Sia i conservatori che i progressisti sono i figli sani del patriarcato

 

Sia i conservatori che i progressisti sono i figli sani del patriarcato

Ernesto Galli della Loggia, ordinario di Storia contemporanea presso l'Istituto Italiano di Scienze Umane (SUM) e direttore del corso di dottorato di ricerca in Filosofia della storia, istituito dal SUM in collaborazione con l'Università Vita-Salute San Raffaele ha scritto un articolo pubblicato dal quotidiano “Corriere della Sera” Domenica 3 Settembre 2023 nel quale scrive:

Il «conservatorismo»

I conservatori devono avere cura di non “apparire” REAZIONARI;

Il «progressismo»

Il progressismo che si propone in alternativa ai conservatori concepisce un solo tipo di progresso— quello scientifico tecnico —, che al posto della libertà sembra perseguire solo il più banale «liberi tutti», e che in sostanza gioca ogni sua posta su un unico tableau: si occupa solo dell’umanità occidentale, perlopiù bianca, libera e benestante.

LA NATURA VISTA DAL PROGRESSISMO

Secondo il punto di vista progressista che tiene oggi il campo la natura esisterebbe ormai solo come qualcosa da superare, un limite arcaico da gettarci dietro le spalle: concettualmente e se possibile praticamente.

LA CONVIVENZA DEGLI ESSERI UMANI VISTA DAL PROGRESSISMO

Concettualmente il progressismo mira a eliminare l’idea che i comportamenti umani elementari nonché gli stati psicoemotivi e i rapporti interindividuali che li caratterizzano (la bipolarità di genere e l’accoppiamento, la genitorialità, il legame dei gruppi primari) abbiano un qualsiasi fondamento nella natura. Sostenendo che in questo ambito, viceversa, ogni cosa sarebbe frutto di convenzioni o di abitudini consolidatesi nel corso del tempo, un puro e semplice «prodotto della società» e quindi, come tale, modificabile o cancellabile a piacere.

Mi permetto di segnalare al Prof. Ernesto Galli della Loggia, le mie osservazioni ed i miei studi che possono contribuire alla comprensione di quanto da lui osservato[bs1] .

SUL CONSERVATORISMO

Fritjor Capra e Peter Senge, lo consideravano Humberto Maturana un loro maestro, e per me rappresenta un punto di rifermento, lo stesso Dalai Lama – di cui è stato interlocutore per molte conversazioni- lo ha definito tale. All’inizio del nuovo secolo aveva fondato con la sua compagna Ximena Dàvila l’Associazione Matristica con l’intenzione di collaborare a formare una società etica. “Gli esseri umani sono il frutto della cooperazione per la conservazione, non della lotta per la sopravvivenza: bioevolutivamente siamo perché amiamo” sosteneva con convinzione.

“È la circolarità della sua organizzazione che rende un sistema vivente un’unità di interazioni, ed è questa circolarità che esso deve mantenere per rimanere un sistema vivente e per conservare la sua identità attraverso differenti interazioni”. La dinamicità delle relazioni con l’ambiente dipende dalla stabilità della sua struttura.

QUINDI L’ORGANISMO VIVENTE (QUINDI ANCHE NOI UMANI) CONSERVIAMO LA NOSTRA IDENTITA’ ATTRAVERSO DIFFERENTI INTERAZIONI

Da quanto scritto consegue che la NATURA (la nicchia ecologica con la quale siamo un tutt’uno) si trasforma insieme a noi e gli organismi viventi riescono a conservarsi se ci sono le condizioni che lo rendono possibile.

Lo stesso principio vale per le relazioni con gli altri esseri umani.

Infine qualche parola sulla materia di studio del Prof. Ernesto Galli della Loggia, ovvero la Storia che è trattata così nel suo articolo:

“La storia: così feroce, così turgida di sentimenti estremi, tanto spesso così ingiusta. È in particolare proprio ciò che la rende invisa all’ottica progressista la quale, per l’appunto, si fa un punto d’onore nell’additare la moltitudine di violazioni dei diritti umani che costellano le sue vicende e nel comminare grottesche condanne retrospettive alle guerre, alla schiavitù e a quant’altro. Ma al di là di questo ridicolo esercizio di moralismo è la dimensione complessiva della storia che il progressismo considera a sé estranea se non ostile.”

