Consumismo all’italiana: Un’analisi sarcastica con il tocco di Antonio Bruno
Consumismo all’italiana: Un’analisi sarcastica con il tocco di Antonio Bruno
Eh, già! La ressa natalizia, le code nei templi del consumismo, le cattedrali del commercio che spuntano come funghi nelle periferie! Una scena che potrebbe sembrare uscita da un documentario satirico sulla società contemporanea. E il PIL? Deve crescere più delle prese d’aria nei megastore strapieni.
Ma cosa ci raccontano i media e i giornalisti? "Produrre e consumare!", un mantra che somiglia sempre più a un inno nazionale moderno. E allora eccoci, tutti a dibattere nei bar e sui social: “Investimenti per la crescita economica!”. Ma io mi chiedo: a cosa serve questa frenesia? Siamo davvero sicuri di voler vivere così, in un’eterna rincorsa senza fine? Conservare l'armonia interiore o gettarsi nel vortice del "compra, consuma, ripeti"?
Bauman e il circolo vizioso del consumismo
Il sociologo Zygmunt Bauman lo aveva capito bene: il consumismo ci tiene imprigionati in un loop eterno di insoddisfazione. “La società dei consumi non mira tanto alla soddisfazione dei bisogni quanto alla creazione continua di nuovi desideri”, scrive Bauman in Vite di scarto. Quello che acquistiamo oggi viene svalutato quasi immediatamente; una strategia di marketing sottile, che ci spinge a inseguire incessantemente le nuove necessità create dal mercato.
E allora mi domando, a cosa serve davvero tutto questo consumismo? Lungi dall’offrirci la felicità promessa, sembra piuttosto invitarci a una continua ricerca dell’inafferrabile. Non è solo una questione economica, ma anche etica e sociale: siamo sicuri di voler perpetuare un modello che alimenta disuguaglianze, sfruttamento e degrado ambientale?
Il Natale: tra consumismo e valori dimenticati
Secondo un recente studio di Ipsos e Confesercenti, gli italiani prevedono di spendere mediamente 223 euro per i regali di Natale nel 2023, con un incremento del 13% rispetto all’anno precedente. Tuttavia, considerando l'inflazione, l’aumento reale si attesta intorno al 6%. Questi dati riflettono una realtà paradossale: da un lato, una crescita della spesa; dall’altro, una persistente insoddisfazione. Il rito del dono si è trasformato in un’operazione commerciale, svuotando il Natale del suo significato originario di condivisione e solidarietà.
Una questione di scelte e responsabilità
Non possiamo affrontare questa questione senza porci domande fondamentali su chi vogliamo essere e quale paese desideriamo costruire. Consumismo ed economia di mercato possono coesistere con una visione etica? È possibile immaginare un modello che valorizzi la qualità della vita anziché la quantità dei beni acquistati?
Il filosofo Serge Latouche, teorico della decrescita felice, suggerisce una strada alternativa: “La felicità non si trova nell'accumulo, ma nella riduzione delle necessità” (La scommessa della decrescita). Questa visione richiama l'urgenza di ridisegnare le nostre priorità, puntando su relazioni umane genuine, sostenibilità e un'economia più giusta.
Il trambusto consumista: un’occasione per riflettere
Quindi, forse è arrivato il momento di smontare le certezze che ci vengono propinate e riflettere sulle emozioni che guidano le nostre azioni. Una riflessione che dovrebbe andare oltre il sarcasmo, puntando a un esame profondo delle nostre scelte di vita.
Il Natale e altre festività potrebbero essere l’occasione ideale per riscoprire valori più autentici e meno commerciali. Come scrive il poeta T.S. Eliot: “L’umanità non può sopportare troppa realtà” (Burnt Norton), ma forse, tra una corsa al megastore e l’altra, potremmo iniziare a sopportare qualche briciolo di verità e a rispondere con sincerità alla domanda più importante: cosa vogliamo davvero da questa vita?
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