La festa di San Giuseppe negli anni 60 e 70

la foto è stata postata da Angelo De Pascali ed è quella di San Giuseppe te la stiddra...era il 1968 o 1969



Fare due passi era il mio sport preferito il giorno della Fiera di San Cesario di Lecce, che in concomitanza con la festività religiosa di San Giuseppe te la stiddrha, diventa “lu panieri”.  La passeggiata tra i venditori è  un rito importantissimo perché, la domenica subito dopo Pasqua, nel 1963 e anni seguenti, eravamo tutti con il vestito nuovo a passeggiare tra “cotume”, “seggie”, “mobili” e “campanieddrhi” mentre i baresi, che giungevano a frotte, sbattevano forte, fortissimo piatti e ciotole su una cassa di lamiera, e imbandivano tavole con centinaia di portate di piatti, coppe e zuppiere magicamente disposte formando montagfne altissime che, a guardarle, ti veniva la paura che si sarebbero rotti tutti quanti da un momento all’altro.
Ma i piatti non si rompevano! E noi bambini non ci annoiavamo mentre seguivamo le evoluzioni delle parole lanciate dai baresi, che parevano far volare tutti quei piatti in aria in quell’aria frizzante della festa di primavera.
Poi venne il tempo dei napoletani che vendevano pacchi nel cui interno c’erano le sorprese. All’inizio della vendita i pacchi erano riempiti con oggetti di valore. Questi pacchi preziosi, erano acquistati per poche lire dai compari dei venditori appostati nelle vicinanze. Noi che avevamo visto acquistare per pochi spiccioli radio, tv e registratori eravamo pronti ad accettare la sfida lanciata dal napoletano, che ripeteva tante volte la domanda: “Se sicuro di volere questi pacchi?” e poi ancora “guarda che dentro potrebbe esserci un bel nulla!” e noi ipnotizzati a dire si, e ancora si!
E si! che te la prendevi la fregatura. La cosa più bella era al ritorno a casa con quelle cianfrusaglie senza valore, che i genitori con un sorriso prendevano a motivo per insegnarci che, per essere fregati, bisogna essere in due a volerlo: chi ti frega e tu che ti fai fregare.
E poi le giostre, il Tagatà e le gonne delle bambine che, svolazzanti lasciavano intravedere segreti inconfessati, che divenivano disponibili al ritmo dei balzi dei pistoni ad aria compressa.
Ed io che la guardavo e che la desideravo fremendo e che rimanevo fermo, paralizzato ad osservarla, senza aver mai avuto il coraggio di dirle quanto l’amavo.

Antonio Bruno Ferro



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