IL MESE DI DICEMBRE Nei proverbi leccesi

 



IL MESE DI DICEMBRE

Nei proverbi leccesi

Quest'anno l'inverno si è annunciato con un brusco principio: nevi quasi dappertutto e una temperatura algida che ha investito persino regioni assai temperate come le nostre Puglie. L'inclemenza della stagione era stata preannunciata da alcuni astronomi stranieri con terrificanti notizie, ma i nostri meteorologi dicono che tali prognostici non hanno serio fondamento scientifico.

Appunto per la prematura recrudescenza della stagione, oramai non c'è più da illudersi: avremo un inverno assai freddo sino a marzo. Questo fenomeno, però, non ha niente a che fare con i pronostici esagerati degli scienziati, bensì con normali ondate di freddo (o di caldo) che ritornano dopo un certo periodo di anni. Gli uomini, tuttavia, tendono a dimenticare i freddi (o i caldi) di altre annate, giudicando inclemente soltanto il tempo che attraversano al momento.

Dunque, niente di anormale. Mettiamoci l’animo in pace: l'inverno sarà freddo a causa delle straordinarie nevicate verificatesi in tutta Europa. E dico sarà, perché finora eravamo in autunno, e soltanto dal giorno 21, con il solstizio di dicembre, siamo entrati nell'inverno.

Continueranno i freddi, anche perché, come dice un proverbio francese:
"Quand on voit un hiver avant Noël, on est sûr d'en avoir deux."
Infatti, prima di Natale è autunno, stagione che dovrebbe essere mite, mentre dopo Natale siamo già nell'inverno, che per sua natura è piovoso e nevoso.


La neve, però, anche se prematura come quella di quest'anno, non arreca danno. Anzi, è notorio che essa è salutare per la campagna. Il nostro popolo, infatti, dice:
"Sutta la nie pane, sutta l'acqua fame."
Questo proverbio risponde alle norme agricole. Sicché può dirsi, con un altro detto:
"Chiange lu pecuraru quandu locca, ma ride quandu se mangia la ricotta."
Significa che il pastore piange quando nevica (perché crede che la neve arrechi danno), ma ride quando si gusta la ricotta, ottenuta grazie all'abbondanza di pascoli dovuta alla caduta della neve.


Che da noi faccia freddo anche prima di Natale è consacrato in altri proverbi:
"Te Natale nnanti - tremanu l'infanti" (variante: "li santi i flanchi")
Prima di Natale tremano soltanto i bambini per un freddo non ancora acuto. Ma, aggiunge il detto popolare:
"Te Natale a mpoi - tremanu le corne de li boi."
Ovvero, dopo Natale il freddo è intenso, tanto che ne tremano persino le corna dei buoi. Graziosa esagerazione che ha anche questa variante:
"Tremanu le acchie, li ciucci e li boi" (tremano finanche gli animali dalla pelle dura).

Natale, come si vede, costituisce una data importante nelle credenze popolari per determinare le vicende meteorologiche:
"Prima de Natale nu friddu nu fame; doppu Natale friddu e fame."
Nelle nostre regioni meridionali è così: il freddo si fa sentire dopo Natale, salvo, s’intende, gli anni eccezionali come quello che stiamo attraversando.


Oltre che per questioni meteorologiche, il Natale dà spunto ad altre considerazioni popolari.
Una tradizione graziosissima, di sapore biblico, è perpetuata in questo proverbio:
"Te Natale descorre ogni animale."
Proverbio che ispirò Giuseppe De Dominicis (il celebre poeta dialettale) a scrivere un dialogo spiritoso tra il Bue e l’Asino nella poesia "Natale", che inizia così:
"Piccinnu miu, la notte de Natale,
propriu all’ura ca Cristu sta nascia,
descorrere se sente ogni animale:
'Nannama, benettanema', decia."


Un altro proverbio ricorda una vecchia usanza locale:
"Te Pasca e de Natale se mmùtanu le furnare,
te Pasca Befania se mmùta la signuria."

Qui "mutarsi" significa vestirsi a nuovo o indossare le migliori vesti.

Infine, un proverbio astronomico legato a dicembre, spesso male interpretato, recita:
"De Santa Lucia lunghisce la dia quantu l’ecchiu de l'adhina mia."
Letteralmente significa che da Santa Lucia (13 dicembre) il giorno si allunga quanto l’occhio di una gallina, cioè di poco. Si pensa erroneamente che il giorno cominci a crescere da quella data, ma in realtà continua a diminuire fino al solstizio del 21 dicembre.

Questa discrepanza è legata alla riforma del calendario gregoriano nel XVI secolo. Prima della riforma, infatti, il 13 dicembre corrispondeva al 23 dicembre, quando i giorni effettivamente iniziavano a crescere. Dopo la correzione, il proverbio rimase nella sua forma originale, anche se non risponde più alla realtà astronomica.

Il popolo, dunque, non si sbagliava, ma si rifaceva a una tradizione precedente alla riforma del calendario.

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