Cosa vogliamo fare, imitare noi esseri umani attraverso la costruzione di robot che ci sostituiscano?

 

Cosa vogliamo fare, imitare noi esseri umani attraverso la costruzione di robot che ci sostituiscano?

Santolo Meo coordinatore del corso di Laurea e Laurea magistrale in Ingegneria elettrica all’Università Federico II di Napoli ha scritto un articolo pubblicato dal quotidiano “La Repubblica” di oggi 31 ottobre 2023 che così conclude:

“Occorre tuttavia che la società, grazie a una continua e crescente presa di coscienza riguardo ai rischi attuali e futuri, spinga la politica a vigilare ad ogni livello affinché la tecnica non esca, nella sua evoluzione, fuori da un’etica basata sull’ontologia dell’esistenza, in quanto, fuori da quest’etica, una libertà tecnica senza limiti cancellerebbe per sempre l’Uomo dall’orizzonte della Storia.”

In questo mio scritto faccio riferimento alla proposta di Humberto Maturana e Francisco Varela, che hanno ripensato lo studio della vita come un processo continuo di auto-organizzazione. Questo modello è emerso come un reindirizzamento del paradigma dell’organizzazione biologica, con intenzioni che sono molto più inclusive in termini teorici di quanto potrebbero essere le visioni ortodosse della biologia.

Ieri in una conversazione con il Prof. Fabio Palma abbiamo affrontato la questione della tecnologia e, specificamente quella dell’Intelligenza Artificiale, che appunto per scongiurare le preoccupazioni di molti osservatori dovrebbe essere informata dall’etica così come l’ha esposta il Prof. Sotolo Meo nell’articolo che potete leggere qui di seguito.

Nomi come Stephen Hawking ed Elon Musk hanno parlato apertamente del rischio che l’intelligenza artificiale (AI) rappresenta per il mondo come lo conosciamo. Bill Gates ha espresso le stesse preoccupazioni. Nel 2015, l’Università di Oxford ha pubblicato un rapporto senza precedenti sulle dodici maggiori minacce per l’umanità e vi ha incluso l’intelligenza artificiale (PAMLIN e ARMSTRONG, 2015).

Ma in un’epoca in cui c’è così tanta fame, violenza, disastri naturali, crisi economiche, riscaldamento globale e ogni sorta di disgrazia, non sembra strano discutere della minaccia rappresentata dall’intelligenza artificiale?

I gruppi umani sono sistemi sociali intelligenti con i propri desideri e obiettivi. Le Intelligenze Artificiali (IA) puramente sintetiche eliminano la necessità di componenti umane e animali, essendo in grado di superare notevolmente le prestazioni della superintelligenza collettiva sociale.

In questo modo, possono agire in modo gentile o aggressivo sui meccanismi di controllo delle relazioni umane e dei sistemi informativi, influenzando profondamente lo stile di vita contemporaneo.

La vulnerabilità è enorme, considerando l’alto grado di automazione dei sistemi che supportano le comunicazioni interne delle superintelligenze collettive e le comunicazioni tra di loro. Le Intelligenze Artificiali (IA) sintetiche possono “hackerare” le macchine sociali che compongono il nostro ecosistema sociale, distruggendo unità piccole, come famiglie o piccole imprese, fino a unità più grandi, come gli stati nazionali. Stephen Hawkings, Elon Musk e Bill Gates sembrano quindi avere giusti motivi per preoccuparsi.

Ma, come afferma Domingos (2015), più le persone comprendono le possibilità e i limiti dell’uso sicuro dell’ Intelligenze Artificiali (IA), maggiori sono le possibilità di evitare le insidie ​​che un progresso irriflessivo può nascondere.

E fino ad allora, lo studio della superintelligenza collettiva di natura sociale può fornirci alternative per risolvere i problemi odierni, considerando il fallimento del pensiero disciplinare e cartesiano nella costruzione di un mondo di relazioni sane e pacifiche (MARTINS, 2014).

Ma la domanda che ci facciamo è se macchine del futuro avranno la possibilità raggiungere livelli di creatività come quelli che hanno permesso all'uomo di essere autore di grandi invenzioni per l'umanità.

Oltre a replicare questa capacità, l'intelligenza artificiale (AI) dovrebbe muoversi verso il perfezionamento dei processi di comprensione e non verso la loro sostituzione.

Questa è la visione condivisa da Gerardus't Hooft (1946), Premio Nobel per la Fisica nel 1999, e Humberto Maturana, Premio Nazionale della Scienza nel 1994, durante una loro partecipazione alla -Conversazione Juan: Processi creativi nell'arte e nella scienza" , organizzato dalla Facoltà di Scienze dell'Università del Cile.

Il punto di vista di Maturana in quell’occasione è stato critico. Maturana ha sottolineato che è fondamentale chiedersi di cosa si parla riguardo all'intelligenza artificiale.

Quando parliamo di IA ci riferiamo a sistemi che rilevano le configurazioni?

Di cosa parliamo quando ci riferiamo alla natura?

Secondo Maturana al mondo naturale non interessa che gli esseri umani scompaiano, ma a noi esseri umani sì che ci interessa!

Sempre secondo Maturana alla biosfera non interessa che un particolare ecosistema venga distrutto, ma a noi esseri umani sì che ci interessa!

La questione è sempre la stessa noi in quanto esseri umani: cosa vogliamo fare, cosa intendiamo per intelligenza?

