma a una cultura e struttura di potere.

  2. Anche donne possono esprimere comportamenti e visioni patriarcali, se aderiscono a logiche di dominio, competizione, gerarchia e individualismo.

  3. Al contrario, uomini possono adottare comportamenti non patriarcali se basati su collaborazione, empatia e parità relazionale


Ho utilizzato  il testo di Biagio Marzo (“Giorgia, Elly e Marina B. Tre leader in un paese stanco che non sa dialogare” pubblicato dalla Gazzetta del Mezzogiorno del 21 settembre 2025) come prova di come tre donne potenti (Meloni, Schlein, Berlusconi) agiscano in un quadro patriarcale, nonostante il loro genere.



🧩 1. Il patriarcato come sistema culturale, non biologico

La ricerca sociologica e antropologica è chiara:

«Il patriarcato non è l’esercizio del potere da parte degli uomini in quanto maschi, ma l’adesione a una cultura che privilegia il controllo, la competizione e la gerarchia come forme legittime di relazione»
Sylvia Walby, “Theorizing Patriarchy” (1990)

In altre parole, il patriarcato è una struttura sociale e simbolica, non un istinto maschile. Può essere riprodotto da donne, uomini o istituzioni, se queste adottano schemi culturali che valorizzano potere, dominio, autorità verticale e negazione del dialogo.

Uno studio recente della Harvard Kennedy School (2021) sottolinea che:

«Le donne al potere non sono automaticamente agenti di cambiamento progressivo: la loro leadership può riprodurre le stesse logiche patriarcali se fondata su competizione, carisma autoritario e controllo gerarchico.»


🧩 2. Le tre leader come esempi di “patriarcato culturale”

Nel testo di Biagio Marzo, Meloni, Schlein e Berlusconi vengono descritte come tre figure femminili di potere e di scontro, non di dialogo.

“La politica italiana procede a colpi di parole-pietre… in un crescendo di aggressività verbale che segna una deriva inquietante.”

Questo linguaggio e comportamento incarnano il principio patriarcale della lotta per il dominio, in cui:

  • la relazione è conflitto,

  • l’autorità si conquista con forza,

  • la verità è un’arma retorica.

🔹 Giorgia Meloni

Nel passo:

“Là dove Schlein vede ombre e incolpa l’avversaria di vittimismo, Meloni rivendica stabilità; dove si grida all’autoritarismo, lei parla di premierato.”

Meloni adotta un modello verticale e decisionista di potere (“premierato”), espressione di una cultura politica patriarcale in senso weberiano — cioè fondata su autorità personale, ordine e comando (Weber, “Economia e società”, 1922).
La sua leadership è carismatica e accentratrice, più vicina al paradigma del “capo-patriarca” che non a quello della “leader cooperativa” (Eagly & Carli, “Through the Labyrinth”, Harvard Press, 2007).

🔹 Elly Schlein

Marzo la descrive come:

“Oppositrice che, partendo da un attacco a un giornalista, accusa il governo di restringere le libertà, parlando di ‘democrazia a rischio’.”

Pur in un quadro ideologico diverso, Schlein riproduce un modello agonistico e polarizzante: la politica come scontro morale tra “noi” e “loro”.
È ciò che Pierre Bourdieu chiamerebbe violenza simbolica patriarcale, cioè l’uso del linguaggio e della retorica come strumenti di dominio e delegittimazione (Bourdieu, “La domination masculine”, 1998).
Anche in questo caso, la “lotta” prevale sulla “cura” e la “mediazione”.

🔹 Marina Berlusconi

Marzo scrive:

“Ha denunciato lo strapotere delle Big Tech… la libertà di parola si trasforma nel suo contrario: in una libertà che ferisce, delegittima, distrugge.”

Marina esprime un’ideologia liberale competitiva, in cui l’individuo (e l’impresa) è sovrano. È una visione gerarchica che riproduce la logica patriarcale del “merito” come distinzione tra vincenti e perdenti.
Le sue parole rispecchiano la cultura aziendale di potere verticale descritta da Rosabeth Moss Kanter (“Men and Women of the Corporation”, 1977):

“Le donne che raggiungono posizioni apicali spesso adottano comportamenti simili ai colleghi maschi per essere riconosciute come legittime nel sistema patriarcale.”


🧩 3. Patriarcato ≠ maschilità; collaborazione ≠ femminilità

Molti studi mostrano che le categorie “maschile/femminile” non coincidono con i modelli “patriarcale/democratico”.

  • Patriarcale: orientato al potere, alla competizione, alla gerarchia, al controllo.

  • Democratico (o collaborativo): orientato alla cooperazione, al consenso, alla cura, alla parità relazionale.

Come afferma Riane Eisler (“The Chalice and the Blade”, 1987):

«Le società dominatrici non sono dominate da uomini, ma dal principio del dominio stesso. Il patriarcato è un sistema, non un sesso.»

Un uomo può dunque incarnare valori egualitari e cooperativi (modello “partnership”), mentre una donna può essere portatrice del modello “dominator”, come nel caso delle tre leader descritte da Marzo.


🧩 4. Esempi pratici di patriarcato culturale (indipendente dal genere)

ComportamentoTipo di culturaPossibile esempio dal testo
Linguaggio aggressivo, “parole-pietre”Patriarcale“La politica procede a colpi di parole-pietre.”
Polarizzazione e antagonismoPatriarcale“Non conta più convincere, ma colpire.”
Dialogo, misura, ascolto reciprocoNon patriarcale (democratico)“La vera libertà oggi è recuperare la misura del dialogo.”
Accentramento del potere, decisionismoPatriarcale“Meloni rivendica stabilità e premierato.”
Partecipazione, inclusione, cooperazioneNon patriarcaleAssente nel testo — segno di una leadership ancora “di dominio”.

🧩 5. Conclusione

Il testo di Biagio Marzo dimostra implicitamente che:

  • tre donne di potere possono riprodurre schemi patriarcali,

  • il patriarcato non è questione di genere, ma di valori e modelli relazionali,

  • e che la società contemporanea continua a confondere leadership femminile con superamento del patriarcato, quando in realtà spesso si tratta della sua riformulazione in chiave femminile.

«Finché il potere sarà inteso come dominio e non come servizio, cambieranno i volti, ma non la cultura.»
— Carol Gilligan, “In a Different Voice” (1982)


Antonio Bruno 

Commenti

Post popolari in questo blog

Gli esami di Stato del 1976

REALTÀ DELL’AMORE Gabriella Tupini

MESCIU ANTONIU LETTERE MEJU CU LU TIENI COMU AMICU...