Il progressismo secondo le mie osservazioni, è una Comunità di persone che pratica la nostra cultura patriarcale la cui storia è studiata e divulgata dal Prof. Ernesto Galli della Loggia, giudicando i personaggi della stessa, che ebbero i comportamenti additati come “non desiderabili”, senza accorgersi che la stessa comunità del progressismo mette in atto gli stessi identici comportamenti che ha additato come “non desiderabili”.

La storia dell’umanità che pratica la nostra cultura patriarcale non può che essere quella che è di dominio pubblico e che risulta oggetto di studio da parte del Prof. Ernesto Galli della Loggia, e non vi è nulla di incoerente e lo dimostrerà descrivendo di seguito quali sono i comportamenti di chi pratica questa nostra cultura.

Gli aspetti puramente patriarcali dello stile di vita della cultura patriarcale europea a cui appartiene gran parte dell'umanità moderna, e che d'ora in poi chiamerò cultura patriarcale , costituiscono una rete chiusa di conversazioni caratterizzate dal coordinamento di azioni ed emozioni che fanno della nostra vita quotidiana un modo di convivenza che valuta la guerra, la competizione, la lotta, le gerarchie, l'autorità, il potere, la procreazione, la crescita, l'appropriazione delle risorse e la giustificazione razionale del controllo e dominio degli altri attraverso l'appropriazione della verità.

Così, nella nostra cultura patriarcale parliamo di lotta alla povertà e agli abusi quando vogliamo correggere ciò che chiamiamo ingiustizie sociali, o combattere l’inquinamento quando parliamo di ripulire l'ambiente o di affrontare "l'aggressione" della natura quando siamo di fronte a un fenomeno naturale che costituisce un disastro per noi, e viviamo come se tutte le nostre azioni richiedessero l'uso della forza, e come se ogni occasione per un'azione fosse una sfida.

Nella nostra cultura patriarcale viviamo nella sfiducia e cerchiamo la certezza nel controllo del mondo naturale, degli altri esseri umani e di noi stessi.

Parliamo continuamente di controllare il nostro comportamento o le nostre emozioni, e facciamo molte cose per controllare la natura o il comportamento degli altri, nel tentativo di neutralizzare quelle che chiamiamo forze antisociali e naturali distruttive che derivano dalla loro autonomia.

Nella nostra cultura patriarcale non accettiamo disaccordi come situazioni legittime che costituiscono punti di partenza per un'azione concertata di fronte a uno scopo comune, e dobbiamo convincerci e correggerci a vicenda, e tolleriamo solo il diverso nella fiducia che alla fine saremo in grado di portarlo a convincersi dell’unico modo buono che è il nostro, oppure finché non possiamo eliminarla o eliminarlo sotto la giustificazione che quello che pensa, dice e fa è sbagliato.

Nella nostra cultura patriarcale viviamo nell'appropriazione e agiamo come se fosse legittimo stabilire con limiti di forza che limitano la mobilità degli altri in certe aree di azioni che prima della nostra appropriazione erano del loro libero accesso. Inoltre, lo facciamo mentre manteniamo per noi stessi il privilegio di muoverci liberamente in quelle aree, giustificando la nostra appropriazione di esse attraverso argomenti basati su principi e verità di cui ci siamo appropriati. Così parliamo di risorse naturali in un atto che ci acceca della negazione dell'altro che il nostro desiderio di appropriazione implica.

Nella nostra cultura patriarcale, ripeto, viviamo in diffidenza verso l'autonomia degli altri, e ci appropriamo sempre del diritto di decidere ciò che è legittimo o meno per gli altri in un continuo tentativo di controllare le loro vite. Nella nostra cultura patriarcale viviamo nella gerarchia che richiede obbedienza, affermando che la convivenza ordinata richiede autorità e subordinazione, superiorità e inferiorità, potere e debolezza o sottomissione, e siamo sempre pronti ad affrontare tutte le relazioni, umane o meno, in quei termini. Quindi, giustifichiamo la competizione, cioè un incontro in reciproco diniego, come modo per stabilire la gerarchia dei privilegi sotto la pretesa che la competizione promuova il progresso sociale consentendo al meglio di apparire e prosperare.

