"Questi qui” sanno fare il capo?


“Questi qui” sanno fare il capo?
La riflessione di Concita De Gregorio su “La Repubblica” di oggi è la descrizione della cultura patriarcale e della competizione. Osservazioni di una donna che conosce il potere e che afferma che “questi qui di adesso sono dilettanti, ci vuole Rino Formica e Cirino Pomicino per capire quello che sta succedendo”.
La crisi delle leadership non è una crisi di scarsità di giovani interpreti del ruolo del “capo”. Quelli che ci sono, saprebbero svolgere benissimo il compito se, fare il leader, garantisse una occupazione stabile come accadeva quando c’era il pentapartito e l’arco costituzionale.
“Questi qui”, come dice la vulgata, intuiscono la precarietà del successo, tentano di cavalcare la tigre attraverso i Social Network, e quando percepiscono che Sua Maestà la popolarità sta cominciando ad avere delle preoccupanti flessioni, fanno quello che possono, alzano il tiro, sparano alla cieca, insomma fanno tentativi disperati pur di conservarla quella benedetta popolarità conquistata con un duro lavoro di anni o decenni.
Tutto questo accade perché ancora nessuno ha abbandonato la cultura patriarcale e la conseguente fede nella leadership che tutto risolve.
È vero sono ciechi, non vedono le trasformazioni che sono intervenute negli esseri umani grazia a questo ampliamento dei sensi che deriva dall’uso dei Social. Non capiscono che alcuni umani ormai desiderano partecipare alla vita pubblica in prima persona, attraverso quegli stessi mezzi. e altri, invece, intendono starsene da parte e intervenire solo, una volta che ne abbiano voglia, su argomenti specifici.
Questo è quello che garantirebbe stabilità, cioè la collaborazione senza leader. Lo volete capire si, o no? La cosa buffa e che anche se “questi qui” decidono di resistere, di continuare a costruire recinti per poi farsi la guerra per conquistare il potere, rischiano di poterlo esercitare per 14 mesi, come adesso, per poi crollare nella popolarità ed avere gli stessi comportamenti disperati che hanno avuto “questi qui di adesso”.




Il commento
La psiche dei dilettanti
di Concita De Gregorio
Ll una crisi di governo da luna park anni Sessanta, un baraccone ambulante arrivato ieri notte nello sterrato di periferia. Hanno guidato alla cieca per mesi, sono ubriachi di stanchezza, sporchi di polvere, sono tutti un po' fuori fuoco nella foto: è la canicola d'agosto. Venghino signori venghino. C'è lo spaccone con la carabina, il finto dottore, il giocoliere più veloce del mondo, la donna con le ali. Venghino, si accomodino. È uno spettacolo a tema. Le attrazioni sono vestite da ministri e segretari di partito ma le maschere hanno tutte qualcosa fuori posto. Un fazzoletto rubato all'odalisca, la giacca stretta di un altro, il rosario del costume da prete, una scottatura da Caraibi. Eccezionalmente, stasera, sono aperte anche la casa degli orrori, il cancinculo. Non si può leggere con il dizionario della politica questa crisi da tre palle un soldo: è un last minute show di giocolieri di strada. Per questo non si capisce chi abbia inteso fare cosa e perché, e come mai adesso, e cosa abbia in mente di fare domani. Non lo sanno. Gli artisti non avevano intenzione. Caro Matteo, e giù botte. Sfiduciano, ma restano. Improvvisano, si regolano alla mezza giornata. Lo vedi nei volti desolati dei vecchi funzionari delle Camere, avvezzi alle regole al sacrificio e al decoro che danno senso all'istituzione, allo Stato. «Non è un problema di tenuta politica, ma di tenuta psichica», dice uno di loro. Tenuta psichica. È un primo criterio. Gli attori sulla scena della crisi si distinguono tra quelli che hanno fatto pratica di freddezza e di pazienza, qualità indispensabili alla professione, e quelli che no. Renzi, di vecchia scuola democristiana, è in grado di