L’uomo che correva senza fermarsi e l’albero che gli insegnò a vivere
L’uomo che correva senza fermarsi e l’albero che gli insegnò a vivere
di Antonio Bruno
Un uomo correva tutto il giorno. Correva al lavoro, correva a casa, correva
persino nei sogni. Credeva che più passi facesse, più vita avrebbe vissuto.
Un giorno si fermò per caso sotto un albero.
Stanco, si sedette all’ombra. Solo allora si accorse che l’albero stava lì da
anni, senza muoversi, eppure aveva dato frutti, riparo, ossigeno.
L’uomo capì che correre serve, ma fermarsi serve
di più: perché è nel silenzio che maturano i frutti, e nell’ombra che si impara
a scegliere.
Morale: non
conta quanta strada fai, ma cosa lasci crescere mentre ti fermi.
C’è un tempo per correre e uno per fermarsi. Un tempo per affermarsi nel
proprio lavoro e un tempo per ricordarsi che il successo, da solo, non basta.
Lo dice la vita di molti, ma ce lo suggerisce anche il buon senso: la
popolarità è un dono prezioso solo se diventa servizio, strumento per
illuminare cause che riguardano tutti, come l’ambiente che abitiamo e il futuro
che lasceremo ai nostri figli.
Non serve essere attori o registi per vivere con
responsabilità. Basta avere un balcone, un orto, o anche solo la pazienza di
piantare un seme: è lì che impariamo che la vita chiede fatica, ma ripaga con
frutti che hanno il sapore della gioia.
C’è chi preferisce chiudere gli occhi davanti
alle emergenze, ma a che serve negare la realtà? Se ci ammaliamo, andiamo dal
medico. Se non capiamo, chiediamo a chi ne sa più di noi. Fidarsi della
competenza non è un atto di sudditanza, ma di intelligenza.
Eppure, oltre ai numeri e alle statistiche,
c’è bisogno di parole buone. Raccontare non solo i disastri, ma anche le
soluzioni: gli uomini e le donne che trasformano scarti in ricchezza, errori in
seconde possibilità, difficoltà in lavoro. Sono loro gli eroi del presente: non
facinorosi, non romantici senza futuro, ma cittadini illuminati che ci
dimostrano che un altro modo di vivere è possibile.
Infine, la memoria. Chi ha conosciuto la
guerra e la povertà vera sapeva distinguere il necessario dal superfluo. Oggi
rischiamo di smarrire quella bussola. Forse il consiglio migliore che possiamo
darci è proprio questo: coltivare la memoria dei sacrifici di chi ci ha
preceduto, senza rinunciare all’ironia. Perché l’ironia salva dal fanatismo, e
la memoria salva dal vuoto.
E allora, corriamo pure. Ma impariamo anche a
scegliere quando fermarci. Non per perdere tempo, ma per guadagnare senso.
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Coltiva
la natura: pianta un albero, un fiore, o anche solo un pensiero
gentile. Ti ricorderà che la vita cresce con cura e fatica.
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Fai
della tua voce un servizio: la popolarità non è solo dei famosi;
ciascuno ha il suo piccolo pubblico, fatto di figli, amici, colleghi. Usalo per
seminare fiducia, non paura.
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Ricorda
chi sei stato: la memoria della povertà e della guerra, anche se non
l’abbiamo vissuta, ci aiuta a distinguere l’essenziale dal superfluo.
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Fidati
degli esperti: se ti ammali vai dal medico, se non sai chiedi a chi
conosce. L’opinione non è sempre competenza.
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Cerca
il positivo: invece di ripetere solo disastri, racconta anche
soluzioni. È così che si accende la speranza.
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Valorizza
il lavoro vero: quello che nasce dalle mani, dall’ingegno e dal
rispetto dell’ambiente, perché crea futuro senza consumare il presente.
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Ridi
di te stesso: l’ironia è una corazza leggera contro la vanità e il
fanatismo.
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Scegli
di fermarti: lavorare senza sosta è sopravvivere, non vivere. Impara a
selezionare, perché non tutto merita la tua energia.
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Custodisci
l’amicizia e gli affetti: sono loro a dare senso alle corse e alle
soste.
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