I giornalisti scrivono la descrizione del proprio Mondo che non è la verità oggettiva perché l’oggettività NON ESISTE

I giornalisti scrivono la descrizione del proprio Mondo che non è la verità oggettiva perché l’oggettività NON ESISTE

Mattia Feltri ha scritto un articolo pubblicato sul quotidiano LA STAMPA che riporta la seguente frase pronunciata dalla Signora Giorgia Meloni: "Non leggo i giornali per non esserne condizionata."

Sono un giornalista pubblicista e scrivo nel mio blog e nei miei profili e gruppi social. Non ho la pretesa di essere oggettivo, perché per le mie osservazioni e i miei studi, sono consapevole che il sistema nervoso è chiuso e che l'oggettività è un argomento utilizzato solo allo scopo di obbligare qualcuno a fare qualcosa che non desidera fare.

I miei scritti, come tutti gli scritti dell'Universo Mondo, non sono oggettivi, né sono LA VERITÀ RIVELATA, sono il Mondo che emerge da dentro di me in riferimento alle perturbazioni che intercettano i miei cinque sensi.

Le persone che leggono ciò che scrivo e che sono consapevoli che il mio scritto è la descrizione di ciò che è emerso dal mio intimo quando i miei sensi hanno intercettato alcune perturbazioni esterne, possono essere interessate, disinteressate o indifferenti al mio scritto. Allo stesso tempo, i miei lettori non potranno in alcun modo esserne INFLUENZATI, perché, per ognuno di loro nel momento in cui lo legge, per i cinque sensi di quello specifico lettore, il mio scritto rappresenta esclusivamente una perturbazione che può essere la causa dell'emersione di ciò che è già suo patrimonio, ma che può anche non far emergere nulla, in quanto nulla che possa essere fatto emergere dal mio scritto è nell'intimo di chi lo sta leggendo.

Può risultare IPNOTIZZATO e quindi MANIPOLATO dal mio scritto, o da qualunque altro scritto, solo il lettore che è ignaro della struttura chiusa del suo sistema nervoso, crede nella REALTÀ OGGETTIVA e quindi all'emersione di quell'emozione fatta emergere dal mio scritto - perturbazione - fa seguire una trasformazione che però, per sua ignoranza, assume le caratteristiche di una realtà rivelata, e conseguentemente per lui diventa la verità assoluta e oggettiva esterna di cui è convinto dell'esistenza.

Ma la nostra realtà è personale, e con le altre persone, con la realtà di ogni altra persona, raggiungiamo solo dei coordinamenti consensuali attraverso il linguaggio dei gesti o quello articolato delle parole.

Buona riflessione.

Approfondimento:
Qualunque sia il suo significato, la comunicazione è essenzialmente, al suo livello più elementare, una relazione, cioè una sorta di incontro tra due elementi o unità differenziate. Infatti, etimologicamente comunicazione (comunicatio) rimanda al principio dell'unità funzionale, del processo dell'incontro.
In quanto relazione, la comunicazione presuppone la capacità fisiologica di percezione o la sensibilità della differenza da parte di un osservatore. Solo ciò che è distinguibile può essere messo in relazione. La comunicazione è, in un certo senso, allo stesso tempo traffico e produzione di differenze.
Come in questo dipinto del pittore italiano del XIX secolo XVII, Arcimboldo, in una struttura gli elementi acquistano significato non per quello che sono, ma per il loro rapporto con gli altri elementi
BUONGIORNO
Vanterie
di Mattia Feltri
"Non leggo i giornali per non esserne condizionata," ha detto Giorgia Meloni a Bruno Vespa, ed è stata accolta, anche da alcuni giornalisti, o con stizza o con sarcasmo. Ma l'aveva detto, e ha pure non pochi predecessori: "leggere i giornali significa disinformarsi" (Silvio Berlusconi), "sfoltire le idee" (Umberto Bossi), "perdere tempo utile per governare" (Giuseppe Conte). "Non li leggo," fa notare con enfasi Luigi Di Maio, "inquinano il cervello," ha detto Roberto Fico, "non li leggo e basta," ha dichiarato Virginia Raggi e il M5S preferito – in questa schiera grillina – Manlio Di Stefano: "non li leggo, mi dice mia madre quello che succede." Ignazio Marino, da sindaco di Roma, disse di non leggerli, ma di usarli per incartarci le uova, e la suscettibilità della nostra categoria armò un'artiglieria di aggettivi. La tradizione, però, è antica: dichiaravano di non leggere i giornali, fra gli altri, Thomas Jefferson e Jorge Luis Borges, Marcel Proust e Giuseppe D'Annunzio, Napoleone III e Charles Baudelaire, secondo i quali non si è gentiluomini se si prende in mano un giornale senza un brivido di disgusto. Dovremmo ormai averci fatto il callo, e specialmente oggi, consapevoli di non vivere in un tempo che passerà alla storia come l'epoca d'oro del giornalismo. E ognuno di noi si venderebbe la madre per intestarsi la battuta di Christopher Hitchens: "sono diventato giornalista perché non voglio che la mia fonte d'informazione siano i giornali." Soltanto direi a Meloni, se leggesse, che un politico che si vanta di non leggere i giornali equivale all'elettore che si vanta di non votare: ci dice come siamo messi.

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