Ad Alberto Maggi





Caro Alberto, tu nel 2009 hai espresso la tua opinione su clero, religiose e religiosi. Io che cammino in una parrocchietta di un paesello del Salento, una penisola a sud est immersa nel grande lago salato, ringrazio il Signore che mi ha concesso di fare un cammino (quello neocatecumenale) in mezzo a una società che non sembra interessata a Gesù ma che lo cerca incessantemente. Il Signore ha concesso tutto questo grazie a un giovane parroco che non ostacola questa riscoperta del battesimo. Io la fede non me la potevo dare da solo, ci hanno pensato il presbitero e i miei catechisti attraverso la predicazione. Tu sei sale, ho scoperto anch’io di essere chiamato ad essere sale. Non ci sono solo il clero, religiosi e religiose ma tante donne e uomini sposati, con figli che lavorano ogni giorno per portare il pane a casa e che tentano di imitare Gesù. La Chiesa è la sommatoria di tutto questo piccolo gregge del quale, con umiltà ricordo a me stesso, di farne parte anch’io. Caro Alberto ti assicuro che quelli come me nulla hanno a che fare con questa triste tua nota del 2009. Io non commento perché non voglio togliere il potere a Dio. Ricordo a me stesso solo che non si muove foglia che Dio non voglia e per questo sono certo di poterti rassicurare chiedendoti di non preoccuparti. Pensi che Lui non ami il suo gregge più di quanto lo amiamo noi? Coraggio! Dio ti ama e ama anche tutto il clero di cui hai scritto. Le ragioni della mia speranza sono queste e te le porgo in tutta umiltà. Un abbraccio

antonio bruno
segue il testo che ha stimolato il mio scritto:

è uno scritto di quattro anni fa... ora con papa Francesco quello che sembrava un sogno sta diventando realtà!

DALLA TEOLOGIA DELLA LIBERAZIONE
ALLA TEOLOGIA DELLA RIESUMAZIONE
(introduzione alla relazione tenuta da Alberto Maggi a Palermo nei giorni 21-22 marzo 2009)

Mai come in questi ultimi tempi la chiesa sta vivendo momenti difficili e drammatici e mai come oggi la sua credibilità ha toccato punti così bassi.
La confusione sulle linee teologiche da seguire (Concilio si? Concilio no?), le contraddizioni della gerarchia, il disorientamento dei fedeli, che vedono un papa permettere quel che il papa precedente aveva proibito, o ostacolare quel che prima era consentito, rendono più che mai attuali le drammatiche immagini del vangelo quando Gesù “vedendo le folle, ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite come pecore che non hanno pastore” (Mt 9,36).
La pena di Gesù vedendo le folle non è causata dalla mancanza di pastori, che c’erano e in abbondanza, ma è che questi anziché curare il gregge guardano solo al loro interesse, sono pastori che “pascono se stessi!” (Ez 34,2), e “non hanno reso la forza alle pecore deboli, non hanno curato le inferme, non hanno fasciato quelle ferite, non hanno riportato le disperse”, come denuncia il profeta Ezechiele (Ez 34,4).
Gesù dichiara che il vero Pastore lascia le novantanove pecore sui monti per andare in cerca dell’unica smarrita (Mt 18,12). Gli altri pastori si tengono ben stretta l’unica pecora rimasta e non si curano delle novantanove che si perdono.
Mentre il Buon Pastore dà la sua vita per le pecore (Gv 10,15), i pastori, immagine dei capi religiosi del popolo, rendono impossibile la vita del gregge, imponendo “fardelli pesanti e difficili da portare e li impongono sulle spalle della gente, ma essi non vogliono muoverli neppure con un dito” (Mt 23,4).
La proposta di questo anno è pertanto per quanti si sentono a disagio in un’istituzione religiosa che, nel giro di pochi anni, dalla teologia della liberazione è naufragata alla teologia della riesumazione, esumando cadaveri, opportunamente ritoccati per le esigenze di pii devoti, e togliendo dalla naftalina paramenti e teologie che si speravano serenamente defunte e dimenticate, rispolverando impolverate pie anticaglie che si credevano ormai sprofondate nel museo dell’inutile.
È un’offerta per chi ha ancora la capacità di pensare e di indignarsi, in una chiesa dove il buon grano viene estirpato e la zizzania lasciata prosperare (Mt 13,24-30), dove un padre viene chiamato “assassino” solo perché chiede di non prolungare le sofferenze della figlia da anni morente, e dove un vescovo anziché scomunicare lo stupratore che ha messo incinta una bambina di appena nove anni, scomunica i medici che le hanno procurato l’aborto per salvarle la vita. Una chiesa dove si è arrivati all’assurdo che il peccato di divorzio sia più grave di quello di omicidio.
Un messaggio per quanti non si rassegnano al declino di una chiesa alla quale le persone voltano le spalle perché si sentono rifiutate e incomprese. Una proposta per quanti desiderano impegnarsi per una chiesa dove la dignità e la libertà delle persone siano l’obiettivo primario, una chiesa che sia madre e non matrigna, una chiesa i cui rappresentanti mostrino il volto di persone serene conquistate dalla buona notizia di Gesù, e non l’arcigno e mesto volto di quanti sono prigionieri della dottrina e non sembrano minimamente sfiorati dalla gioia che Gesù comunica (“Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena”, Gv 15,11).
“Và, ripara la mia casa che è in rovina…” sono le parole che risuonarono nella coscienza di Francesco ben otto secoli fa, parole tanto drammatiche quanto attuali, che non possono non coinvolgere quanti fremono nel vedere una chiesa che seppellisce con tutti gli onori, con tanto di vescovi e preti, un criminale impenitente come il generale Pinochet, che seppellisce un bandito in un’importante basilica romana e, appena dieci giorni dopo, nega il funerale a un povero cristo che chiedeva solo la fine delle sue sofferenze .
È un messaggio d’amore per la chiesa, l’unica chiesa del Cristo, una chiesa che sempre “più fedele alla verità evangelica” , sia modello di comportamento, e non occasione di scandalo, una chiesa dove quel che viene insegnato venga prima mostrato, dove il dire venga dopo il fare e la dottrina segua e non preceda l’esempio.
Una chiesa che, come Pietro, possa dire all’uomo storpio fin dalla nascita: “Non possiedo né argento né oro, ma quello che ho te lo do: nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, àlzati e cammina!” (At 3,6). E non una chiesa che possiede oro e argento, ma è incapace di rialzare chi è caduto ed è d’inciampo a chi cammina.
Una chiesa di cui non doversi vergognare ma essere orgogliosi, una chiesa da non dover difendere ma che difenda i poveri e gli emarginati.
Una chiesa che non affondi sotto la zavorra della dottrina, ma che navighi spedita accogliendo il soffio dello Spirito!

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