Una nuova partecipazione alla politica nazionale




Ho letto la riflessione nostalgica e a tratti edulcorata di Sabino Cassese sul Corriere della Sera di oggi mercoledì 23 ottobre 2019.
Secondo me Cassese ha fatto una distinzione della nostalgia dei partiti. Ovvero ha scritto di come quelli di noi che hanno sognato, si sono illusi, o si sono voluti illudere che, prendendo una tessera di partito, avessero preso parte a un’associazione tra cittadini che erano lì riuniti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale.
Io ho osservato la realtà dei partiti e penso che l’unica differenza tra i partiti dell’inizio della storia repubblicana, evocati da Cassese, e la descrizione di quelli dei giorni nostri, sia rappresentata dalla caduta della “foglia di fico” che tutti i tesserati, all’inizio della storia repubblicana e per i quarant’anni circa successi hanno fatto finta di non sapere esistesse.
Voglio affermare senza paura di smentita che i tesserati in quei tempi della cosiddetta Prima Repubblica  hanno fatto finta di “NON VEDERE” che quella “foglia di fico” conservata gelosamente nelle sezioni erano le discussioni, i dibattiti e i documenti che rappresentavano la vita democratica che serviva a coprire le vergogne della vera MISSION dei partiti che è sempre stata, per la cultura che è maggiormente rappresentata nel Mondo Occidentale, la conquista del POTERE finalizzato a sottomettere e rendere ubbidienti tutti quelli che il potere lo subivano da chi vittoriosamente aveva lottato con ogni mezzo per conquistarlo e conseguentemente che aveva ottenuto di esercitarlo.
In cambio ai tesserati ubbidienti e sottomessi si distribuivano ogni sorta di regali, ricchi premi e cotillon.
Anzi, alcune volte, prima si davano i ricchi premi, e poi il fortunato vincitore si tesserava al partito. Oppure si poteva ricorrere al tesseramento firmando la “CAMBIALE” un pagherò che si sarebbe elargito nel futuro, una volta ottenuto il potere.
Insomma quello che oggi va sotto il nome di “voto di scambio” che oggi è un reato, nella prima repubblica rappresentava il sistema di proselitismo politico più in voga che secondo Cassese era indice di partecipazione popolare alla vita democratica del Paese.
Cosa Cassese abbia visto io non lo so, ma io gli chiedo dove abbia avuto notizie di partiti nei primi quarant’anni di vita repubblicana, nella forma di associazione tra cittadini, riuniti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale? In quale città? In quale Regione?
Infine ricordo un tempo in cui andavano fortissimi gli elenchi telefonici da cui si attingevano i nomi di ignari cittadini che risultavano tesserati a questo o a talaltro partito. Io la finisco qui e stendo un velo pietoso su quanto ancora si potrebbe dire.
Invece bisogna prendere atto che la cultura della competizione e il liberismo economico hanno prodotto in passato, e producono tuttora, solo ed unicamente partiti Azienda di proprietà di veri e propri Monarchi Imperatori o, nella migliore delle ipotesi, partiti cooperative che sono di Oligarchie che detengono percentuali diverse della proprietà e che si dividono in forza della percentuale il pezzo di potere di cui entrano in possesso.
Tutto questo c’è sempre stato e sempre ci sarà se non decidiamo di abbandonare la cultura della competizione, e il Neo liberismo economico che la rappresenta plasticamente in ogni articolazione della nostra esistenza sociale.
Possiamo farlo senz’altro se lo desideriamo registrando a quel punto, se decidiamo di vivere insieme, l’emersione della cultura della collaborazione che ha come conseguenza la redazione di un “progetto comune” ed i comportamenti cooperativi per attuarlo.

