NASCITA DEL PARTITO AMBIENTALISTA ITALIANO io spero distinto e distante da qualunque religione ed ideologia

 

In relazione alla notizia che riporta Cotugno nel giornale “Domani” di oggi 2 gennaio 2023, ovvero della
NASCITA DEL PARTITO AMBIENTALISTA ITALIANO, voglio sottolineare la necessità e l’urgenza di porsi la domanda "cosa tenere di ciò che c’è?" o meglio, “cosa desideriamo conservare così com’è adesso?” che è mia opinione sia fondamentale nel processo costituente di qualunque coordinamento consensuale tra cittadini che desiderano ottenere la responsabilità della gestione e amministrazione dei nostri beni comuni primo tra tutti l’ambiente ed il paesaggio. Quindi è mia opinione che questo tentativo di un nuovo contratto sociale, a favore delle "aree verdi e della natura" dovrebbe essere il progetto comune dell’intera società e che, sempre secondo la mia opinione, sarebbe davvero riduttivo, se non addirittura velleitario, se fosse un progetto della sola sinistra e, da quello che leggo paventato dall’articolista, nemmeno di tutta la sinistra.

È sempre mia opinione che questo progetto debba essere l’"Etica ambientale per una nuova Italia”

Invito tutti noi a riflettere sulle abitudini che abbiamo, sulle cose che facciamo, riflettere per andare avanti, tenendo conto dell'etica dei tempi, e abbandonare pratiche che non vogliamo, come ad esempio quella di estrarre risorse naturali pensando che siano infinite, ingannando noi stessi, per finalmente optare per quelle abitudini che migliorano la qualità della vita e favoriscono l'ambiente.

Un nuovo modello di vita diventa necessario perché quello attuale è un modello di enormi disuguaglianze sociali e ambientali.

Mi aspetto da questo nuovo partito una serie di dialoghi con la comunità, al fine di creare un nuovo stile di convivenza sociale che garantisca un modello sostenibile basato sulla conservazione della biodiversità.

Mi aspetto che questo partito promuova le conversazioni perché nelle relazioni umane la cosa fondamentale è ascoltarsi, ma per questo bisogna che la persona possa partecipare alle conversazioni senza ESSERE SOTTO OSSERVAZIONE ATTRAVERSO GLI OCCHIALI dei pregiudizi, dei presupposti o dei requisiti.

Voglio sottolineare che questa stessa frase può essere applicata agli organismi viventi, soprattutto tenendo conto che avvicinandomi alla natura come dottore agronomo, mi sono trovato a notare che ci ero arrivato con molti preconcetti precedenti che spesso mi hanno impedito di capire cosa stesse accadendo, con un'interpretazione molto scientifica dell'ambiente, con la quale molte volte ho frainteso ciò che stavo osservando.

In questo senso desidero richiamare l'invito di Maturana ad accostarsi alla conoscenza in questo contesto "con l'innocenza dei bambini".

Faccio l'esempio dei parassiti, li ho conosciuti e ho saputo che hanno una cattiva reputazione, ma una volta che mi sono sbarazzato di quei pregiudizi ho potuto vedere il ruolo ecologico che hanno in un ecosistema.

Il nostro modo di vivere nell’ambiente mi fa scrivere che ci troviamo in un tremendo vuoto tra le persone e gli ambienti naturali, alludo in particolare al concetto di estinzione dell'esperienza in un incontro diretto tra noi e l’ambiente. Un esempio di ciò è che per spiegare la natura, leggiamo nei libri di testo scolastici, che vengono utilizzati per lo più campioni di animali o piante esotiche, piuttosto che autoctone.

Voglio che riflettiate sulle mie osservazioni che mi hanno fatto divenire consapevole che molti degli incontri dell'essere umano con la natura sono attualmente mediati da elementi come libri, formati audiovisivi o dati, a scapito di incontri diretti che danno la possibilità di generare empatia o saggezza, nel senso di conoscere come vivere nello spazio che ci corrisponde e che abitiamo.

