Nazionalizzare o non nazionalizzare? Questo è il problema.



Dario Di Vico è un giornalista italiano. Ha frequentato il liceo classico Norberto Turriziani di Frosinone, poi si è laureato in sociologia presso l'Università La Sapienza di Roma. Successivamente, dal 1977 al 1983, ha lavorato come sindacalista per la UILM di Torino con un incarico nella quinta lega Mirafiori. Oggi sul Corriere della Sera a proposito dell’Ilva e di Alitalia ci avverte che non è detto che sia la nazionalizzazione la panacea di tutti i mali.
Lo afferma citando Romano Prodi che fu costretto a innumerevoli incontri ed assemblee quando da Presidente dell’Iri iniziò la sua opera di modernizzazione per adeguare le imprese pubbliche all’economia internazionale e che definì quell’esperienza il suo personale Vietnam.
Quando ho letto questo articolo mi sono detto: “se un giornalista ex sindacalista come Dario Di Vico è scettico sulle nazionalizzazioni devo riflettere meglio perché invece io le nazionalizzazioni le invoco a ogni conversazione!”.
E così ho fatto.

Nell’acciaio e nei trasporti aerei, scrive Di Vico, non è che nazionalizzando si risolvono i problemi! Ma certo che no! Ma se si nazionalizzassero i Monopoli come la rete ferroviaria, le autostrade, l’Energia forse si potrebbe pensare a sostenere il lavoro delle acciaierie e dei trasporti aerei nazionali. Se si nazionalizzasse ciò che si privatizzò nel 1992 con una spregiudicatezza di chi riteneva ormai che la parola privato e neoliberismo economico di per se stessa creasse benessere a tutti i cittadini ci sarebbero le risorse per salvaguardare l’unico fondamento della nostra Comunità Nazionale, il lavoro, come recita l’articolo 1 della nostra Costituzione.
Il giornalista ex sindacalista Di Vico possibile che, preso com’è, e accecato dai ricordi dei politici e dei burocrati che tiranneggiavano l’economia negli anni 80 – 90 del secolo scorso, non comprenda che il neoliberismo economico e il mercato abbia già deciso che conviene produrre in Cina, in India e in tutti i Paesi dove non ci sono diritti sociali e i cittadini fanno la fila per lavorare 12 ore al giorno per pochi euro?
Possibile che il giornalista ex sindacalista Di Vico pensi che creando le condizioni alle imprese internazionali queste, che dipendono dalla finanza internazionale e dalla massimizzazione dei profitti, lascino la Cina o l’India per delocalizzare in Italia?
Ci ho riflettuto molto e, francamente, il giornalista ex sindacalista Di Vico con le sue strampalate tesi non mi convince nemmeno un po’.

Pensi Di Vico che un lavoro ce l’ha, a chi a 25 anni va in Inghilterra, Germania, Spagna; Belgio, Olanda ecc. perché qui il lavoro non lo trova, pensi ai cittadini che l’hanno perso perché Mercatone Uno, whirlpool, magneti marelli, ecc. hanno delocalizzato lasciando 50enni senza lavoro; pensi agli artigiani che pagano tasse al punto che non gli resta di che vivere e ci spieghi se questi disagi possono essere trasformati in BENESSERE creando le condizioni per far tornare i capitali in Italia. Magari faccia i nomi, se li sa, di chi vorrebbe tornare a investire in Italia e ci racconti a che condizioni lo farebbe. Se Di Vico lo facesse io sarei bel lieto di sapere che è possibile far tornare il benessere, sono certo che farebbero altrettanto i politici, tutti, che invece sanno perfettamente quanto ciò sia impossibile e, secondo me, dopo tanti tentativi stanno iniziando a capire che i problemi della nostra Comunità nazionale sono tutti derivati dalla mancanza di lavoro e che questo provoca disagi. I politici, secondo me, hanno capito che si può tornare al benessere solo nazionalizzando tutto quello che è possibile nazionalizzare, prima tra tutti l’agricoltura nazionale che gli imprenditori non sono più in grado di gestire mettendo a rischio tutto il nostro Paesaggio.
Antonio Bruno Ferro


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