Comunità o partito?



Ho letto il bellissimo post di Alfredo Morganti e così ho commentato:
Caro Alfredo Morganti, bellissima e condivisibile la proposta finale a patto che non sia limitata alla SINISTRA. Tu scrivi: "ma di rifare a sinistra un partito “nuovo” nel senso del “vecchio”, per così dire: radicamento, organizzazione, partecipazione." Io toglierei la parola partito che per Enciclopedia Treccani è "organizzazione che persegue l'obiettivo della gestione del potere politico" e al suo posto scriverei conversazione e al posto di SINISTRA scriverei "Comunità. Per cui la tua bellissima proposta sarebbe: "ma di rifare nella COMUNITA' una CONVERSAZIONE APERTA A TUTTI “nuovA” nel senso del processo del “vecchio partito”, per così dire: radicamento, organizzazione, partecipazione.". Ecco così io finalmente avrei una Comunità con cui conversare per raggiungere tutti insieme un progetto comune.
Danilo Zappitelli ha commentato:
Antonio Bruno partito e sinistra. Non è importante quello che dice l'Enciclopedia Treccani. È importante quello che vogliamo noi. E noi vogliamo un partito radicato, organizzato e partecipato. Dove i dirigenti vengono eletti solo ed esclusivamente dagli iscritti. Guardandosi in faccia.
Antonio Bruno ha commentato:
Gentile Danilo Zappitelli la questione è squisitamente culturale, mi spiego meglio: noi siamo immersi nella competizione economica ovvero il neoliberismo che è FONDATO sulla concorrenza. Significa che il mercato è una competizione in cui c’è chi vince e si prende tutto e chi perde scompare. Se una fabbrica produce a prezzi tali da conquistare il mercato la fabbrica concorrente chiude, mica produce meno, e gli operai tutti licenziati. Stessa cosa con la meritocrazia che è l’applicazione nel campo della istruzione del neoliberismo, dove c’è chi prende tutto e chi rimane senza lavoro. Bene i dirigenti del partito sono selezionati allo stesso identico modo, con i principi della competizione dove chi vince prende tutto e chi perde SPARISCE. Che ne è di Prodi, Rutelli, Veltroni, D’Alema ecc. ecc.???? Se si applica la competizione neoliberista nei partiti non può che svilupparsi una politica neoliberista. Io propongo la cultura della collaborazione che emerge quando abbandoniamo quella della competizione. In questa cultura i dirigenti non sono più funzionali perché una volta raggiunto il coordinamento sul progetto comune si lascia ai tecnici della pubblica amministrazione il compito della realizzazione. La Comunità che conversa ha anche la possibilità del controllo.
Alfredo Morganti ha commentato:
Antonio, viviamo in una società dove i conflitti sono la norma e dove questi conflitti debbono essere regolati. Il metodo democratico è il modo migliore per regolarli. I partiti sono attori molto importanti in questo 'gioco', perché esprimono punti di vista e forme di rappresentanza alternative oppure 'alleabili'. E sono soggetti a tutti gli effetti. I partiti sono di varia forma e natura, io preferisco quelli di massa, che producono partecipazione, radicamento e sono auspicabilmente delle organizzazioni trasparenti. Ecco, i partiti come li intendo io sono 'comunità' a tutti gli effetti e dunque regolano i conflitti con il dibattito e la 'conversazione' come scrivi tu. Ridurre tutto all'idea di comunità però non è possibile. C'è il rischio di organicismo. Anche perché la 'competizione' dialettica, democratica, delle opinioni e delle idee non è affatto un'appendice neoliberista. Già nello polis greca c'era il confronto, l'agon delle opinioni e parliamo di una società molto lontana da quella capitalistica.
Antonio Bruno ha commentato:
Gentile Alfredo Morganti con la cultura della collaborazione è l'agone per la conquista del potere, con l'esclusione degli sconfitti, che può essere evitato. L'esclusione di D'Alema, Bersani, Bertinotti, Capanna, Prodi, Veltroni, Rutelli, Renzi, Calenda (potrei andare avanti all'infinito e non solo per i leader della sinistra) E' UN IMPOVERIMENTO della ricchezza rappresentata dalla diversità tra persona e persona che non è RIDUCUBILE a una adesione a un leader. La gestione del conflitto che si riduce all'esclusione dello sconfitto è IDENTICA ALL'ECONOMIA DI MERCATO che non è UMANA. Mi sembra logico abbandonarla anche se si è animati, come te, dalle migliori intenzioni. Il potere è il PIACERE DI ESSERE SERVITO, e per questo piacere si diventa DIPENDENTI come chi è dipendente a una qualunque droga. Meglio la collaborazione che evita le conseguenze devastanti della dipendenza dal piacere di essere serviti. C'è un'altra conseguenza storicamente verificata alla cultura della competizione ovvero la DERIVA AUTORITARIA. Storicamente i leader sono degenerati in TIRANNI per non perdere IL PIACERE DI ESSERE SERVITO.
Alfredo Morganti ha scritto:
Antonio, il tuo ragionamento ha un difetto, secondo me, pensa in termini di 'esecutivo', e non tiene conto che la democrazia si compone di un'articolazione molto più complessa. Non c'è solo l'esecutivo, ma l'aula parlamentare, ossia il luogo deputato al dibattito e alla mediazione politica. Tutto ciò viene a mancare nelle democrazie in crisi o malate, ma è ordinariamente un pilastro della vita politica democratica. Se leggi i miei post vedi che sono assolutamente contrario al maggioritario, ritengo la Seconda Repubblica una degenerazione, e penso che ci vorrebbe un proporzionale, ossia la rappresentanza massima possibile, tale da rendere il Parlamento un luogo di discussione e di confronto, e l'esecutivo non l'asso pigliatutto, ma l'articolazione esecutiva e il riflesso della democrazia parlamentare. Nel tuo ragionamento mi sembra che schematizzi molto, quando invece proprio la logica che tu invochi necessiterebbe di una grande capacità di cogliere le differenze e le complessità dei modelli di governo.
