L’aspirazione alla diversità della Sinistra



Protagonismo e custodia della democrazia progressiva, dell’autogoverno diffuso, della promozione e dell’agibilità dei diritti collettivi di giustizia e cittadinanza politica è ciò che secondo il Prof. Paolo Protopapa distingue la sinistra critica e riformatrice, radicale nei valori di civiltà ed altresì innovativa e sagace nell’arte del governare ed organizzare le scelte comuni erede del Comunismo, dalle attuali insorgenze populiste e sovraniste di destra eredi del fascismo.
E la seppur interessante analisi del Prof. Paolo Protopapa su quali fatti e circostanze poggia questa sua asserzione?
Quali sono i fatti e le circostanze?
Invece a me sembra che si tratti di un anelito, o al massimo di un’ambizione di chi si sente di appartenere a un recinto (perimetro dicono i giornalisti) che si autodefinisce così e punta il dito a un altro recinto che invece dimostra apertamente la sua natura.
Ciò che conta sono i comportamenti, e questi quando le oligarchie hanno avuto il potere, sono stati e sono tutt’ora pressoché identici sia che si tratti del recinto A che del recinto B, al punto che è opinione comune dei cittadini elettori che chiunque conquista il potere lo fa nell’esclusivo interesse di una oligarchia e di chi si sottomette e ubbidisce a questa oligarchia stessa, al punto che l’astensione dal voto ha toccato nel nostro Paese e nell’occidente percentuali da primo partito con maggioranza assoluta .
Ciò che mi sarebbe piaciuto leggere è un’analisi dei processi di chi conquista il potere, di tutti quelli che l’hanno conquistato e perso, processi che è mia opinione siano di tipo culturale. La dimostrazione è plasticamente evidente in tutto il suo splendore nel Movimento 5 stelle che culturalmente nelle circostanze attuali ha comportamenti sostanzialmente identici a tutti i partiti che sino ad adesso hanno conquistato e perso il potere.

Antonio Bruno Ferro




Sandro Frisullo ha scritto:
Mi permetto di segnalare, di seguito, un articolo del Prof.Paolo Protopapa noto studioso di filosofia e del pensiero politico, per il suo rigore analitico e la sua efficacia espositiva. Le questioni trattate presentano una loro complessità. Ma senza un robusto supporto culturale la politica rischia di essere piegata a mera propaganda e a demagogia.
"Il Parlamento europeo ha recentemente equiparato nazismo e comunismo nella presunzione, grossolana, che la storia ‘giochi a dadi’ e che l’odierna bulimia della politica di giudicare, più che di realizzare, giustifichi ogni intromissione ed invasione di campo. Perché intromissione? Perché già comparare fenomeni così complessi - prima ancora che diversi - significa immaginare un tribunale Speciale legittimato a decidere in ogni giurisdizione. Ignorando che il ‘giudizio storico’ si fa, si forma, si integra, si aggiorna, si corregge, si rivede, ossia ‘evolve’ fissandosi e si fissa evolvendosi. Ne deriva che una cosa è il processo ‘politico’ di Norimberga (ineluttabilmente quanto inesorabilmente sanzionatorio di una orrenda barbarie storica), un’altra cosa è ‘intelligere’ e, quindi, interpretare e faticosamente giudicare. Infatti, il giudizio politico a differenza del giudizio storico/storiografico ha meno bisogno di teoreticità, accontentandosi dell’utilità del momento e della strumentalità della prassi. Scienza pratica, da Aristotele a ... Weber, la politica, ispirata e, direi, ‘sagomata’ da ineluttabile realismo, utilizza la teoria (compresi i giudizi di merito) ‘ai fini della pratica’. Una valutativita’, la sua, neppure metodologicamente ‘avalutativa’ e, pertanto, refrattaria all’onere del disvelamento veritativo del fatto, che si conferma, invece, prerogativa principe dell’impresa storico-critica. Un onere problematico e ‘congetturale’, certo, ed esposto ad ogni possibilismo ermeneutico, ma obbligatoriamente veritativo sul piano epistemologico.

