Il grande errore che si commette è fingere di coincidere o coesistere in condizioni culturali che si negano a vicenda
Il grande errore che si commette è fingere di coincidere o coesistere in condizioni culturali che si negano a vicenda
MARCO DAMILANO, allievo dello storico Pietro Scoppola (democristiano) che apparteneva alla schiera clericale progressista, ha scritto un articolo pubblicato sul quotidiano Domani di oggi 10 settembre 2023 nel quale descrive le lotte interne per la conquista del potere che vedono aggredita la Signora Meloni nell’ambito della alleanza di destra e le lotte che vedono sempre aggredita la Signora Elly Schlein nel Partito Democratico.
Nulla di nuovo sotto al sole. La nostra cultura patriarcale della competizione si concretizza nella lotta per la conquista del potere, specificamente chi non ha il potere lotta per toglierlo a chi ce l’ha, chi ha il potere lotta per conservarlo.
Marco Damilano nell’esposizione dei fatti tradisce la sua preferenza per il Partito Democratico che fa parte insieme al Movimento 5 stelle della componente che oggi non ha il potere e che lotta per toglierlo alla destra.
Inoltre Damilano rivela la sua preferenza per la fazione guidata dalla Signora Elly Schlein nella lotta per bande che si sta svolgendo all’interno del Partito Democratico per la conquista del comando di quel partito.
Io non entro nel merito di queste guerre tra potenti, solo affermo che questa cultura che informa tutti i belligeranti, non può che dare sempre e comunque lo stesso esito, chiunque sia il vincitore. L’esito delle guerre della Signora Meloni e della Signora Schlein è quello della nostra cultura patriarcale centrata sul dominio dell'uomo sulla donna, sul controllo della sessualità femminile e della procreazione umana e animale, e che si circostanzia nelle gerarchie e nella guerra.
Invece Marco Damilano, analogamente a quello che fanno tutti i colleghi giornalisti (ad esclusione del sottoscritto) che raccontano ai lettori quello che accade, descrive l’accaduto, manifesta delle preferenze su chi dovrebbe prevalere e così facendo dimostra di praticare questa nostra cultura patriarcale che è scientificamente provato sia NON UMANA.
Per Marco Damilano la guerra va bene, solo che secondo lui, per andare bene veramente, dovrebbe vincerla Tizio invece che Caio.
Ecco, seppure io considero legittima e degna di rispetto la cultura patriarcale che segue Marco Damilano, posso allo stesso tempo affermare che a me non piace.
Dalle mie osservazioni e dai miei studi è emerso che l'amore è l'emozione che fonda il sociale: senza l'accettazione dell'altro in convivenza non c'è fenomeno sociale.
Io spero che almeno i colleghi giornalisti, gli scienziati e le donne e gli uomini di cultura possano provare a proporre di abbandonare la nostra cultura patriarcale e descrivere una convivenza basata sul rispetto, la collaborazione, la consapevolezza ecologica e la responsabilità sociale. E spero che tutti insieme facciamo presente a tutti che il modo per ottenere questo è la democrazia.
I grandi valori, i grandi ideali di giustizia, pace, armonia, fraternità, uguaglianza sono nati dalla biologia dell'amore e sono i fondamenti della vita nell'infanzia. Penso che questi valori siano tipici dell'esperienza educativa basata sulla cultura materna che il bambino riceve da piccolo, basata sul rispetto, la cooperazione, la legittimità dell'altro, la partecipazione, la condivisione, la risoluzione di conflitti attraverso la conversazione.
Tutti noi che osserviamo e riflettiamo possiamo fare presente a tutti che nella vita adulta siamo stati costretti a negare tutti questi valori, perché abbiamo trovato una cultura opposta: la cultura patriarcale, fondata sulla competizione, sull'apparenza, sulla negazione dell'altro, sulla lotta, sulla guerra, sulla menzogna. Ed è questa contraddizione che genera la perdita di quei valori di pace, armonia, fraternità e giustizia. Allo stesso tempo, il fatto di vivere desiderandoli, il fatto che possiamo immaginare una società basata su una convivenza fondata sul rispetto e sulla giustizia ci fa desiderare di recuperarli. Il grande errore che si commette è fingere di coincidere o coesistere in condizioni culturali che si negano a vicenda.
Io questo errore non lo faccio, ma osservo che questo comportamento è diffusissimo e descritto in ogni ambito.