fingere magnanimità se gli conviene: mi avete lapidato, ma è tutto perdonato. Nel nome del bene supremo e comune, sorride. Non ci crede nemmeno lo stenografo d'aula, la sua maggioranza parlamentare annuisce: i renziani possono far cadere qualsiasi governo in qualsiasi momento, compreso un eventuale governo Pd-5stelle per il quale difatti Zingaretti vorrebbe in ostaggio Maria Elena Boschi, o un renziano qualunque del Giglio Magico. Gola porta vuota per Salvini, che con «fate pure la riforma del Csm con Lotti» trova l'unica frase efficace di un monologo per il resto sconnesso, in astinenza da risarcimenti dell'umore. Alla retorica, per così dire, dell'io ci sono, non ho fretta, Saviano il Papa l'amore vince tutto i rompipalle del Pd la Germania se ne frega i funzionari cattivi e la fata turchina, qui nel paese dove non nascono bambini, mancava solo chiamatemi Peroni, sarò la vostra birra. Straordinaria la tenuta psichica, e fisica, di Emma Bonino, alla quale la tv toglie la diretta d'aula mentre
dice «la dissociazione di Conte è postuma, tardiva, e comoda. Ha finora coperto ogni atto del governo. Hanno agito, lui e i suoi ministri, identicamente. Troppo tardi, non convince». Ineccepibile, nell'aula deserta. L'altro criterio, suggeriscono al Quirinale dove in queste ore si gioca la partita, è la distinzione fra professionisti e dilettanti. La maionese l'ha fatta impazzire chi non sa cucinare, detto altrimenti. I vecchi cuochi guardano i nuovi chef senza compassione e con sincero allarme. Bisogna ormai rivolgersi a Rino Formica, a Paolo Cirino Pomicino per sentire parole sensate, analisi attendibili. Quel che resta della stagione dei dinosauri, che hanno certo messo le mani in pasta e perciò conoscono bene la cucina. Sono i nuovi professionisti, difatti, in queste ore, gli strateghi occulti della crisi. È tornato in campo Gianni Letta, eminenza azzurrina del Novecento. Emma Bonino, appunto: eterna candidata di bandiera a ogni presidenza, buona per le "rose" di nomi in quanto donna, in questa scena al testosterone. Tiene la barra Romano Prodi, Presidente mancato di una congiura che ancora innerva e avvelena di sé il centrosinistra e la scena del potere. Giocano nelle retrovie, bene in vista, il mago delle spartizioni Denis Verdini, che qui sembra al servizio del genero Salvini ma che in realtà ha resuscitato Berlusconi e Renzi, «suoi cari amici», in un sol colpo. E Goffredo Bettini, a sinistra, senza il quale ancora oggi e da decenni non si muove foglia in certe stanze del Partito. Le riunioni che un tempo si svolgevano su Skype dall'Oriente, nella notte, o negli angoli del cortile del Transatlantico alla controra, oggi sono convocate nella casa al mare di Bibbona e nell'orto della villa. Alla luce del sole, è lo spirito del tempo. D'altra parte Trump vuole comprare la Groenlandia e si offende se la Danimarca non gliela vende. Era un regalo per Melania, si dice. Figuriamoci se impressiona lo shopping di parlamentari per le liste elettorali, in Toscana. Bibbiano e Bibbona, geografia minore. Il cuore immacolato di Maria pulsa nelle roulotte del baraccone mentre ancora nessuno spiega chi abbia fatto uscire gli audio del Russiagate e perché, a beneficio di chi. Che poi alla fme:follow the money, sempre, anche qui al luna park di fine stagione. Uscire dall'euro per entrare nel rublo. Guardare alle rotte navali del commercio con la Cina. Trovare qualcuno, anche il trapezista anemico, che faccia una finanziaria da 23 miliardi subito e per quei 49 milioni spariti: pazienza. Sarà tutto perdonato, basta che ciascuno possa finire la legislatura e portare a casa la pensione. Ché i professionisti hanno tutti un lavoro a cui tornare ma i dilettanti — alle tre carte, se la psiche regge — si giocano la vita e la poltrona.
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