Perché c’è il piacere dello stare assieme ad altre persone




Io mi ricordo delle conversazioni della mia vita, mi ricordo che nascevano per caso e che avevano per oggetto qualunque cosa uscisse spontaneamente. Non mi ricordo però la prima volta che provai piacere nel conversare, quel piacere che mi ha spinto a ripetere questa esperienza per moltissimi anni della mia vita.
Nella piazza del mio paese, di sera, si conversava. Si conversava nelle riunioni dei gruppi parrocchiali. Si conversava negli incontri nelle associazioni. Si conversava nel pullman preso per raggiungere la scuola, davanti alla scuola, prima dell’inizio delle lezioni, durante la ricreazione e sempre nel pullman al rientro a casa. Si conversava nelle assemblee e nei cineforum. La mia ricerca di luoghi per conversare era legata al piacere di farlo, e nemmeno mi sfiorava l’idea di cercare di raggiungere conversando il successo e la ricchezza. Avevo solo il piacere di conversare con chiunque.
Adesso che ci penso, il piacere della conversazione l’ho provato per la prima volta nello scompartimento e nel corridoio di un treno, negli anni ’60, nel lungo viaggio di diciotto ore in compagnia di mio padre. Il viaggio da Lecce mi portava a Chiavenna, in provincia di Sondrio, per andare a fare visita alla zia Maria e allo zio Enzo.
Nello scompartimento eravamo in otto persone e passati i primi istanti, io cominciai a parlare con uno dei passeggeri, era molto più grande di me che, all’epoca, avrò avuto sette od otto anni. No ricordo di cosa abbiamo parlato, ricordo però che, alla fine della conversazione, mio padre mi prese da parte e mi chiese: “ma tu, tutte le cose che hai detto a quel signore, come le sai?”.
Ecco, queste parole di mio padre, insieme ai complimenti che mi aveva fatto quello sconosciuto signore durante la nostra conversazione, mi avevano fatto provare un piacere che non avevo mai provato prima d’allora, e capivo che era legato strettamente alla conversazione stessa, al dire ciò che emergeva, a osservare le espressioni ed i comportamenti dei presenti. Già, perché gli altri sei signori dello scompartimento, non potevano fare a meno di ascoltare, di reagire alle parole della nostra conversazione anche intervenendo loro stessi.
Probabilmente quella fu la prima volta che provai il piacere di conversare per il piacere di conversare. Ma forse ho avuto quella possibilità per quella TV Grundig che mio padre acquistò nel 1961 e al mio essere seduto li di fronte ad ascoltare tutto ciò che veniva trasmesso perché la mia mamma, per fare le faccende di casa, mi diceva che l’avrebbe accesa e che io potevo guardarla quanto volevo.
Avevo quattro anni e da allora la Tv ha accompagnato la mia esistenza sino al 1999, quando decisi di non vederla più perché volevo solo leggere.
Ho ripreso a vedere la Tv nel 2018, dopo diciotto anni sabbatici. Mi è servito allontanarmi per quegli anni, non sarei come sono se non l’avessi fatto. La Tv ipnotizza e lavora nel subconscio, io sapevo tutte le risposte in quelle discussioni in treno perché, nel mio subconscio, c’erano le veline dei telegiornali o di Tv7 oppure delle trasmissioni di quegli anni. Quando un adulto, che lavorava tutto il giorno, affrontava con me una conversazione su temi di attualità, le mie conoscenze emergevano senza che io sapessi da dove e provocavano nell’interlocutore un grande stupore.
Accadde anche di ascoltare altri punti di vista, come quello che emergeva dalla lettura di “Provincia difficile” di Giovanni Bernardini scomparso in questi giorni. Un gruppo di noi adolescenti leggemmo quel libro nel Centro di Formazione Permanente (ex Centro di Lettura) di San Cesario di Lecce, guidati dal Prof. Vito detto Vituccio Scardino. Da quel libro emergeva un Italia diversa da quella della Tv. Era un Italia difficile, che gridava per essere ascoltata.
Bisogna che qualcuno parli affinché ascolti chi deve ascoltare. Ho avuto la fortuna di incontrare alcune persone che ascoltavano quelle parole di questa provincia difficile. Queste persone che desideravano far giungere quelle parole, quelle richieste che erano racchiuse in quelle parole, promuovevano incontri a cui tutti potevano partecipare e a cui io ebbi la fortuna di prendervi parte.
Fu quando accadde di conversare con queste persone che intervennero i miei genitori per propormi nuovamente quello che dai miei quattro anni mi proponeva la TV. E mi proposero di pensare a me stesso, al mio successo e alla mia ricchezza, che tutte quelle idee di uguaglianza avevano portato quegli adulti che me le proponevano proprio alla perdita del loro successo e della possibile ricchezza che avrebbero potuto ottenere grazie al loro genio. Si, perché i miei genitori mi dicevano che quelle persone erano oggetto della loro ammirazione.
E poi mi accadde quando facevo il segretario di sezione nel mio paese. In una ventina ci vedemmo per conversare prima e durante la campagna elettorale. Dopo qualche giorno dalle avvenute elezioni uno degli assessori comunali mi disse: “adesso puoi anche chiudere la sezione. La riaprirai un paio di mesi prima delle prossime elezioni.” Era la dimostrazione che ciò che informava tutti i convenuti nella sezione era la ricerca del successo e della ricchezza; perché se invece ci fosse stato il piacere dello stare insieme, il piacere di conversare, quell’assessore più esplicito rispetto agli altri, non mi avrebbe detto quello che mi disse.
Personalmente cerco il piacere del conversare per il piacere di conversare e, in tutta sincerità, mi alzo e vado via dagli incontri, quando distinguo le intenzioni di chi partecipa e mi accorgo che sono finalizzate alla conquista del successo e della ricchezza.

Antonio Bruno Ferro






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