Verso le conversazioni amorevoli

 



Riflettevo sulle parole che sono emerse e che ho scritto a tutti voi dopo il graditissimo invito dell’amico Antonio Zoretti per la serata di oggi a Lecce presso la Biblioteca Bernardini dove ci sarà la restituzione del laboratorio teatrale sul patriarcato.

Le parole sono le seguenti:

“Se lo capiste, non pretendo siate troppi, un po' di voi... magari solo un po' di voi...”

Perché nutro in cuor mio il desiderio di coordinarmi con altre persone sul tema della collaborazione nel reciproco riconoscimento di legittimità e rispetto?

La mia trasformazione avvenuta nelle conversazioni con Humberto Maturana è ancora in corso, quindi la mia emozione di benessere dovrebbe essere per me più che sufficiente, al punto di continuare per la mia strada, senza occuparmi o preoccuparmi per voi tutti.

E allora perché sento il sincero desiderio di condividere con chiunque questo modo di vivere?

Perché continuo a descrivere e spiegare il modo in cui si manifesta la sensibilità amoroso-popolare? Perché continuo a illustrare credenze e visioni in cui l’emotività amorevole nutre le dimensioni simboliche dei nostri mondi?

Perché illustro, quindi, progetti impegnati nella vita (aperti alla fiducia, alla convivenza e alla piena accettazione dell'altro), sebbene sono consapevole dei contesti minacciosi, gerarchici e avversi, presentati dalla logica del potere, sono ostacoli al punto di tentare di mettere a tacere questi progetti stessi?

 

Noi 60 – 70enni veniamo da una cultura che è la matrice che genera una particolare visione dell'esistenza rispetto a quella ufficiale dominante, tale cultura da cui proveniamo è caratterizzata dalla sensibilità amorevole-conviviale che permea credenze, valori, parole e molte delle nostre pratiche.

La cultura di noi 60-70enni è apertura a un ambito di senso comprensivo, e la nostra è una visione che rimanda a un'esperienza in cui il motivo della relazione di convivenza più rilevante si manifesta nel posto di preminenza che la comunità occupa nella sua capacità di mutua integrazione. Cioè, la vita è valorizzata nel rapporto che si instaura con la comunità e con la natura nel suo insieme.

Un'affermazione come questa, che non pretende di essere essenzialista, rivela che la vita non è mai più appagante di quando, appunto, manifesta la forza della convivenza non gerarchica, la vicinanza e la congregazione del corpo comunitario.

La conferma a queste mie osservazioni viene anche da Humberto Maturana, per il quale le conversazioni e il discorso si situa al centro della dinamica comune in cui è assicurata una certa tradizione: "La lingua è un modo di vivere insieme facendo cose insieme in una dinamica ricorsiva di coordinamenti comportamentali che si sono stabiliti nella stessa convivenza".

Se il linguaggio, di conseguenza, esprime l'insieme delle esperienze del vivere comune, sarà l'amare il contenuto più elementare di ogni processo vivente-comunitario: "L'amore è il dominio delle azioni che costituiscono l'altro come legittimo altro nella convivenza con l’altra persona" ( Maturana 54). In questo senso, la vita segue la storia dell'amore attraverso la comunicazione empatica, l'accoglienza e l'accompagnamento. Ciò trova, nelle relazioni sociali fondate sul dare e ricevere, l'autofondazione di una logica dove ogni persona è inserita in una rete di molteplici interrelazioni.

Tale relazionalità sembra essere l'aspetto chiave della coesistenza di noi 60-70 enni che siamo collegati in modo diverso dalla visione funzionale e dominante. I gruppi di noi 60 – 70enni mostrano una sensibilità amorosa che afferma la vita in senso comunitario; in un senso di appartenenza ad una sfera vincolante e congiuntamente più grande. La convivenza presuppone collaborazione, sostegno reciproco e disinteressato. Suppone, infine, un linguaggio di legami, di relazione plurale e partecipativa. Un tessuto di connessioni inclusive e amorose: «Se mi chiedi come si impara ad amare, la risposta è nel vivere le azioni che costituiscono l'altro come legittimo altro nella convivenza» (Maturana 44).

Così, partendo dal principio che ciò che è originario e primordiale entra in relazione con l'esperienza di vita della comunità, questo tipo di conoscenza stabilisce, dalla corporeità comunitaria in connessione e dipendenza, le radici simboliche che rimandano ad una sensibilità amorosa. Da essa tutto è ricollegato e compreso con uguaglianza; così, tutte le dimensioni impegnate dell'esistenza sono necessarie e si avvicinano attraverso una simpatica vocazione al dialogo (sempre attenta a rispondere ai bisogni collettivi). In quanto repertorio di saperi originari, esternalizza un decentramento della ragione-verità-logos dei circuiti giuridici e ufficiali. Si stabiliscono così altri modi di immaginare, concepire e spiegare la vita nel mondo. A partire da questi, le culture popolari mobilitano piccoli-grandi patti con i quali affrontano e resistono alle operazioni di dominio e – fondamentalmente – trascendono la morte.

Di conseguenza, il funzionamento della parola amorosa di noi 60-70enni (come voci rappresentative dei settori che producono i discorsi) sarà descritto come una forza che permette di superare i nodi drammatici e, al tempo stesso, come un strumento di conoscenza del mondo e come modo di proiettare una visione della vita. Questo esercizio, che in un secondo momento ha una portata esplicativa, apre un margine di interpretazione dei comportamenti di noi 60 – 70 enni, nella misura in cui risponde ai fondamenti culturali delle nostre pratiche.

Concludendo si può affermare che, se noi 60 -70 enni che abbiamo la cultura amorevole, ci mettiamo insieme, attiveremo un processo di trasformazione con i giovani che entreranno in relazione con noi,  il piacere che emerge da queste relazioni sono la spiegazione del mio desiderio di conversare con altri esseri umani amorevoli come me.

Buona riflessione

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