Noi sicuramente possiamo realizzare macchine che imitano ciò che facciamo noi.

La domanda da porsi, secondo il prof. Humberto Maturana è "in che mondo vogliamo vivere? Noi esseri umani manipoliamo il mondo, quindi, cosa vogliamo fare, qual è il regno dell'esistenza in cui si svolge l'umano?".

Il prof. Humberto Maturana ha risposto così:

“L'umano avviene nello spazio relazionale, ma siamo biologici e il biologico avviene nello spazio molecolare.

Cosa vogliamo fare, imitare noi esseri umani attraverso la costruzione di robot che ci sostituiscano?

Io non lo voglio fare! Non voglio robot che mi sostituiscano nel modo in cui apro la porta di casa, non lo voglio.

Io voglio avere la mia chiave e aprire la porta di casa perché voglio poter cambiare idea e per poter cambiare idea devo avere uno spazio di riflessione a portata di mano. “

Buona riflessione

Innovazione Per una tecnica etica
di Santolo Meo
L’ uomo è un essere “ontologicamente tecnico” perché ha sempre fatto ricorso a protesi tecnologiche come se fossero sue estensioni. Lo ha fatto ad esempio quando si è attrezzato di armatura e spada, quando si è dotato di un trattore per arare o di un razzo per raggiungere la Luna e lo fa oggi quando non riesce a staccarsi da uno smartphone o quando utilizza un robot per operazioni chirurgiche. Senza l’uso della tecnica e della tecnologia probabilmente non sarebbe potuta esistere la vita dell’uomo sulla Terra perché l’uomo, di per sé stesso, non è attrezzato a resistere alle forze della natura.
Tuttavia, la tecnica, da strumento nelle mani dell’uomo, sta trasformando la sua funzione. Essa controlla e condiziona sempre più la nostra vita e in un futuro molto prossimo, con l’impiego di robot dotati di intelligenza artificiale con supporto quantistico (il neurone quantistico è stato già creato) ed elaborazioni super veloci, avremo umanoidi che in moltissime attività, anche quelle intellettive, potranno sostituire l’uomo e superarlo, con capacità anche di autoripararsi.
Di fronte a questa prospettiva, che rischia di sconvolgere il nostro modo di vivere, si pone la questione della tecnologia e della libertà.
La libertà sia intesa come condizione per cui l’uomo può agire senza impedimenti o costrizioni, sia come condizione per cui l’uomo può governare autonomamente e pienamente la propria volontà senza essere eterodiretto.
La minaccia che proviene dalla tecnica è una cattiva eredità che viene dal passato. La tecnica, dalla rivoluzione scientifica in poi, fino ad oggi, è stata da sempre utilizzata dall’uomo per dominare la natura e gli altri uomini. Questo fine ha portato, in riferimento al dominio sull’uomo, allo sviluppo di armi di distruzione di massa sempre più micidiali e al concretizzarsi di molte delle previsioni di Marcuse (la forma totalitaria della razionalità tecnologica, la perdita della libertà nella società dei consumi, ecc.) contenute nel suo famoso testo L’uomo a una dimensione.
Rispetto al dominio sulla natura, questo fine ha portato per altro ad uno sfruttamento predatorio delle risorse naturali, con effetti negativi enormi che solo il negazionismo ecologico può mistificare. Il rischio di una tirannia della tecnica è concreto e attuale e può portare alla continua perdita di fondamentali libertà e alla fine dell’esistenza dell’uomo stesso sulla Terra.
Per evitare ciò la tecnica deve essere orientata da una chiara prospettiva etica.
L’unica etica possibile è l’etica dell’essere. L’uomo (nel senso collettivo del termine) “è” e in quanto “essere” non può che orientare le proprie azioni per la vita, in quanto la non vita sarebbe il “non essere”.
Occorre partire da una etica basata quindi sull’ontologia dell’esistenza di cui Hans Jonas è stato il principale esegeta. Un’etica che supera la dimensione antropocentrica e diventa cosmica. Il principio è quello della responsabilità. Questo implica un dovere di tutela nei riguardi della totalità degli esseri umani, del pianeta e delle generazioni future.
Come ci ha insegnato la recente epidemia di Covid, non c’è salvezza per una sola parte del mondo e la libertà personale deve includere anche i doveri verso gli altri.
Sotto questa prospettiva etica tutte le lotte per la difesa dell’ambiente, per la pace, per il riciclo delle materie prime, per un modello economico non ispirato al mero consumismo trovano una unica legittimazione ideologica.
Ciò però senza pervenire ai limiti da imporre secondo Jonas alla evoluzione tecnica, ma pretendendo che tale sviluppo sia ispirato o, meglio, contenga dentro di sé questa prospettiva etica. Ciò è possibile perché, per sua intima essenza, la tecnica è aperta sempre a sviluppi alternativi.
Occorre tuttavia che la società, grazie a una continua e crescente presa di coscienza riguardo ai rischi attuali e futuri, spinga la politica a vigilare ad ogni livello affinché la tecnica non esca, nella sua evoluzione, fuori da un’etica basata sull’ontologia dell’esistenza, in quanto, fuori da quest’etica, una libertà tecnica senza limiti cancellerebbe per sempre l’Uomo dall’orizzonte della Storia.
Santolo Meo è coordinatore del corso di Laurea e Laurea magistrale in Ingegneria elettrica all’Università Federico II di Napoli

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