Le campagne che circondano le nostre citta ed i nostri paesi sono uno spazio esterno di riflessione, dove il concetto di "outdoor" è fondamentale nell'educazione, soprattutto ambientale, e permette di "vagare" ed esplorare sensazioni personali focalizzate sullo spazio biofisico che ci circonda, per comprendere l'ambiente in modo amorevole, nel senso che sono gli spazi che abitiamo che ci permettono di svilupparci come persone in termini di qualità della vita e benessere.

La campagna circostante costituita da muschi e licheni, tende nel luogo della nostra esistenza quotidiana a riflettere su valori per esemplificare quella diversità poco percepita, rispetto ad elementi come i grandi alberi o gli uccelli, che sono loro che ricevono tutta l'attenzione.

Invito a queste visite nelle campagne circostanti facendo riferimento alla teoria di Maturana su come ogni individuo percepisce il suo ambiente e come lo interpreta.

Nelle nostre campagne sono presenti alcune specie di alberi più grandi, rispetto alle 1.500 specie di muschi e licheni.

È radicalmente diverso ciò che si può osservare, o l'esperienza che si può fare, quando si cammina attraverso le campagne circostanti alle nostre città se si guarda in alto, come si fa sempre in una foresta, rispetto a ciò che si può trovare se si guarda in basso.

Attraverso l'educazione si possono ottenere trasformazioni di abitudini, e lo scrivo per sottolineare come le campagne circostanti alle città non forniscano solo informazioni sull'ambiente, ma rappresentino anche un modo per comprendere come le varie specie siano legate e costituiscano un unico modo di vivere. Tutto questo in un ambiente dove tutti gli esseri viventi sperimentano i cambiamenti del clima.

Si tratta di quello che io chiamo “ecoturismo con la lente d'ingrandimento”, ed è un esercizio che può essere svolto anche insieme a scolaresche. Questo che può sembrare un piccolo intervento, è un concetto chiave nella sostenibilità ambientale.

autopoiesi

Un'altra frase di Maturana che mi piace citare è "gli esseri viventi sono sistemi autopoietici molecolari, cioè anche noi umani siamo sistemi molecolari che produciamo noi stessi, e la realizzazione di quella produzione di sé stessi come sistemi molecolari costituisce la vita".

Per me questa frase ha molto senso, perché in termini di dati ero molto preoccupato per l'esistenza o meno di organismi, cioè andare in un posto e valutare quali specie sono presenti e quali no, e da quell’osservazione, interpretare. Tuttavia, 'vivere' è diverso da 'essere vivente' nel senso che è un verbo, e un verbo che può avere una caratteristica positiva nel caso del benessere, o negativa nel caso del danno all'organismo, perché c'è contaminazione, frammentazione, esclusione dell'habitat.

La capacità di autorganizzazione nel perseguimento del benessere che ogni organismo possiede ha fatto pensare che questa potesse essere estrapolata a sistemi superiori, come le società, idea alla quale però lo stesso Maturana non era molto incline .

Secondo me la vita o il benessere di un organismo, alla fine è più importante dell'organismo stesso, cioè "se un organismo non ha una buona qualità di vita, cominciamo ad entrare in concetti che possono essere molto in voga oggi come l'eutanasia o il diritto di scegliere se vivere oppure no.

Ricordo ancora la citazione di Maturana secondo cui "la cosa centrale è guardare al modo di vivere tra i diversi tipi di esseri viventi e questo risponde alla domanda su cosa significhi essere vivi: la vita non è come un sogno irrealizzabile, ma è vita ovveroi vivere come processo”.

Questo può essere collegato al concetto di "lente d'ingrandimento ecologica" e all'"approccio a tre abitanti umani, habitat e organismi viventi, nel senso di riconnessione con gli habitat naturali con la rivalutazione dei coabitanti che ci sono e la rivisitazione dei rapporti tra i coabitanti e il loro territorio.

Ecco perché è importante essere in un territorio e la valutazione con criteri scientifici di quel luogo, oltre che la necessità di riconnettersi con il luogo stesso.

