La pace di tutti è quella che si fa con tutti

 

La pace di tutti è quella che si fa con tutti

DAVIDE ASSAEL, presidente dell’Associazione Lech Lechà, collabora con la rivista di geopolitica Limes ed è fra i conduttori della trasmissione di RaiRadio3 “Uomini e profeti”, oltre che docente al Master “Filosofia del vino e del cibo” dell’Università Vita e Salute San Raffaele di Milano ha scritto un articolo pubblicato dal quotidiano DOMANI oggi 8 ottobre 2023 in cui descrive ciò che portato Hamas all’attacco feroce e sanguinario contro Israele. La vera ragione è che Israele sta raggiungendo la normalizzazione con gli Arabi escludendo il popolo palestinese ed ecco come DAVIDE ASSAEL conclude il suo ragionamento:

Con l’attacco di oggi i palestinesi battono, forse, un colpo. Anche una lezione di diplomazia: la pace non può passare sopra la testa di chi combatte.

Rileggendo l’articolo di Davide Assael io ho avuto chiara l'importanza fondamentale di pensare alla complessità della vita. E partendo dalle sue conclusioni sulla pace, che deve riguardare tutti, invito alla riflessione. Per comprendere io ho agito quella sensazione che ci spinge a ritornare nel mondo delle emozioni come centro di comprensione, e questo modo di vivere è secondo me qualcosa di così necessario in questo momento di crisi planetaria, di vera e propria guerra mondiale, in cui cerchiamo modi per continuare a contribuire all’indagine delle ragioni e dei motivi di quello che accade.

Per fare questo è fondamentale riconoscere le emozioni e le azioni che originano in esse, poiché non è possibile oggettivarci in modo tale che le nostre soggettività rivengano dalle nostre azioni; al contrario, poiché ogni emozione stabilisce un dominio unico delle azioni, eseguiamo compiti diversi sotto emozioni diverse.

In quella comprensione delle nostre emozioni, cerchiamo la comunicazione nel linguaggio come il modo più rapido per comprendere noi stessi ed essere compresi in generale nella vita, costruzione della conoscenza umana nelle azioni dell'uomo

A chi scrive per spiegare rimane un compito sacro e inviolabile perché raccontare ciò che accade nel Mondo “richiede la creazione di conoscenze collettive e partecipative basate sugli scambi si di tipo cognitivo che emotivo, che hanno come conseguenza la conoscenza come emancipazione, più che conoscenza come regolazione” (SANTOS, 1998, p. 30).

Quella conoscenza come emancipazione è dignitosa nella misura in cui la comprensione è permeata dall’empatia emotiva, piena di emozione e rilevanza; di quell’emozione, donatrice di vita emotiva, con un ruolo adeguato di comprensione e di amore come tante volte ha sostenuto Humberto Maturana.

Nella formazione di quelli che come me raccontano ciò che accade nel Mondo, in tempi di incomprensioni, io combino l'amore come massima emozione come etica complessa, con l’ecosofia, come arte di abitare il pianeta che ridefinisce la biologia dell'essere umano con l'anima e lo spirito in una rivendicazione di civilizzazione dell'umanità (MORÍN, 2002).

E vi lascio con una frase che spero ci faccia riflettere su questo popolo palestinese escluso dalla pace.

A cosa sono serviti all’essere umano i grandi progressi che ci allontanano dalla felicità, dalla pace e dalla convivenza?

A cosa sono serviti all’essere umano i grandi progressi che ci fanno vivere nell’ inquinamento, nella scarsità, nell’accaparramento, mentre d’altra parte le cinture della miseria sono insopportabili e la guerra di Hamas cerca la vittoria?

Lontano dalla pace, l’egoismo vince sull’amore per i nostri simili?

