REALTÀ DELL’AMORE Gabriella Tupini

 


REALTÀ DELL’AMORE

Gabriella Tupini

Introduzione

Salve a tutti.
Quest’oggi vorrei parlarvi dell’amore: dell’amore fra partner, dell’amore in generale, ma soprattutto dell’amore di coppia, che è quello che, in fondo, ci colpisce di più. Non solo nella fantasia, negli spettacoli o nelle storie – nel bene e nel male – ma anche nella vita quotidiana. È un sentimento che ha ispirato poeti, filosofi e artisti. L’amore è stato definito in molti modi: da alcuni persino come una malattia.

Ricordo, ad esempio, Massimo Fagioli – non uno qualunque, ma uno psicoterapeuta e docente universitario, ormai scomparso – che disse che l’amore era una forma di nevrosi. Al contrario, Francesco Alberoni, sociologo e antropologo, scrisse un libro in cui distingueva l’innamoramento dall’amore. Un’opera interessante, dove separava la parte più sana da quella meno sana: innamorarsi è una cosa, amare è un’altra. E, a modo suo, aveva anche ragione.

Tuttavia, io non sono affatto contraria all’innamoramento, neanche al cosiddetto “innamoramento panico”. Ricordate che “panico”, nel suo significato originario, non indica il terrore, ma qualcosa che pervade tutto. L’amore è una musa che ispira – ha ispirato i poeti, no? “L’amore è inferno e paradiso, croce e delizia”, diceva la Traviata: croce e delizia del cuore. Perché l’amore può mandare in estasi, ma può anche ferire molto.

A questo proposito, vi consiglio un libriccino piccolo ma delizioso, molto in voga nel ’68: Il Profeta di Kahlil Gibran. È una raccolta di prose poetiche in cui si parla anche dell’amore. Scrive: “Se l’amore vi chiama, seguitelo, anche se le sue vie sono impervie e faticose. Anche se, sotto le sue ali, nasconde una spada che vi può ferire”. È un invito a vivere pienamente le emozioni, anche quelle più dolorose.

Ed è bello. Ma è anche vero che alcune persone si tirano indietro, fuggono dall’amore perché hanno paura di essere ferite. Questo è un aspetto che, per esempio, molte donne faticano a comprendere in certi uomini. Alcuni uomini hanno un vero terrore di innamorarsi, non perché non vogliano assumersi delle responsabilità – come spesso si dice – ma perché l’innamoramento può generare in loro un bisogno così forte da far perdere il senso di sé. Sono pronti a fare qualsiasi cosa per l’altra persona, dimenticando chi sono. E, dopo esperienze dolorose, finiscono per fuggire dall’amore.

Non sono vigliacchi, ma persone profondamente ferite che cercano di proteggersi. Questo è difficile da capire per molte donne, che, essendo più portate ai sentimenti, anche se vengono ferite, spesso si gettano comunque nell’amore.

L’amore vero

C’è chi sostiene che l’amore vero non esista. Io credo invece che esista, eccome. E aggiungo: esistono anche gli amori fatali, quelli che sembrano predestinati da un mondo invisibile. Ce ne accorgiamo perché sembrano incastrarsi perfettamente nella nostra vita, come se ogni evento ci portasse verso quell’incontro. Di solito succede proprio quando abbiamo deciso di non cercare più l’amore.

Naturalmente, anche se un amore è “fatale”, non è detto che sia destinato a funzionare. Tutto dipende da quanto siamo disposti a metterci in gioco. Perché amare davvero significa esporsi, mettere sul piatto tutta la nostra vulnerabilità: le ferite, le attese, le delusioni.

L’infanzia

Ora parliamo di un’altra questione importante: l’infanzia. L’amore può diventare una montagna russa quando nasce da bisogni irrisolti. Se da bambini siamo stati poco amati, poco capiti, trascurati – magari da genitori a loro volta non amati – cresciamo con l’idea che non valiamo molto. Il bambino, quando non riceve amore, pensa che sia colpa sua. Non riesce a criticare i genitori, perché li considera infallibili. E allora pensa: “Se non mi amano, è perché io non valgo”.

