L’amministrazione e la gestione dei beni comuni ai cittadini iscritti nell’Albo professionale?



È vero, passato il diletto, resta il dilettante. Ma nel volontariato, il professionista, a che serve? Questa è la domanda che è emersa in me dopo la lettura della riflessione di Aldo Grasso sul Corriere della sera dell’8 febbraio 2020.
Aldo Grasso riflette su tutto ciò che è emerso spontaneamente negli ultimi decenni per ottenere una gestione e amministrazione dei beni comuni condivisa e andando indietro nel tempo ricorda le catene umane dei girotondini invocate da Nanni Moretti, il Popolo Viola di San Precario, il Movimento Arancione, quello dei sindaci Pisapia, Doria e De Magistris, l'indignazione delle donne di “Se Non Ora Quando”, le “madamine di Torino”, ed infine le Sardine. La riflessione di Aldo Grasso si conclude con una frase che ha tutte le caratteristiche di un aforisma “Evaporato l'entusiasmo, resta l'incomodo di andare avanti. Passato il diletto, resta il dilettante.”
Non la faccio lunga. Le osservazioni di Aldo Grasso accertano che storicamente, le cittadine ed i cittadini che si sono cimentati negli anni a contribuire liberamente e spontaneamente alla gestione e amministrazione dei beni comuni, una volta passato l’entusiasmo, si sono allontanati e non ne hanno più voluto sapere nulla.
La conseguenza di questa evidenza di successioni di fatti storici, dovrebbe essere che è impensabile immaginare che i cittadini, liberamente e spontaneamente, possano conversare tranquillamente per la definizione di un progetto comune di amministrazione e gestione dei beni comuni.
E allora se non sono i cittadini a farlo, chi l’ha fatto sino ad oggi?
L’hanno fatto i cittadini prescelti con le elezioni ed a cui è stata affidata questa responsabilità.
E da più parti si comincia a definire quali debbano essere le capacità e conoscenze che devono possedere questi cittadini. Quindi secondo questo ragionamento la responsabilità dell’amministrazione e gestione dei beni comuni sarebbe riservata ad una cerchia di “elevati” in possesso dei titoli per farlo.
Quanto esposto precedentemente rappresenta la nostra cultura, che è in aperto contrasto con l’articolo 51 della nostra Costituzione che sancisce il diritto di candidarsi a ricoprire cariche elettive, a tutti i cittadini italiani maggiorenni (elettorato passivo).
E allora? Che si fa? Cambiamo la Costituzione che non è applicata, preferendole ciò che a gran voce chiedono tutti i giornalisti ed i commentatori e che è confermato dalla successione storica degli avvenimenti? Non è meglio uscire dall’ipocrisia nella quale versiamo e stabilire, con una modifica della Costituzione, che il diritto di candidarsi a ricoprire cariche elettive è riconosciuto ai cittadini italiani in possesso dei titoli necessari iscritti nell’ Albo Professionale dei responsabili dell’amministrazione e gestione dei beni comuni?

Antonio Bruno Ferro

Giuseppe Romano ha scritto:


E' giusto porsi queste domande. Quando scegliamo un medico o un ingegnere non cerchiamo il piu' accreditato? Perche' nella politica spesso ci affidiamo a illustri dilettanti? Ma comunque stabilire dei percorsi formativi e' pericoloso. Questo compito e' affidato ai partiti, che non lo esercitano piu' al meglio. Riformare i partiti, questo si....


Mario Petracca ha scritto:


 Antonio, non si può cambiare la Costituzione, non si può legiferare condizionando l'accesso alle cariche elettive a chi ha una laurea, ma un po' di buon senso ci vorrebbe quando un partito od una civica candida un presidente di regione od un candidato sindaco, visto che il popolo queste valutazioni non le fa in genere. Per i consiglieri è un po' diverso, nemmeno un requisito di fatto prenderei in considerazione, ci sono ottimi consiglieri ed assessori che sopperiscono alla laurea in certe materie con l'approfondimento o l'esperienza.

Evanghelos Gennaro Apostolou ha scritto:

Antonio Bruno . Uno degli elementi che meno aiuta a comprendere i fenomeni politici è il parteciparvi attivamente. Il privilegio dell'osservatore fornisce indubbiamente un vantaggio nella comprensione politica. Faccio quindi tesoro del mio strutturale astensionismo per sottoporre all'attenzione dei lettori una considerazione sulla ventennale traiettoria dei fenomeni di costruzione del consenso politico nel nostro contesto continentale.
A partire dagli anni '90 del secolo scorso, il processo di indebolimento delle forme partitiche tradizionali è divenuto sempre più evidente. Soprattutto nei Paesi a economia debole (Grecia, Spagna e Italia), l'emergenza economica è stato uno dei fattori di accelerazione della trasformazione partitica verso dimensioni – sempre organizzate – di natura movimentista che, soprattutto nella loro prima fase, hanno fatto della avversione allo schema partitico una delle proprie caratteristiche fondanti. Nel nostro Paese questo elemento lega realtà politiche molto diverse tra loro, da Forza Italia al Movimento 5 Stelle, dalla Lega alla defunta Italia dei Valori di Di Pietro. In Grecia e in Spagna sono avvenuti fatti analoghi che hanno totalmente ridefinito le geografie politiche di quei Paesi.