L'importanza del linguaggio

Un'altra frase di Maturana a cui voglio alludere per indicarla a questo partito ambientalista italiano è che il linguaggio "non è un sistema di comunicazione o trasmissione di informazioni, ma un sistema di coesistenza nel coordinamento di desideri, sentimenti, azioni, in qualsiasi dimensione di convivenza che si sta verificando nel presente". Un esempio è nominare un insieme di alberi "foresta" o "risorsa foresta".

Guardando indietro alla mia esperienza professionale, quello che facevo era trasmettere informazioni, uno tsunami di dati tecnici, modi teorici di comprendere il mondo, tralasciando completamente i miei desideri, i miei sentimenti e il mio modo di fare le cose nell'ambiente naturale.

Tuttavia, devo collegare ulteriormente tutto questo a quella che posso definire "la sovranità del linguaggio" e il suo "trasferimento di una visione del mondo".

Per comprendere meglio possiamo prendere in considerazione come esempio il nome scientifico del Magellan coihue, un albero che i botanici europei chiamavano "nothofagus betuloides". Questo, tradotto, significa che si trattava di un "falso fagus" e di una "falsa bétula". Cioè, gli europei hanno chiamato la specie per quello che non era, prendendo come punto di partenza le specie che conoscevano dall'Europa.

Questo linguaggio rivela un eurocentrismo, un'omogeneizzazione culturale da questo tipo di concezione del linguaggio. Con questo (voglio) esprimere che il campo accademico non è esente da questa situazione. Non siamo proprietari della nostra lingua, nemmeno nel campo scientifico, anche se sta lentamente cambiando, riflettendoci ci sono nuove specie che sono state denominate in base ai contesti locali, come i popoli originari, i luoghi o i loro scopritori.

