Il Filosofo e la Magia degli Incontri
Il Filosofo e la Magia degli Incontri
Ieri, un amico mi ha chiamato Filosofo. Una parola che si è aperta come un petalo, e dentro c’era il riflesso di chi sono. O forse solo di chi credono che io sia.
Eppure, non ho protestato. L’ho lasciata scivolare nella stanza, come si lascia scorrere una goccia su un vetro dopo la pioggia. Quella parola mi ha riportato lontano, in un tempo che profumava di pane caldo e biciclette arrugginite.
Era il 1967. Dieci anni e le ginocchia sbucciate, un cielo azzurro che non aveva ancora imparato a spezzarsi. C’era una casa, quella dei miei genitori, e davanti a quella casa c’era lei. Bruna. Una bambina che brillava come il sole, ma che non abbagliava: scaldava.
Non so dove sia oggi Bruna, non so che forma abbia preso il suo sorriso. Ma ricordo quel giorno accanto alla ringhiera del suo giardino, una barriera di ferro che non riusciva a dividere davvero la magia da chi la cercava.
Bruna giocava, rideva, e in quell’istante il tempo decise di sedersi con noi. Parlammo. Parole piccole, parole leggere, eppure ogni sillaba sembrava cadere come un seme nella terra umida. Quando fu il momento di andare, Bruna mi guardò e disse:
“Tu sei Antonio, il Filosofo.”
Quella frase mi rincorse come fanno le onde, che non si stancano mai di tornare. I compagni iniziarono a chiamarmi Lu Filosufu, e io, che a dieci anni non capivo cosa significasse essere un filosofo, decisi di lasciarmi accadere.
Gli anni sono corsi via, come foglie spinte dal vento. Ho lasciato il paesello, intriso di quiete e di una malinconia che sapeva di eternità. Mi sono perso e ritrovato mille volte, ogni volta con pezzi di me che si perdevano per strada.
E poi c’è stata la nostalgia. Ah, la nostalgia. Una sirena che canta dolcemente, ma non ti dice mai la verità. Quello che ricordi non è mai quello che è stato. È una versione addolcita, un sogno costruito con le ombre di ieri. Ho imparato a conviverci, come si fa con la pioggia: non puoi fermarla, ma puoi decidere di ballarci sotto.
Alla fine ho capito che vivere è un atto semplice, ma potente. È fare ogni cosa per la gioia che porta, senza aspettarsi nulla in cambio. Parlare per il piacere di ascoltare, camminare senza una meta, vivere per vivere.
E Bruna? Non c’è più quella bambina che mi ha chiamato Filosofo. Ma ci sono altre voci, altre mani che stringo. Ogni incontro è un battito diverso, un lampo che accade e si dissolve, e in quel dissolversi c’è tutta la magia.
Forse è questo essere un filosofo: accettare che la vita non si capisce, ma si vive. Lasciare che ogni volto, ogni sorriso, ogni istante inatteso si porti via un pezzo di te, per poi restituirti qualcosa di diverso.
Non so se io sia davvero un Filosofo. So solo che ogni volta che accade qualcosa di inspiegabile, mi sento parte di un disegno che non conosco. E in quegli attimi mi perdo, e mi trovo.
E chissà, forse la vita è tutta qui: imparare a sparire, per ricomparire nei cuori degli altri, senza accorgersene.
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