E allora ditelo no!

 

E allora ditelo no!

Annalisa Cuzzocrea ha scritto un articolo pubblicato dal quotidiano La Stampa oggi 29 settembre 2023 in cui descrive la possibilità che la Signora Giorgia Meloni molto presto lasci il posto a Fabio Panetta. L’editoriale di Massimo Giannini del 17 settembre definiva il governatore designato di Bankitalia Fabio Panetta, amico di Meloni, un possibile “Draghi di destra” nell’ipotesi di un governo tecnico.

Secondo la giornalista il destino della Signora Giorgia Meloni è legato a quello della Signora Elly Schlein. Per descrivere questa circostanza Cuzzocrea utilizza il detto «Simul stabunt simul cadent» che secondo la cronista sarebbe il motto più citato - in queste ore- nei palazzi di governo e Parlamento: «Vivranno insieme o insieme cadranno».

C’è stato il governo Monti dopo la caduta di Silvio Berlusconi e c’è stato il governo Draghi dopo la caduta del governo Conte 1, quindi non è improbabile che anche oggi accada la stessa cosa e che conseguentemente avremo il governo Panetta.

Perché accade che si voti una cittadina per poi avere un COMMISSARIO che nessuno ha votato?

Cuzzocrea sostiene che la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha celebrato un anno di governo ma il suo timore più grande resta quello di tradire sé stessa e la sua storia e forse anche la responsabilità che si è assunta con chi l’ha votata.

In definitiva si fanno le elezioni assumendosi la responsabilità di fare delle cose, poi queste cose non si possono fare, si chiama UN COMMISSARIO per farle perché quest’ultimo non ha assunto alcun impegno con i cittadini.

A me sembra che tutto questo non va bene, e a voi?

A me sembra che le elezioni siano una specie si spettacolo teatrale in cui c’è chi interpreta la parte di chi vuole abbassare le tasse e c’è chi invece vuole dare soldi a tutti, entrambi destinati a raccogliere consensi assumendosi un impegno che sanno da prima di non poter mantenere.

Meglio sarebbe fare un progetto comune in cui si scrive ciò che si intende FARE INSIEME per poi farlo, in collaborazione. Le migliori energie italiane, tutte insieme, senza distinzioni di ideologie o religione o genere.