Buona riflessione

LA NOVITÀ POLITICA DEL 2023
Dalle piazze ai voti, l’anno del partito ambientalista
I nuovi movimenti sono stati prima corteggiati e poi snobbati dai partiti tradizionali alle elezioni di settembre, ora fanno da soli. A Brescia c’è un primo esperimento con Monica Frassoni e Giovanni Mori, ma l’ambizione è usare il 2023 come palestra in vista delle europee del 2024. Ci sono idee e ambizione, manca un leader
FERDINANDO COTUGNO
MILANO
L’apparizione di nuovo partito ambientalista nella politica italiana è nell’aria, è qualcosa in meno di un progetto concreto, ma è già qualcosa in più di un pensiero comune.
La suggestione è condivisa dalle parti più avanzate dell’ecologia politica italiana, quella che in questi anni si è aggregata intorno ai movimenti per il clima, rimasti scottati dalle ultime elezioni, le prime da quando in Italia sono apparsi Fridays for Future & C.
Cinque anni di attivazione politica, di lotta, di elaborazione, di piazze e di masse per arrivare a un governo che per i successivi cinque rischia di sospendere qualunque azione per il clima in Italia, come dimostra
la desolante assenza dell’Italia dalle ultime Cop27 per il clima in Egitto e Cop15 per la biodiversità in Canada.
Allo stesso tempo, nel fronte amico e sensibile, il Partito democratico è allo sbando, il Movimento cinque stelle è tornato alla sua comfort zone del giustizialismo, Europa verde non trova da decenni il modo per sollevarsi dalla sindrome del 2 per cento.
La lettura è che l’azione dal basso partita nel 2018 dovrà a un certo punto darsi l’ambizione di arrivare anche in parlamento, perché questi partiti nessuno ha più il tempo di aspettarli, e nel frattempo i più grandi di quella generazione di attivisti, nati nei primi anni Novanta, iniziano ad avere un’età in cui è legittimo sperare di fare l’assessore, il sindaco o il ministro nei prossimi cicli politici.
Laboratorio Italia
A favore di questa ipotesi c’è il fatto che questa generazione inizia a essere pronta, lo status di laboratorio dell’Italia – un paese che il pregio di essere un posto dove le cose succedono molto velocemente – il contesto stretto della politica italiana, immobile e compatta nell’ignorare la crisi climatica, e la crisi climatica stessa, diventata sempre più vistosa nel 2022.
«Le ultime elezioni parlamentari di settembre sono state un momento critico per il movimento per il clima, che si è necessariamente dovuto interrogare su come porsi nei confronti della politica istituzionale », ragiona Gabriella Sesti Ossèo, ricercatrice universitaria focalizzata da anni proprio su Fridays for Future e co-fondatrice di Fantapolitica!, un progetto di formazione e supporto a candidati alle ultime due amministrative
che avessero una visione di giustizia climatica e sociale.
Attraverso la scuola di Fantapolitica! sono arrivate nei consigli comunali le prime figure legate a Fridays e interessate a spendere quel percorso nelle istituzioni, come Francesca Ghio a Genova e Sara Diena a
Torino.
Quest’ultima ha di recente spinto il comune ad aderire al fronte per la creazione di un “Trattato internazionale di non proliferazione delle fonti fossili”, prova che un’innovazione politica è possibile, anche
in Italia.
L’agenda climatica
Fridays for Future si era riunito in assemblea europea al Climate Social Camp di luglio, proprio a Torino, da lì era uscita l’idea di partecipare alle elezioni di settembre con una serie di proposte legate al clima, l’ecologia e la giustizia sociale.
Quell’agenda climatica ha legittimato la sensazione che l’elaborazione ecologista dentro i movimenti sia molto più avanzata e concreta anche di quella dentro Partito democratico o Movimento cinque stelle, per non parlare degli altri, anche grazie alla fitta rete di rapporti stretti in questi anni con accademia, ricerca e società
civile.
Dall’altro lato ha però mostrato come questo tipo di proposte siano fin troppo facili da blandire e ignorare.
«C’è una discussione interna in atto su cosa fare nel dialogo con la politica. Fridays for Future, a differenza di tanti altri movimenti, non ha un atteggiamento di chiusura, uno dei suoi obiettivi è spingere i politici a prendere decisioni, il problema è che non esistono dei referenti dall’altra parte.
A livello locale questo stallo si risolve con l’autorappresentanza, singoli attivisti che scelgono questa strada mettendosi in proprio dentro liste più o meno accoglienti. A livello nazionale è più complesso, proprio perché non esistono partiti in grado di essere in ascolto dall’altra parte di questo dialogo. Ma avere il movimento Fridays più grande d’Europa è la dimostrazione che nella politica italiana c’è un vuoto che in qualche modo va colmato».
Il test a Brescia