Buona riflessione

La guerra che cambierà Israele e il medio oriente
Devastante attacco di Hamas con migliaia di missili, incursioni via terra, centinaia di morti e ostaggi
Israele reagisce bombardando Gaza. Le falle della sicurezza e gli equilibri spezzati nel mondo arabo
DAVIDE ASSAEL
Il massiccio attacco partito dalla Striscia di
Gaza alle sei di ieri mattina verso il
territorio israeliano è un inedito nella
storia recente dell’eterno conflitto
israelo-palestinese. Non perché gli allarmi
hanno suonato anche sui cieli di
Gerusalemme e Tel Aviv, cosa ormai consueta con
l’armamentario iraniano in dotazione a Hamas e
alle varie sigle della eterogenea galassia della Jihad
islamica, capace di penetrare nel profondo il
territorio israeliano. Nemmeno è inedito per la
potenza di fuoco.
La novità non è neanche l’infiltrazione in diversi
villaggi oltre il confine israeliano da parte di
miliziani attraverso i ben noti tunnel sotterranei
che si ricreano nel momento in cui li si distrugge.
L’aspetto inedito è che nei conflitti del 2012, 2014,
2019 Israele sembrava tenere in mano il pallino
delle operazioni, sempre seguite a provocazioni
militari provenienti da Gaza, ma sviluppatesi in
tempi e modi da far pensare ad una pianificazione
da parte di Gerusalemme. L’attacco di ieri sembra
invece aver colto tutti di sorpresa. Naturalmente,
la reazione israeliana è già partita; la sua intensità
sarà, come sempre, proporzionale al pericolo
percepito e all’arsenale oggi in mano ai vari gruppi
presenti nella Striscia. I motivi del feroce attacco
sono molti, e intuibili. Certo non basta l’anniversario
della Guerra dello Yom Kippur iniziata il 6 ottobre
1973. Un ruolo lo gioca l’eterna competizione fra le
varie sigle che si contendono il potere a Gaza.
Hamas subisce da tempo la concorrenza della Jihad
islamica, che non manca occasione di mostrarsi forte
agli occhi di abitanti stremati da anni di embargo e
condizioni di vita spesso miserabili. Non sfugge,
però, che quanto vediamo in queste ore segue a
sempre più esplicite manovre di avvicinamento fra
Gerusalemme e Riyad, dove a fine settembre è per la
prima volta atterrato un ministro israeliano in
occasione di un meeting internazionale.
La stretta fra Israele e Arabia Saudita stimolata in
ogni modo dall’amministrazione Biden è da molti
vista come punto di approdo degli accordi di Abramo
siglati nel 2020, con cui si è avviato un processo di
normalizzazione delle relazioni diplomatiche fra lo
stato ebraico e parte del mondo arabo, che si
aggiunge ai trattati di pace siglati con Egitto (1979) e
Giordania (1994). Se questi accordi rappresentano un
punto di svolta con cui si tenta di dare una qualche
forma di stabilità ad un’area da cui gli Usa vogliono
disimpegnarsi il più presto possibile e che negli
ultimi venti anni ha visto il crollo di interi Stati (Siria,
Iraq, Libia, se estendiamo il caos al Nord-Africa), le
vittime sacrificali sembrano essere due: Iran e
Palestina. A dire il vero, più la seconda della prima.
Se l’implemento Usa degli Accordi di Abramo
sembra essere in assoluta continuità con
l’amministrazione precedente che li ha promossi,
Biden, già vice presidente di Obama ai tempi
dell’altrettanto storico accordo con Teheran del
2015, sta cercando di trovare qualche forma di
coinvolgimento nel nuovo Medio Oriente per il
governo degli Ayatollah, sembrando anche
assecondato da Mohammed Bin-Salman, sempre
più dominus della politica saudita una volta vistosi
condonare dalla comunità internazionale
l’omicidio di Jamal Khashoggi. Una manovra che
lascerebbe i palestinesi, di Gaza e Cisgiordania,
definitivamente senza protettori, costringendoli ad
accettare obtorto collo qualunque soluzione gli
venisse proposta.
Al di là della retorica araba, diverrebbe, di fatto, un
popolo sotto tutela, troncando ogni illusione di
autodeterminazione a cui ha aspirato in questi
decenni. Con l’attacco di oggi i palestinesi battono,
forse, un colpo. Anche una lezione di diplomazia: la
pace non può passare sopra la testa di chi combatte.

Commenti

Post popolari in questo blog

Gli esami di Stato del 1976

MESCIU ANTONIU LETTERE MEJU CU LU TIENI COMU AMICU...

Il pensiero filosofico di Humberto Maturana: l'autopoiesi come fondamento della scienza