Nella nostra cultura patriarcale siamo sempre pronti a trattare i disaccordi come dispute o lotte, argomenti come armi, e descrivere una relazione armoniosa come pacifica, cioè come assenza di guerra, come se la guerra fosse l'attività più umana fondamentale.

Conclusioni

Il prof. Ernesto Galli della Loggia pur distinguendo conservatorismo e progressismo non coglie l’appartenenza di entrambe le Comunità di pensiero alla nostra cultura patriarcale.

L’evidenza del progressismo è l’IPOCRISIA di giudicare i comportamenti del passato imputandoli alle persone che li misero in atto, e contrabbandando come soluzione l’autoproclamazione loro stessi in quanto campioni del progressismo ad AUTENTICI TESTIMONI DELL’ETICA E QUINDI UNICI IN GRADO DI PRENDERE LA RESPONSABILITA’ DELLA GUIDA DELL’UMANITA’.

Invece è evidente che costoro non desiderando di rinunciare alla cultura di chi criticano, ne ripeteranno i comportamenti.

Buona riflessione

Conservatorismo Oggi opporsi al progressismo significa coltivare cautela e dubbio di fronte a certi applausi scroscianti
L’ERRORE DI BUTTARE VIA L’IDEA DI NATURA (E DI STORIA)
Conservatorismo
DIFENDO L’IDEA DI NATURA
di Ernesto Galli della Loggia
Il principale problema
politico dei
conservatori è quello
che pur essendo critici
dello spirito dei tempi
devono curare di non
apparire dei reazionari (cioè
come puri e semplici
nostalgici del «buon tempo
antico»). Il che può essere
niente affatto facile. Oggi
però, a differenza che per il
passato, una posizione
conservatrice può contare
da questo punto di vista su
un vantaggio importante:
davanti a sé, infatti, essa
non ha come una volta
l’illuminismo, il liberalismo
o il socialismo, cioè una
qualche grande prospettiva
in un avvenire migliore, una
qualche promessa generale
di riscatto e di felicità, una
speranza per l’umanità
tutta. Davanti a sé oggi ha il
«progressismo» (mai
denominazione apparve più
sgangheratamente
generica), che concepisce
un solo tipo di progresso—
quello scientifico tecnico
—, che al posto della libertà
sembra perseguire solo il
più banale «liberi tutti», e
che in sostanza gioca ogni
sua posta su un unico
tableau: quello dell’umanità
occidentale, perlopiù
bianca, libera e benestante.
Non a caso da tempo un
tale progressismo non è più
la naturale ideologia dei
socialmente sfavoriti
(i quali anzi spesso
costituiscono il nerbo del
cosiddetto populismo). Non
lo è sia perché in realtà esso
non sa o non si cura di
offrire alcuna ricetta sociale
forte, e sia per una ragione
più profonda e più
importante. Perché oggi il
progressismo sottintende
una rivoluzione
antropologico-culturale che
mira a delegittimare alcune
strutture profonde del
sentire comune.
continua a pagina 30
Quel sentire comune
sul quale
si è costruita
e continua ad
essere costruita
l’esperienza
di vita della
grande maggioranza
delle
persone. A differenza, insomma,
delle precedenti ideologie di progresso,
le quali miravano innanzi
tutto a trasformare i rapporti sociali
e politici, il progressismo attuale mira
a qualcosa di completamente
diverso: a sovvertire innanzi
tutto il mondo dei valori e i rapporti
personali tra gli individui.
Lo sta facendo prendendo di
mira due caposaldi di quello che
potrebbe chiamarsi il pensiero
corrente, l’opinione dei più, che fino
a pochissimo tempo fa ancora
bene o male servivano a definire
culturalmente l’universo dell’Occidente:
l’idea di natura e l’idea di
storia.
Secondo il punto di vista progressista
che tiene oggi il campo
la natura esisterebbe ormai solo
come qualcosa da superare, un limite
arcaico da gettarci dietro le
spalle: concettualmente e se possibile
praticamente. Praticamente
grazie al dispositivo congiunto
della scienza e della tecnica, a proposito
del quale guai a chiedersi
se alla nostra umanità convenga
davvero sempre e comunque fare
ciò che in teoria la scienza consentirebbe