Così, da adulti, viviamo l’amore con ansia: temiamo che l’altro ci abbandoni, che scelga qualcun altro, che si accorga che noi valiamo poco. Si vive in uno stato di continua incertezza: “Mi ama? Quanto mi ama? Mi lascerà?”. Sono domande che non portano da nessuna parte, perché le parole dell’altro non bastano. Ciò che conta è il comportamento. Una parte di noi sa se l’altro ci ama davvero, ma spesso non vuole ammetterlo, perché fa troppo male.

L’altro come specchio

L’amore può essere acqua alla gola o libertà. Quando abbiamo dei vuoti profondi, cerchiamo nell’altro qualcuno che li riempia. Ma questo porta a dinamiche tossiche: ci si trattiene dal mostrare il proprio affetto, si gioca a fare i distaccati per non mostrarsi vulnerabili. Ma tutto questo non è amore.

Nel Simposio di Platone, Diotima dice che l’amore è penía, cioè povertà. L’amore nasce dalla mancanza d’amore. E in effetti, da giovani, spesso cerchiamo un amore che ci salvi, che ci completi. Ma nessun partner può sostituire l’amore di un genitore.

Quando si dice “l’altro non mi coccola”, si sta cercando qualcosa che ricorda più l’amore materno che quello di un compagno.

Riconoscimento e bisogno

Spesso cerchiamo nell’altro la conferma del nostro valore. C’è l’uomo che si sente realizzato solo se ha al fianco una donna bellissima, oppure la donna che si sente sicura solo se sta con un uomo ricco. Non è sempre questione di soldi: è una ricerca di protezione da paure interne.

L’amore non è mai del tutto privo di bisogno, ma può diventare più autentico se siamo in grado di vedere davvero l’altro, di preoccuparci per lui o per lei, non solo per quello che ci può dare.

Se invece ci preoccupiamo solo di essere amati, ma non ci interessiamo davvero dell’altro, non stiamo amando. È come un naufrago che cerca un appiglio per non affogare: non guarda chi è l’appiglio, guarda solo che gli serve per salvarsi.

L’amore come via di evoluzione

L’altro è un territorio straniero. È qualcuno che può farci da specchio, aiutarci a conoscerci.

Faccio un esempio: dire “quello che mi hai detto mi ha ferito, perché mi ha fatto sentire come quando…” è molto diverso da dire “mi hai ferito perché hai detto questo”. Nel primo caso c’è riflessione e responsabilità, nel secondo si punta il dito.

L’amore può essere una via di evoluzione. Ricordo una coppia che seguiva un percorso spirituale: riuscivano a fare l’amore anche a distanza, in uno stato di estasi, purissimi. L’amore, se vero e reciproco, può sfociare anche nella magia. Ma deve essere biunivoco, cioè reciproco. Amare chi non ci ama non è amore: è tentativo di riscrivere un passato che ci ha feriti.

Quando siamo certi che l’altro ci ama, perché lo sentiamo, e l’altro è certo del nostro amore, perché lo dimostriamo senza paure o barriere, allora l’amore può diventare una forza evolutiva, anche spirituale.

Non capita spesso, ma è possibile. Perché accada, però, bisogna aver chiuso almeno in parte i “buchi” interiori. Altrimenti, in ogni relazione rivivremo il passato, e mai il presente.

Comunque, ben venga l’amore, perché ci mette in contatto con tutto questo. Anche quando ci ferisce, è un’esperienza che ci insegna, se vogliamo comprenderla.

Invece di dare tutta la colpa all’altro – “mi ha tradito”, “mi ha illuso” – possiamo imparare a riconoscere anche chi non è capace di amare. E distinguere chi non può da chi non vuole amare è già un grande passo avanti.

Bene, questo argomento verrà ripreso più avanti, perché ha ancora molte sfumature.
Grazie a tutti. Un saluto.

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