Buona riflessione

LO SPETTRO DEL GOVERNO TECNICO
Tra le frizioni in Europa e la paura dei mercati si teme un cordone di sicurezza intorno all’Italia
La presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha celebrato un anno di governo ma il suo timore più grande resta quello di tradire sé stessa e la sua storia
ANNALISA CUZZOCREA
«Simul stabunt simul cadent» è il motto più citato - in queste ore- nei palazzi di governo e Parlamento. «Vivranno insieme o insieme cadranno», è il significato,
e le protagoniste sono
ancora una volta Giorgia
Meloni ed Elly Schlein. Lo spettro
che spaventa entrambe, la
premier dal primo giorno in
cui ha messo piede a Palazzo
Chigi, la segretaria pd da quando
ha cominciato ad analizzare
meglio le mosse del Correntone
che nascerebbe in teoria
per appoggiarla, non è nuovo
alla politica italiana: si chiama
governo tecnico.
Alle tre e mezzo del pomeriggio,
mentre i deputati sono
impegnati a varare un
provvedimento su cui hanno
appena votato l’ennesima fiducia,
a Montecitorio si diffonde rapida
l’ultima agenzia che arriva dai mercati:
«Lo spread ha toccato 200 punti base». Il differenziale
tra i nostri titoli di Stato e
quelli tedeschi è salito molto
più rapidamente di quanto
non avesse previsto, solo pochi
giorni fa, Morgan Stanley.
La banca d’affari scriveva,
preoccupata, che di questo
passo sarebbe potuto arrivare
a 200 punti a dicembre.
Sono bastati quattro giorni
invece di tre mesi, segno che
le fibrillazioni sono maggiori
di quanto gli stessi investitori
non avessero previsto.
La politica, però, era già sul
pezzo. Orologio indietro, martedì
mattina, funerali di Giorgio
Napolitano: un capannello
di deputati ricorda uno dei
momenti più controversi della
sua storia, quando diede vita
al governo Monti sacrificando
così anche il suo partito sull’altare
dei tecnici. «Sta accadendo
di nuovo», dice Andrea Orlando,
«non lo vedete? Ed è
per questo che cominciano a
massacrare anche Elly. Loro
due vanno insieme».
I segnali che chi non auspica
uno scenario del genere, a destra
come a sinistra, ha cominciato
a mettere in fila e a ritenere
preoccupanti, non sono pochi:
cominciano il 6 settembre,
con l’intervento di Mario
Draghi sull’Economist:
«All’Europa servono nuove regole
e più sovranità condivisa
». Non proprio miele, per le
orecchie dei sovranisti. Continuano
il 13, quando l’ex premier
accetta dalla Commissione
Ue l’incarico di delineare
una strategia sul futuro della
competitività europea. Poi il
16, quando arriva un incarico
anche per Enrico Letta, tanto
da far dire a Carlo Fidanza, plenipotenziario
di Meloni in Europa:
«Evidentemente in questo
periodo gli ex premier italiani
sono molto gettonati a
Bruxelles». Ma a far scattare
l’allarme rosso a Palazzo Chigi
è l’editoriale del Financial Times
del 18 settembre: il titolo
è «La luna di miele è finita». E
poi: «La legge di bilancio di Meloni
metterà alla prova l’instabile
relazione con gli investitori
». È lì, che comincia a scattare
la retromarcia: sulle banche
non si può tirare troppo la
corda, e la tassa sugli extraprofitti
viene rivista e di fatto neutralizzata.
Gli attacchi al commissario
europeo agli Affari
Economici Paolo Gentiloni
rientrano, da giornalieri che si
erano fatti. Con le istituzioni
europee e con i mercati non si
scherza, si sta seduti bene a tavola.
Meloni c’era, quando nel
2011 questo costò il governo a
Silvio Berlusconi. «Quella lezione
è stata imparata - dice il
sottosegretario all’Economia
Federico Freni - questo livello
di spread è fisiologico, non c’è
una maggioranza elettorale
frastagliata, i fondamentali
economici sono completamente
diversi. Nel Conte 1, lo
spread aveva toccato 300 punti
». Solo che poi, appunto, il
Conte 1 è caduto. Ma Claudio
Borghi, al Senato, fa gli stessi
identici ragionamenti, quelli
circolati in queste ore nella
Lega: «Quando siamo arrivati
al governo lo spread era a
250 , il momento a livello europeo
è complicato, ma non
siamo neanche lontanamente
vicini alle condizioni del
governo Berlusconi».
È vero. Ma questo non ferma
la paura strisciante, e le
contromosse nascenti. «Che
questo spettro ci sia è provato
dal fatto che Meloni lavora dal
primo giorno affinché non si
materializzi», dice in Transatlantico
il deputato pd Matteo
Orfini elencando le cautele:
da quelle in economia ai buoni
rapporti con l’amministrazione
americana. Poi certo, va
da Orban a difendere Dio, ma
quelle mosse - dice chi la conosce
bene - nascono dal suo timore
più grande: tradire sé
stessa e la sua storia. Solo che,
l’”irrituale” lettera a Scholz sulle
Ong, la fuga di Piantedosi
dalla riunione dei ministri Ue
che di fatto ha bloccato il nuovo
patto sulle migrazioni, il tira
e molla sul Mes, sono tutti
tasselli che formano un nuovo
puzzle agli occhi di Europa e
mercati. E sulla scatola si legge:
“inaffidabilità”. Così si comincia
a intravedere un cordone
di sicurezza attorno all’Italia:
Draghi, Letta, ma anche
il governatore designato della
Banca d’Italia Fabio Panetta.
«Se ci fosse lui, non sarebbe
necessario spaccare Fratelli
d’Italia, la stessa Meloni potrebbe
decidere di lasciar vivere
un governo di larghe intese
per poi lucrarci su elettoralmente
altri dieci anni», ragiona
un ex ministro. Tutto questo
chiaramente in caso i dati
economici e l’autunno caldo
portassero il Paese a una situazione
di estremo malessere. È
un’ipotesi decisamente lontana,
ma non vuol dire che non
ci sia chi si prepara.
E a prepararsi, come sempre,
è il Partito democratico.
Che ha letto in questa chiave
l’incontro accordato da Sergio
Mattarella al commissario europeo
dem Paolo Gentiloni lo
scorso 21 settembre: un segnale
all’Europa, lui ha l’appoggio
italiano, nei giorni degli attacchi
di Meloni e Salvini. Ma anche
un segnale a premier e vicepremier:
attenzione a destabilizzare,
che poi a cercare un
nuovo equilibrio è il capo dello
Stato. L’ha già fatto una volta.
E qui veniamo a Schlein,
che ha capito - in queste ore -
che l’operazione Arcipelago
che le era stata presentata come
un sostegno, potrebbe ribaltarsi
in poco tempo nel suo
contrario. All’incontro con il
capo di Area dem Dario Franceschini
sono stati chiamati i rappresentanti
di tutte le correnti
che hanno sostenuto Schlein
al Congresso, tranne una: la sinistra
di Andrea Orlando e
Peppe Provenzano. Quella
che ha detto chiaramente No
all’agenda Draghi, e che davanti
a un nuovo scenario direbbe:
elezioni. A dire “al voto”
sarebbe anche Schlein. Ma
più grande è il “correntone”
che dice di sostenerla, più forte
il rischio che la butti giù, se
lo schema cambiasse. A quel
nascente correntone lei ha dato
entrambi i capigruppo, di
Camera e Senato. Mossa azzardata,
che ora la preoccupa.
«È un’operazione a doppio
taglio», ha detto in queste
ore. «Simul stabunt simul cadent
», appunto. E anche per
questo, l’idea di correre alle
elezioni europee da capolista
sfidando Giorgia Meloni, si fa
sempre più concreta. Come
fosse il primo tempo di una
partita che entrambe vorrebbero
giocare fino in fondo,
scacciando la paura che qualcuno
- o qualcosa - possa fischiare
prima del tempo. —

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