di fare. In specie se si tratta
di ampliare il raggio delle nostre
potenzialità fisiche o di introdurre
di continuo nella vita umana dosi
sempre nuove e sempre più sofisticate
di artificialità meccanizzata.
Concettualmente invece il progressismo
mira a eliminare l’idea
che i comportamenti umani elementari
nonché gli stati psicoemotivi
e i rapporti interindividuali
che li caratterizzano (la bipolarità
di genere e l’accoppiamento,
la genitorialità, il legame
dei gruppi primari) abbiano un
qualsiasi fondamento nella natura.
Sostenendo che in questo ambito,
viceversa, ogni cosa sarebbe
frutto di convenzioni o di abitudini
consolidatesi nel corso del tempo,
un puro e semplice «prodotto
della società» e quindi, come tale,
modificabile o cancellabile a piacere.
Minando l’idea che nei comportamenti
sociali e nei rapporti degli
esseri umani tra di loro vi sia qualcosa
che possa dirsi davvero «naturale» e in questo senso «normale», il progressismo odierno getta
le basi per il soggettivismo più radicale.
L’individuo diviene di fatto
La misura di tutte le cose (ciò di cui
via via anche i codici hanno preso
atto ampliando sempre di più la
sfera dei diritti personali). In tal
modo nell’universo progressista il
«noi», qualunque «noi», vacilla e
tende a dissolversi. Esiste unicamente
l’individuo solo e davanti a
lui, onnipotente, la ramificata
struttura della tecnoscienza.
Tanto più definitiva diviene poi
questa solitudine in quanto essa si
estende pure al passato. Come ho
detto all’inizio anche la storia infatti
— origine prima della tradizione
— tende ad essere via via
scalzata dal panorama sociale. Dopo
la natura, infatti, è la storia
(nella narrazione occidentale così
connessa all’idea di natura umana)
l’obiettivo principe del progressismo.
La storia: così feroce,
così turgida di sentimenti estremi,
tanto spesso così ingiusta. È in
particolare proprio ciò che la rende
invisa all’ottica progressista la
quale, per l’appunto, si fa un punto
d’onore nell’additare la moltitudine
di violazioni dei diritti umani
che costellano le sue vicende e nel
comminare grottesche condanne
retrospettive alle guerre, alla
schiavitù e a quant’altro. Ma al di
là di questo ridicolo esercizio di
moralismo è la dimensione complessiva
della storia che il progressismo
considera a sé estranea se
non ostile. Perché rivolgere la propria
attenzione al passato, magari
considerarlo in qualche modo
fonte d’ispirazione, contrasta
troppo clamorosamente con il suo
scopo: guardare solo e sempre
avanti perché da lì solo può venire
la felicità, lì solo è ciò che è nuovo
e buono, il progresso appunto.
È questa inedita condizione del
nostro tempo appena tratteggiata
che pone il punto di vista conservatore,
a me pare, in una condizione
anch’essa del tutto nuova rispetto
al passato. L’illuminismo, il
liberalismo, il socialismo rappresentavano
dei mondi morali, contenevano
in sé degli ideali di vita
individuale e sociale carichi di elementi
positivi e di suggestioni, nei
loro auspicio erano anticipatori di
un’umanità migliore. Di fronte ad
essi una posizione conservatrice
era fatalmente condannata ad apparire
retrograda, reazionaria:
perché in buona parte realmente
lo era.
Oggi però le cose stanno ben diversamente.
Oggi opporsi al progressismo
— in questo senso essere
conservatori — ha poco del
reazionario ma assai di più incarna
una posizione di cautela e di
dubbio necessari di fronte agli applausi
scroscianti pronti a levarsi
dappertutto verso il sempre nuovo,
verso l’irrisione o la distruzione
di quanto non lo è. Oggi una
posizione conservatrice ha paradossalmente
quasi la funzione di
un «katéchon», di qualcosa che
trattiene da una deriva potenzialmente
fuori dall’umano. Non è un
restar fermi e tentomeno un voler
tornare indietro: si tratta solo di
capire bene dove si sta andando.
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