Antonio Bruno Ferro




La decadenza (ignorata)
e il vuoto di idee dei partiti
di  Sabino Cassese | 22 ottobre 2019
Una volta, i programmi dei partiti erano libri dei sogni, contenevano molte promesse non mantenute, ma indicavano un percorso, spesso aspirazioni, comunque il disegno di una società futura
·          
·      
La Lega ha mostrato i muscoli con la manifestazione di piazza a San Giovanni. Italia viva si è esibita alla Leopolda. Il M5S fa ricorso periodicamente alla piattaforma Rousseau. Il Pd sta cambiando statuto, alla ricerca di una «alternativa al partito personale». Il fronte dei partiti è in movimento. Ma che cosa sono oggi i partiti?
Sono nati con un piede nella società, l’altro nello Stato. Hanno conservato il secondo e perduto il primo, con una grave crisi di legittimazione. All’inizio della storia repubblicana, in un’Italia con quasi 13 milioni di abitanti in meno, avevano otto volte più iscritti di oggi. Dal crollo della militanza di partito deriva una forte sproporzione tra iscritti ed elettori: per fare solo un esempio, gli iscritti del M5S sono poco più dell’1 per cento dei suoi elettori. Quindi, urne piene, sezioni vuote. Proprio quando tutti i partiti si appellano al mitico popolo, il popolo si allontana dai partiti e il loro rapporto si esaurisce in qualche immagine televisiva di «adunate oceaniche».
Un altro segno della crisi dei partiti come organizzazioni sociali sta nella sostituzione delle vecchie macchine con un «uomo solo al comando». «Il leader è quello che ha i numeri», ha detto icasticamente Salvini (Corriere della sera, 21 ottobre scorso). Italia viva è il secondo partito, dopo Forza Italia, costruito dall’alto, nel quale il movimento (quando ci sarà) è al servizio di una persona. Salvini ha deciso da solo, senza consultare gli organi dei due partiti che guida, la giravolta che l’ha fatto cadere nell’agosto scorso.
Un terzo segno della decadenza della forma partito sta nella sostituzione dei programmi con gli schieramenti. Una volta, i programmi dei partiti erano libri dei sogni, contenevano molte promesse non mantenute, ma indicavano un percorso, spesso aspirazioni, comunque il disegno di una società futura. Ora il vuoto d’idee è riempito da quella che un grande studioso americano da poco scomparso definì «single issue politics», la politica fatta con singoli temi, senza una cornice. L’«offerta politica» si risolve quindi in una o due proposte, per lo più ispirate all’interpretazione che il capo dà degli interessi corporativi dell’elettorato (Francesco De Sanctis nel suo Viaggio elettorale riferisce quel che gli scriveva un suo elettore: «gli entusiasmi passano, gli interessi restano»). Per compiacere gli elettori, ora tutti i partiti propongono riduzioni delle imposte, ritenute «colpi a prodotti e posti di lavoro», «balzelli». I partiti si accusano reciprocamente di essere «il partito delle tasse». Nessuno dice, però, quali servizi vuole ridurre, quali scuole e ospedali vuole chiudere, quali diritti sociali limitare, per ridurre le tasse.
Questa inconsistenza associativa e ideale dei partiti produce molti effetti: volatilità dell’elettorato, destrutturazione organizzativa (sempre meno congressi, riunioni di sezioni, di segreterie e di altri organi collegiali: ad esempio, Anna Maria Parente, senatrice Pd, ha dichiarato al Corriere della sera, il 5 ottobre scorso, che nel suo partito «purtroppo non ci si parla»), abbassamento del livello qualitativo dei parlamentari (e conseguente esaltazione del ruolo dei capi), trasformazione del dibattito politico in un teatrino dei pupi o in una lotta tra galli.
Ma i partiti non si sono ridotti soltanto in meri seguiti elettorali. Rifiutano persino la denominazione di «partito». Solo 5 dei 49 partiti iscritti nella prima parte del «registro nazionale dei partiti politici» hanno la parola «partito» nella loro denominazione ufficiale e solo uno di quelli rappresentati in Parlamento la conserva. Si ha timore, evidentemente, di doversi qualificare con un aggettivo (partito socialista, partito liberale, partito comunista, partito socialdemocratico). Anche al loro interno, si rifugge dalla parola partito: in Italia viva, è sostituita con «casa». Per essa e per il Pd, l’organizzazione (segreteria, presidenza, direzione nazionale, e così via) è una «squadra» (il calcio insegna).
I partiti, che sarebbero lo strumento della democratizzazione dello Stato, sono, quindi, a loro volta non democratici, pur conservando, peraltro, come ho scritto all’inizio, ben saldo il loro piede nello Stato, in cui mantengono (ma solo in virtù dell’investitura quinquennale derivante dalle elezioni) tutti i poteri.
I partiti di cui ho cercato di tratteggiare la decadenza, che hanno perso il loro radicamento sociale, corrispondono ben poco al figurino costituzionale. L’articolo 49 della Costituzione comincia dai cittadini e dall’associazione: «tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale». Le forze politiche attuali hanno conservato ben poco dell’associazione: ci si potrebbe chiedere se non abbiano ragione a rifiutare di ricorrere al lemma «partito».
22 ottobre 2019, 20:51 - modifica il 22 ottobre 2019 | 20:52
© RIPRODUZIONE RISERVATA


Commenti

Post popolari in questo blog

Gli esami di Stato del 1976

MESCIU ANTONIU LETTERE MEJU CU LU TIENI COMU AMICU...

Il pensiero filosofico di Humberto Maturana: l'autopoiesi come fondamento della scienza