Contro l’ipotesi della nascita di un partito ambientalista ci sono tanti elementi quanti quelli a favore, a partire dall’esistenza di un partito come Europa verde, una delle esperienze più antiche nella storia politica italiana, che non è in grado di innovare la propria azione e allo stesso tempo fa da tappo alla nascita di un nuovo soggetto, presidiando il tema, il territorio e anche il colore. Ma il vero, grande problema è un altro: il tempo. Lo spiega bene Monica Frassoni, una lunghissima esperienza nell’ambientalismo politico italiano, che in questa stagione ha deciso di allevare una lista civica ambientalista a Brescia che è esattamente frutto di tutto questo fermento e inquietudine politica, con portavoce Giovanni Mori, uno dei leader storici del movimento.
Da qui alle prossime elezioni nazionali, teoricamente nel 2027 poi chissà, «ci sono una serie di passaggi molto stretti, a ciascuno dei quali si rischia di bruciarsi e perdere tutto il progresso».
La nascita di questo partito ambientalista è come un videogame nel quale non si può sbagliare nessun livello, perché non ci saranno seconde chance: per primo c’è il prossimo ciclo di elezioni amministrative,
regioni ma soprattutto comuni, dove presentarsi con una serie di liste civiche a trazione Fridays, anche a Bari c’è un progetto in questo senso, ma Brescia attiva di Frassoni e Mori è quella più esplicitamente rivolta e costruita con questo tipo di elettorato che parte dall’attivismo ecologista.
Poi ci saranno le elezioni europee del 2024: «In meno di due anni si deve riuscire a costruire una lista in grado di andare intorno almeno all’8 per cento, per dimostrare che c’è una vera base di consenso di opinione intorno a questa idea, altrimenti tutto questo capitale politico sarà inutile».
Se l’embrione del partito ambientalista sarà sopravvissuto al primo livello, le liste civiche alle prossime comunali, e al secondo livello, la lista di opinione alle europee, avrà fino a tre anni per costruire su quelle fondamenta un partito in grado di sostituire quello che fino a oggi abbiamo conosciuto come i Verdi ed essere un fianco sinistro radicale ed ecologista del Partito democratico alle prossime elezioni.
L’assemblea nazionale
Un passaggio decisivo di questo percorso sarà la prossima assemblea nazionale di Fridays for Future, che si terrà alla fine di febbraio a Bari, una delle città dove l’inquietudine politica è più promettente e vitale.
Tra i temi in agenda c’è la «struttura», che nel cauto linguaggio del movimento sulle sue cose interne significa iniziare a immaginarsi come un soggetto meno fluido e più in grado di incidere sulla realtà materiale della politica italiana.
Come spiega Sesti Ossèo, che segue Fridays dall’inizio e che conosce l’umore di ogni singolo nodo locale, «certo che stanno pensando alla politica, ma con come attore collettivo, non vedremo la trasformazione
diretta da movimento a partito».
Il punto è la ricerca di una via di mezzo tra il «partito Fridays for Future», che è impossibile, e l’avventura individuale dei singoli attivisti, che a livello locale ha portato qualche risultato ma che a quello nazionale è stata irrilevante, l’unica persona che ha provato a fare il salto dalla piazza al parlamento è stato Andrea John Dejanaz con Europa verde e Sinistra italiana, senza per altro riuscire a entrare alla Camera.
La strada di un partito ambientalista puro è sbarrata non solo dall’esistenza di Europa verde, ma anche dall’evoluzione della politica ecologista contemporanea: il clima non è un tema politico, come era l’ambiente negli anni Ottanta quando nacquero i Verdi, ma è una chiave per leggere tutti gli altri temi che devono popolare e progressista.
Non serve un nuovo ambientalismo di sinistra, ma una nuova sinistra politica radicale fondata sull’ecologia, e sarebbe un modo per compensare sia le debolezze dei Verdi – partito troppo stretto e poco ambizioso – che del Pd – partito troppo ampio, ma senza un centro né alcuna presa sulla contemporaneità.
Brescia in questo scenario può essere un punto di partenza interessante, qui Fridays for Future è il motore
umano, politico e tematico di una lista che non ha però l’intenzione di presentarsi come esclusivamente ambientalista.
«Brescia è un laboratorio ampio, perché ci sono le risorse, la città è stata amministrata bene negli scorsi anni e quindi non ti devi porre il problema delle buche, puoi anche sperimentare un’evoluzione del linguaggio e dei temi della crisi climatica», spiega Giovanni Mori, uno di quelli che stanno facendo il salto.
È stato portavoce nazionale Fridays for Future della prima ora ed è una delle figure più riconosciute e apprezzate del movimento, per il quale è rimasto una specie di ministro della transizione ecologica
ombra, grazie alle sue competenze energetiche.
