Come faccio quello che faccio: le mie relazioni con le persone che incontro




Ci ho riflettuto e sono arrivato alla conclusione che io come individuo sono stato concepito, sono cresciuto, vissuto e morirò immerso in un coordinamento dei miei comportamenti con i comportamenti delle altre persone nei quali parliamo e riflettiamo facendo uso del linguaggio. Ne consegue che la mia individualità in quanto essere umano è sociale, le la mia esistenza quindi è sociale.
La storia di ognuno di noi è fatta con il linguaggio e questo è un modo per coordinarsi nel vivere insieme con le altre persone: in base a ciò di cui parliamo, in base a ciò che diciamo, ci muoviamo nelle relazioni e costruiamo la consapevolezza di noi stessi.
Quindi, la prima cosa che mi viene in mente è che è fondamentale non desiderare di manipolare le persone. Nel momento in cui ho una conversazione con qualcuno, quindi la prima cosa che faccio è accettare la legittimità di ciò che dice l'altro. Non si tratta di essere o non essere d'accordo, ma di riconoscere che la sua storia, quella che sta raccontando, deve avere delle fondamenta.
Tutto questo dipende dall'emozione con cui ci si avvicina all'altra persona. Oggi si parla molto di narrazione: ogni persona costruisce la narrazione della propria storia, o la narrazione della propria realtà. Ma le persone, noi, tutti insomma, anche tu, non viviamo nella narrazione. Io so che non posso avere accesso diretto a ciò che mi è successo vent'anni fa, perché vivo ora.
Faccio riferimento alla narrazione e la esprimo come descrizione di ciò che ho vissuto, ma il racconto di quello che ho vissuto non è quello che ho vissuto. Quello che ho vissuto è qualcosa che è già successo ed io sono qui, altrove da dov’ero allora, come conseguenza di quella storia.
Gli psicologi a volte dicono che puoi cambiare la narrazione, raccontando il passato in un modo diverso, partendo dal presupposto che vivrai il presente in un modo diverso dal passato. Ma questo non succede. Ciò che invece accade, anzi, deve accadere è che ognuno vive il suo presente da una diversa comprensione.
Secondo me tutto parte dall’emozione. L'emozione si riferisce a come io, in quanto persona, mi trovo nello spazio relazionale. Se ci sono coordinamenti comportamentali consensuali, è perché lo spazio relazionale si basa sul riconoscimento e sull'accettazione dell'altro. Solo da lì può emergere una nuova prospettiva.
Io incontro tante persone ogni giorno, una diversa dall’altra, tutte con ruoli uno diverso dall’altro ed ho come presupposto, il fatto che desidero rispettare tutte queste persone con le quali entro in contato quotidianamente.
La questione che pongo a me stesso è che desidero essere consapevole, ovvero sapere, quand’è che accade che io mi senta rispettato dalle persone che incontro e con cui ho delle conversazioni. Ci ho riflettuto e sono arrivato alla conclusione che questo accade quando il mio interlocutore si sente visto, ascoltato e accolto, e soprattutto quando percepisce che non sto tentando di manipolarlo.
Quando sto con una persona, quella persona che ho di fronte, nella relazione con lei, faccio in modo di essere consapevole sempre che non è come se stessi di fronte ad uno specchio, perché quella persona è qualcuno che risponde alle mie domande e a cui rispondo quando lui mi fa delle domande, il tutto con un vicendevole invito a riflettere.
È solo questo che mi consente, in ogni circostanza, di avere comportamenti adeguati alle situazioni che mi trovo a vivere.

Antonio Bruno Ferro

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