Il momento d'oro del consenso movimentista organizzato, tuttavia, ha avuto il proprio culmine verso la metà degli anni '10, ma attualmente sembra entrato anch'esso in crisi. Il fattore che sembra aver sostituito la fase movimentista di estrazione partitica è lo spostamento dell'elaborazione politica al di fuori del tradizionale ambito presidiato da istituzioni, dibattito politico e media. Le nuove strategie politiche oggi nascono in ambienti meno tradizionali (dalle società di marketing ai centri studi) e soprattutto si fondano su processi di consenso che trascendono sia lo schema politico destra-sinistra, sia l'ossessione per la visibilità mediatica.


Totu Meu ha scritto:


Antonio Bruno C'era un tempo in cui i futuri dirigenti venivano scrupolosamente preparati nelle scuole di partito. Venivano poi iniziati all'attività politica cominciando " dal basso ". Cominciavano a farsi esperienza nelle amministrazioni comunali per poi salire sempre più su, a patto che ne avessero le capacita', fino a diventare "classe dirigente". La gente comune si affidava a costoro, a seconda delle rispettive simpatie politiche, nella convinzione di affidarsi a professionisti della politica, che può si' sembrare una brutta espressione, ma spesso risultava essenziale nell'amministrazione della cosa pubblica.Poi cambiarono i tempi e arrivò il "caos". A discapito della gente comune. Il bibitaro diventò ministro. Il parrucchiere sottosegretario. Il droghiere viceministro...e così via. Che sono certamente scelte democratiche, ma spesso deleterie per il paese.

Vittorio De Vitis ha scritto:


Antonio Bruno Antonio Bruno sono sostanzialmente in linea con le opinioni di "Totu meu" e Mario Petracca. In tutte le manifestazioni del vivere civile e sociale è evidente, persino banale, esigere la qualità delle relazioni e delle competenze e soprattutto l'etica e la condivisione di valori. Il problema dei problemi, a mio modesto parere, è che oggi più che mai il senso della partecipazione democratica attiva e collaborativa della società è andato sempre più smarrendosi precipitando nell'avvilente e semplice delega al politico del momento.

Luigina Carrozzini ha scritto:

Antonio Bruno non c'è nulla da commentare, certe dichiarazioni se fossero fatte dalla destra ululerebbero che c'è emergenza fascismo.

Vanni Letizia ha scritto:

Antonio Bruno io non ho commenti ...ma esempi : L'ONOLEVOLE SIGNOLE ...PALLANENTALE !???😂😂
DIO MIO COME SIAMO MESSI MALE !
siamo passati da Statisti a politicanti , tutto qui !!...

PADIGLIONE ITALIA di Aldo Grasso

GLI ANTICORPI DELLA (NUOVA) PARTECIPAZIONE
Un movimento politico s'instaura sul crollo di un'esaltazione: i raggiri di quello non si addicono a questa. Altrimenti Lenin non avrebbe mai scritto «Che fare?». Lo spontaneismo è bello all'inizio, nella fase aurorale, quando c'è mobilitazione, la partecipazione dei nauseati dalla politica, quando non esistono gerarchie, burocrazie. Dopo però arriva il pantano, l'irrealismo, l'obliquità: i raggiri, appunto. Si comincia a fare la conta dei flop delle cosiddette Sardine, nonostante Mattia Santori insista nel proporre il movimento come un «anticorpo a un vecchio modo di fare politica»: quattro gatti a Scampia; piazza mezza vuota a Pistoia; la photo inopportunity con i Benetton; i primi dissidi interni nelle parole di Stephen Ogongo. La storia non è nuova: ci sono state le catene umane dei girotondini invocate da Nanni Moretti, poi il Popolo Viola di San Precario (molto coccolato da
intellettuali e artisti), poi il Movimento Arancione («Noi siamo il potere dei senza potere, la voce dei senza voce»), quello dei sindaci Pisapia, Doria e De Magistris, poi l'indignazione delle donne di Se Non Ora Quando, bollate come «radical chic», poi ancora le madamine di Torino, poi le Sardine, «i partigiani del nuovo millennio». Evaporato l'entusiasmo, resta l'incomodo di andare avanti. Passato il diletto, resta il dilettante.





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