Antonio Bruno ha scritto:
Alfredo, ciò che scrivo prende atto di un processo culturale che si concretizza nell'organizzazione al fine della conquista del potere. Il modo con cui si attua, si realizza questo processo, ne determina la natura. Le modalità di quelli che tu definisci a ragione CONFLITTI sono FONDATE SULLA VIOLENZA, ciò ne determina la natura che NON E' UMANA e questa volta, la mia affermazione, è di natura squisitamente scientifica. I conflitti sono presenti a tutti i livelli e con la violenza si realizza l'esclusione dello sconfitto con impoverimento complessivo dell'umanità che si impegna attivamente nella definizione di un progetto comune per la gestione dei beni comuni. La deriva autoritaria, al momento, ha determinato una prima DEGENERAZIONE che ha ristretto la oligarchia. In pratica da una oligarchia diffusa del sistema proporzionale siamo spiaggiati alla oligarchia ristretta del maggioritario ed è facile adesso comprendere ciò che affermano tutti gli indicatori della presenza di molte persone che preferirebbero un DITTATORE che più delicatamente definiscono come persona sola al comando che non si preoccupa nè delle elezioni nè delle parti sociali. Sia il proporzionale, che il maggioritario che i sistemi totalitari hanno un unica cultura di riferimento che è quella della competizione che poi è la stessa cultura che informa il CAPITALISMO ovvero quella neoliberista. Non sono io che metto al centro L'ESECUTIVO che poi è un tuo modo elegante di definire il potere, E' IL PROCESSO CULTURALE che mette al centro il potere e non io. Ti aggiungo che tutti i LIDERICIDI effettuati sono l'anelito all'eguaglianza di moltissimi cittadini che disperando di ottenerla "FANNO FUORI" il leader di turno e dopo fanno fuori anche quello che ne prende il posto sino a giungere a un dittatore che per definizione può si essere fatto fuori, MA SOLO SE LO SI FA LETTERALMENTE.
Il partito nuovo di Zingaretti e il non-partito di Giannini
Zingaretti non fa in tempo a dire “partito nuovo” che Giannini, sul suo giornale, lo richiama all’ordine. Ossia “curva” a modo suo la proposta, e se ne impossessa secondo lo stile “Repubblica”. Che cosa dovrebbe fare il segretario del PD? Cedere “sovranità, poteri e incarichi agli esponenti della società civile che dice di voler accogliere”. Secondo Giannini, un partito si ricostruisce azzerandolo, più di quanto non si sia già fatto. Un “non-partito nuovo”, quindi, nello spirito di questi decenni di Seconda Repubblica, che la politica l’hanno uccisa ammazzando i partiti e svuotando le istituzioni rappresentative.
Semmai l’errore di Zingaretti sarebbe quello di restare incantato da queste sirene e di pensare un rinnovamento ancora e di seguito nella forma di un nuovo suicidio politico. Prendete il caso delle sardine. Questo movimento non nasce per essere ‘inglobato’ in alcunché, per divenire ‘collaterale’ a qualcuno o servo sciocco di qualcun altro, e non esprime una propria volontà politica per quanto esibisca contenuti antifascisti e antirazzisti. Questo movimento dice ai partiti: siate presenti, siate comunità, fate politica; non dice: dissipatevi, rompete i vostri confini, cancellatevi, negatevi. Non dice vogliamo essere partito. Semmai, appunto, l’esatto contrario.
Il gianninismo, invece, è lo spirito del tempo della miseria, quando si additano i partiti come principali responsabili del vuoto politico e si idolatra la società civile. Quando sappiamo molto bene, al contrario, che è l’epoca nella sua interezza a essere antipolitica, e che fare fuori la politica è ritenuto indispensabile per lasciare spazio agli appetiti del profitto: senza una regola, senza una misura, senza lacci e lacciuoli di sorta, privilegiando la ricchezza individuale a scapito di quella sociale. Sbaglierebbe Zingaretti a seguire ancora questa logica, concependo il partito come una cosa da “aprire” sul modello della scatoletta di tonno-Parlamento. “Nuovo”, quindi, non perché sarebbe “più” partito e “più” aderente a tutte le pieghe della società, ma “nuovo” perché quasi cancellato, ridotto a carta velina, secondo il suggerimento di Giannini.
Ha fatto più danni questo continuo richiamo alla società civile che un'epidemia. Il renzismo, il populismo, l’antipolitica sono nati e cresciuti in questi decenni di crisi dei partiti, crisi per alcuni versi indotta, provocata per lasciare spazio agli avventurieri della politica. Altro che società civile, essa sì serva sciocca di occulti (e nemmeno tanto) manovratori. Dico allora a Zingaretti: che sia davvero “partito nuovo”; “partito” e non ennesimo contenitore di cose e società civili sparse, ennesima carta velina senza confini agli ordini di un Capo. Restiamo sintonizzati, quindi, con la proposta di Zingaretti, ma fermi sull’idea che non si tratta affatto di ‘sciogliere’ partiti per creare delle congregazioni, com’è da decenni, ma di rifare a sinistra un partito “nuovo” nel senso del “vecchio”, per così dire: radicamento, organizzazione, partecipazione.

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