Solo il lavoro teorico di ricerca in ordine alla differenziazione tra i due tipi di giudizio - politico e storico - consente, allora, l’acclaramento delle loro convergenze e/o divergenze e dei loro complessi livelli di reciproche inferenze. Sostenere - come fanno molti - che i totalitarismi si somigliano o sono, sotto alcuni aspetti, addirittura uguali, etc., non aggiunge nulla alla condivisione di una astrazione generica. Altra, rispetto all’astrazione (concetto o categoria specifica) ‘determinata’, la quale attenua consapevolmente le scorciatoie superficialmente equiparative e fissa, invece, le ‘differentiae’ comparative. Peculiari e identificative, queste ultime, dello specifico fenomeno e processo pur contestualmente esaminabili. C’entra questa fastidiosa (e noiosa) premessa col giudizio emesso dal Parlamento europeo, dove pure non mancano ottimi praticanti e apprezzatori dell’impervio “mestiere di storico”? C’entra, eccome!, perché la ‘fatica del concetto’ acclara, anzitutto, come la stessa sottovalutazione della democrazia liberale da parte sia del nazismo sia del comunismo è affatto diversa. Fascismo e nazismo (assumendoli qui nella loro generale affinità) non privilegiarono - tutt’altro! - le potenzialità inespresse di un ideale sociale’di democrazia progressiva ‘di sinistra’. Era, d’altronde, loro programmaticamente estranea (tranne rare, consolatorie e seppur nobili eccezioni) l’ Ethos di emancipazione popolare egualitaria ‘oltre’ i limiti formali della democrazia primo-novecentesca. La stessa giustizia sociale, scissa da una più corposa libertà metaindividuale, era ‘a destra’ declinata in maniera difforme dal nazismo e dal comunismo, sia sotto il profilo ideologico che giuridico-politico. E questi principii, qui sommariamente accennati, non sono bagattelle ininfluenti nel corso delle cose, ma questioni centrali, la cui ignoranza non solo inficia il merito del fenomeno idagato, bensì oscura le linee di tendenza che i processi storici, giuridici, economici, culturali e sociali assumono.

Gli esiti autoritari e totalitari, nemici della democrazia liberale rappresentativa - nel gioco variegato dei molteplici costituzionalismi planetari - nel secondo Novecento integrano inedite democrazie sociali. Le quali più empaticamente tendono ad imparentarsi con le tradizioni, le lotte collettive, le culture politiche delle matrici e del pensiero socialista e, entro precisi vincoli, anche comunisti, in contrasto con le attuali insorgenze populiste e sovraniste di destra. Si obbietterà: ancora destra e sinistra, obsolete categorie ottocentesche? Proprio questa assunzione teorica (e non solo empirico-orientativa) ci aiuta, invece (seppure tra corposi mutamenti epocali) a distinguere nettamente i retaggi ideologici ‘in progress’, misurandone i legami e le distanze dal passato. Ci pare difficile negare i guasti di un comunismo ‘realizzato’, gravato da colpe talora aberranti in luoghi e tempi ben individuabili della storia. Sarebbe, tuttavia, omissivo e ai limiti della disonestà intellettuale disconoscere, nella costruzione difficile della democrazia sociale contemporanea, l’urgenza di una sinistra critica e riformatrice, radicale nei valori di civiltà ed altresì innovativa e sagace nell’arte del governare ed organizzare le scelte comuni. Dunque non appare per nulla peregrino immaginare una solida sinistra che, a differenza di una destra populista e sovranista (tristemente coerente col suo retaggio autoritario) continui ad accreditarsi protagonista e custode della democrazia progressiva e dell’autogoverno diffuso, della promozione e dell’agibilita’ dei diritti collettivi di giustizia e cittadinanza politica."(Paolo PROTOPAPA)


Informazioni sull'autore
Paolo Protopapa (Martano, 1949), per oltre un trentennio docente di Filosofia e Storia nei licei, è stato amministratore e dirigente politico, componente del Consiglio di Amministrazione dell’Istituto di Culture Mediterranee della Provincia di Lecce e membro del Consorzio Universitario Salentino.
Sempre partendo da una visione laica, da anni va elaborando una serie di riflessioni ispirate da una multiforme esperienza sociale ed educativa, volta a coniugare la valorizzazione del patrimonio storico-identitario e popolare con il potenziamento e l’espansione della democrazia.
È in questa condizione di rilettura critica delle ideologie e di costante affinamento delle categorie filosofico-politiche che egli ritiene si possa armonizzare lo sviluppo civile del territorio e l’esercizio democratico della cittadinanza attiva.

Tra le sue numerose pubblicazioni (libri, saggi, articoli su riviste specializzate), La città greca. Brevi note sulla Politica di Aristotele(1986), La conoscenza come lavoro. Linee di approccio storico-teoretico alla filosofia (1997),La Città democratica. Responsabilità storica e sensibilità civile (1999), Dopo quelle bandiere. La passione e l’idea (2009),Grecìa Salentina e Democrazia (2012), L’umanesimo di un orientalista (Francesco Gabrieli) (2012) e Per palazzi e antiche strade. Divagazioni estemporanee ironiche e quasi poetiche (2012).

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