Buona riflessione
LE CREPE La fine della tregua renderà felice soltanto Meloni
MARCO DAMILANO Roma
I primi sondaggi elettorali della ripresa (Nando Pagnoncelli sul Corriere della Sera) fotografano Fratelli d'Italia in discesa, ma an-cora sopra il 30 per cento, e il Pd in risalita ma ancora sotto il 20. Numeri che misurano le rispetti-ve leader, Giorgia Meloni e Elly Schlein, impegnate in un con-fronto a distanza ormai quoti-diano: i loro punti di forza e, so-prattutto. di debolezza.
Per la premier Meloni, oltre al monitoraggio sul partito, c'è l'indice di gradimento che crolla ri-spetto all'inizio dell'estate, pre-vale il giudizio negativo verso il governo e la premier che ancora a fine giugno era positiva la pa-rola chiave è fiducia come ha scritto un osservatore non osti-le, lo storico Giovanni Orsina (La Stampa, 4 settembre). Meloni non si fida pienamente della sua maggioranza di gover-no, e la rivalità tra i suoi vice. Sal-vini e Tajani, è destinata ad au-mentare, insieme alla diffiden-za. Meloni non si fida di quanto si muove alla sua destra, l'impre-visto generale Vannacci, le co-pie vendute sul digitale ora di-venteranno copie di carta, otti-ma occasione per girare l'Italia. preparare una candidatura. Meloni non si fida di Fratelli d'I-talia e consegna il partito alla so-rella Arianna. Meloni non può non fidarsi dei numeri, i migran-ti. arrivati a oltre 115mila sbar-chi, la gelata della crescita eco-nomica in un quadro di possibi-le recessione europeo. E allora, dato che i soldi sono finiti, affer-ma di non fidarsi di Paolo Genti-Ioni, il commissario straniero, l’anti-italiano, a quando l’accu-sa di disfattismo?
La fine della tregua
Una sfiducia speculare riguarda la segretaria del Pd Schlein. Schlein non si fida di un pezzo importante della vecchia classe dirigente del partito, i capicor-rente e I micronotabili non si fi-dano di lei. Lo scontro è stato la-tente per tutta *l'estate militan-te* richiesta da Schlein, in cui molti dirigenti hanno militato contro di lei, ieri è esploso. Prima il veleno di un esponente della maggioranza Schlein, Nico-la zingaretti («con questa pren-diamo il 17 per cento»), lui che da segretario disse di vergognar-si del partito, poi l'uscita di 30 esponenti del Pd genovese e ligu-re.
Il presidente del Pd Stefano Bo-naccini ha chiesto ieri su Doma-ni «un partito più grande ed espansivo, non un partito più piccolo e radicale. Credo che Elly sia la prima a doversi e volersi far carico di questo». La risposta della segretaria è arrivata, bruta-le «Chi non si sente a casa in un Pd che si batte per il salario mini-mo, i diritti, l'ambiente. forse aveva sbagliato indirizzo pri-ma». È il segno che tregua interna al principale partito dell'opposi-zione sta per saltare molto pri-ma delle elezioni europee del 2024. Proprio ora che il consen-so per Giorgia Meloni comincia a mostrare qualche crepa, su cui sarebbe necessario infilarsi.
Obiettivo rimpasto
Un gruppo di consiglieri che la-sciano il Pd eccita gli animi. ma — per restare alla Liguria — il Pd ha preso il 28 per cento e 211mi-la voti alle elezioni regionali del 2010, il 25 per cento e 138mila vo-ti alle elezioni regionali del 2015, il 24 per cento e 124 mila vo-ti nel 2020. A Genova il trend è identico. Nel frattempo la Liguria e Geno-va, una regione e una città di tra-dizione operaia e di sinistra, è passata saldamente in mano al centrodestra di Giovanni Toti e del sindaco Marco Bucci. Gli uscenti sono i consiglieri più vo-tati, in un partito sempre meno votato. ll ceto politico si scalda molto perché se ne vanno gli eletti, non ha mai davvero ana-lizzato perché se ne sono andati gli elettori. Schlein ha questa catena di falli-menti alle spalle Quasi tutti i ca-pi comparsi in scena ieri per at-taccarla si sono intestati una ca-tena di sconfitte senza fine. Ben venga il chiarimento, se signifi-ca spezzare un'unanimità di fac-ciata. Ma Schlein è stata eletta dalle primarie proprio per ricu-cire un distacco con l'elettorato, non per aumentarlo. «Rimpastare l’Italia «, come si fa con il pane, è lo slogan che ha di recente utilizzato Romano Pro-di, vale un manifesto politico, non lo può fare una destra che non si fida neppure di sé stessa. Ma per il Pd è impossibile rimpa-stare l'Italia se non rimpasta sé stesso. E se lo scisma silenzioso dell'elettorato del centrosini-stra non si frena, ma accelera.
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