Animali fantastici su un cratere di Rudiae e su un pilastro dell'anfiteatro di Lecce
Animali fantastici su un cratere di Rudiae e su un pilastro dell'anfiteatro di Lecce
di Antonio Bruno
Nel cuore antico del Salento, c'è un vaso che racconta una storia
incredibile. Si trova nel Museo Archeologico di Lecce, tra tante ceramiche
greche, ma questo cratere ha qualcosa di diverso. Qualcosa di stranamente
moderno, inquietante, affascinante.
Su quel vaso, dipinto a mano duemilatrecento anni fa, compare un animale che
non esiste. Ha il corpo di un gallo, il collo lungo e flessuoso di un cigno, la
testa di un satiro con barba e corna, le zampe posteriori di una locusta. Una
creatura impossibile, un puzzle mitologico, come se l'artista volesse radunare
gli dei in una sola bestia.
Non è il solo esempio. Già gli studiosi ne parlavano, come il professor
Hafner, che citava vasi simili rinvenuti in Grecia e in Asia Minore. Ma nessun
altro essere fantastico somiglia a questo. Ed è proprio questa sua unicità a
colpire.
Era un simbolo? Un rito? Un amuleto per proteggere il defunto, come si
faceva in quei secoli? Forse. Perché ogni parte di quel corpo animale ha un
significato profondo.
La testa barbuta, con le corna e il naso camuso, ricorda Pan, il dio dei
boschi e dei suoni misteriosi. Sul suo capo svetta una cresta di grifone, la
bestia mitica per eccellenza, spesso associata al mondo dei morti. Il collo di
cigno rimanda ad Apollo, dio della musica e della luce, ma anche protettore
dell'anima nel suo viaggio verso l'aldilà. E il corpo del gallo? Era sacro a
Men, un dio lunare venuto dall'Oriente, adorato dai Pitagorici e invocato come
guaritore e salvatore. Proprio a lui era vietato offrire in sacrificio il gallo
bianco, animale puro, totem di vigilanza e rivelazione.
Anche le zampe di locusta, così strane su un dorso da volatile, hanno una
spiegazione. Simbolo di resurrezione e rinascita, legate al demone Alybas,
ministro di Demetra, dea dei raccolti e delle stagioni, signora della morte e
del ritorno.
Un mosaico di divinità, dunque. Una preghiera figurata. Come se il pittore
avesse voluto costruire una Pantea Signa, un'immagine totale, capace di
proteggere il morto da ogni male. Una forma di sincretismo religioso, dove Pan,
Apollo, Men e Demetra si tengono per mano nel corpo di un mostro.
E non è tutto. Sempre a Lecce, durante gli scavi del 1938, emerse un altro essere
fantastico. Questa volta scolpito nella pietra, su un pilastro dell'anfiteatro
romano. Un grifone. Ma non uno qualsiasi. Ha due piume sulla testa, una coda
ricurva, zampe di aquila. E un fallo in bella vista, tra le zampe.
Anche qui, il messaggio non è banale. Il fallo era un simbolo contro il
malocchio, un portafortuna romano che si vede ancora oggi sui muri di Pompei.
Ma il grifone è molto di più: è un guardiano, un genius loci, un essere posto a
protezione dei luoghi sacri e pubblici. Dall'antica Siria alla Grecia, passando
per l'arte etrusca e persiana, il grifone è sempre stato associato alla difesa,
al mistero, alla soglia tra due mondi.
Così Lecce, oggi capitale del barocco, ci parla ancora con le voci della sua
antichità. Con i suoi mostri. Che non fanno paura, ma ci raccontano la fede, la
speranza, l'immaginazione di un popolo che non si arrendeva nemmeno davanti
alla morte. E chiedeva agli dei, con forme nuove e antiche insieme, di vegliare
su chi restava e su chi partiva.
Anche nei secoli più lontani, gli uomini cercavano protezione. E creavano
arte. A volte sublime, a volte enigmatica, sempre umanissima.
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