Il tandem Mori-Frassoni è un’alleanza tra nuovo e vecchio ambientalismo, per uscire dalla bolla e parlare a una città dominata da una triade difficile da convincere: curia, A2A e Confindustria.
La lista Brescia attiva alle elezioni che si terranno all’inizio dell’estate 2023 sarà un esperimento decisivo per capire se le agende Fridays possono sfondare anche nelle parti produttive di una delle città più ricche d’Italia, che per altro esce da due mandati di amministrazioni di sinistra (con il sindaco Del Bono che inizia a essere un politico di rilevanza nazionale nel frattempo).
«È un modo per riprendere quel percorso di nascita di un’Alleanza per la transizione ecologica lanciato dall’ex ministro dell’ambiente Edo Ronchi l’anno scorso e soppresso dalla caduta del governo.
Serve proprio quello che era stato immaginato da Ronchi, un fronte che tenga insieme l’attivismo, l’associazionismo e l’economia green».
La vera grande sfida è qui, far parlare tutti i pezzi di un mondo che riesce a essere federato e compatto molto più nella protesta contro l’esistente che nella costruzione di un futuro nuovo. In questo Fridays non è ovviamente il partito nuovo che l’ambientalismo aspetta, ma può essere il catalizzatore di tutto il processo,
grazie alla freschezza, alla base di consenso e alla credibilità accumulata in questi anni.
A Brescia sta succedendo esattamente questo, il disegno di uno schema replicabile altrove.
«Ci avevamo provato anche con le regionali in Lombardia, ma i tempi erano davvero troppo stretti per costruire qualcosa», conclude Frassoni.
In cerca del leader
Un’altra incognita di questo percorso è che mentre tre partiti in questo campo hanno un’identità chiara e stabile (Movimento cinque stelle, Sinistra italiana, Europa verde), il più grande e importante di tutti, il Partito democratico, è nel pieno una trasformazione furibonda sul cui esito ogni scommessa o ipotesi è possibile.
Una vittoria di Stefano Bonaccini e una transizione verso il Terzo polo e il centro sarebbe vissuta come un effetto galvanizzante dal mondo ecologista italiana, anche perché un lato poco raccontato del presidente
dell’Emilia-Romagna, ma molto mal visto dentro i movimenti, è la sua vicinanza alle ragioni dell’industria dei
combustibili fossili, dalle trivelle di gas in Adriatico ai progetti di cattura e stoccaggio della CO2 pilastro dell’idea di decarbonizzazione di Eni.
Il secondo esito possibile del congresso del Partito democratico, cioè la vittoria di Elly Schlein su una piattaforma che metta l’ecologia al proprio centro, potrebbe cambiare lo scenario, ma probabilmente non in modo profondo.
«L’unico cambiamento che si vede, da fuori il Pd, è quello di sostituire un leader debole con un leader più forte e riconoscibile. Schlein aveva una base territoriale di riferimento ma l’ha completamente ignorata in questo suo percorso verso la segreteria».
Ci sono altri ostacoli più interni al movimento ecologista. Il primo è la voglia di mettersi davvero in gioco, di mettersi davvero in questo gioco. Come dice Monica Frassoni, che di ambientalisti con ambizioni politiche ne ha conosciuti tanti, «la scommessa di Brescia Attiva e di tutti i progetti analoghi che stanno sorgendo in Italia è portare i Fridays for Future a fare una scelta di campo che non hanno ancora fatto del tutto e che è necessaria, perché non si può rimanere sospesi a lungo, e perché si invecchia, non sono più liceali, molti non sono più nemmeno universitari, non ha senso fare i vecchietti dentro i movimenti giovanili, e quelle competenze accumulate in questi anni non possono essere sprecate».
Frassoni ha ragione, perché da un lato i movimenti per il clima sono stati una stagione di attivazione, una scossa al sistema, dall’altro hanno anche rappresentato anche una formidabile scuola di formazione politica, che ha plasmato i protagonisti di una nuova aspirante classe dirigente all’altezza della sfida principale che attende ogni paese nei prossimi decenni, la crisi climatica.
E qui c’è il secondo grande tema: questo è un movimento ancora privo di leader, di figure riconoscibili nei quali si possa riconoscere il pezzo d’Italia che non è sceso in piazza in questi anni ma si identifica con il campo della sinistra e con l’ansia dell’ecologia.
È la grande mancanza del movimento: «Nella storia della sinistra ci sono sempre stati tanti piccoli Lenin, uno stile di leadership testosteronico, nel quale hanno sempre fatto fatica a emergere le combinazioni di carisma, talento e competenza che hanno permesso a una Alexandria Ocasio-Cortez di diventare un punto di riferimento negli Stati Uniti», conclude Sesti Osséo.
Al di là di liste, temi e alleanze, all’ecologia politica serve urgentemente anche questa cosa: un volto e una voce in grado di parlare all’Italia tutta.
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