Il Sogno di Santa Rosa

 


Titolo: Il Sogno di Santa Rosa

Atto I

Scena 1: Un angolo di Corso Vittorio Emanuele, Lecce, anni '50.
Due uomini, LUIGI e ANTONIO, sono fermi in piedi accanto a un'edicola. Il sole del tardo pomeriggio getta lunghe ombre sulle facciate degli antichi palazzi di pietra. L'aria è piena del chiacchiericcio dei passanti e del rumore delle carrozze sul selciato.

Luigi: (con tono speranzoso)
Hai sentito, Antonio? Faranno un bando per assegnare le abitazioni dell’Ina Casa. Stanno ultimando il nuovo quartiere di Santa Rosa, quasi cinquemila alloggi. Chissà se riuscirò a rientrare nella graduatoria...

Antonio: (alzando lo sguardo verso il cielo, pensieroso)
Sarebbe una gran cosa, Luigi. Viviamo ammassati in quei tuguri del centro, ogni giorno è una lotta per lo spazio, per l’aria. E pensare che qui, un tempo, ci abitava la nobiltà...

Luigi:
L’assessore mi ha dato buone speranze. Dice che stanno cercando di fare le cose per bene, di dare una possibilità a chi davvero ne ha bisogno. Sai, a volte mi sembra di sognare: lasciare quei vicoli stretti, quelle stanze umide... e avere una casa vera, moderna.

Antonio:
A chi lo dici! Per anni ho pensato che la mia vita sarebbe finita lì, tra quei muri cadenti. Ma adesso, con questo nuovo quartiere... Santa Rosa! Chi l’avrebbe mai detto? Una “terra promessa” a due passi da qui.

Luigi:
E non solo case, Antonio. Parliamo di un quartiere con tutto: scuola, chiesa, piazza, persino un mercato! Un posto dove i nostri figli potranno crescere meglio di noi, dove avranno spazio per giocare, per studiare. È come un sogno...

Antonio: (sorridendo malinconicamente)
Un sogno, sì. E pensare che ci sono quelli che ci darebbero dei pazzi, per voler lasciare il centro storico. Ma cosa sanno loro? Non vivono come noi, non conoscono la miseria, l’umidità che ti entra nelle ossa...

Luigi:
E poi... un appartamento con i comfort moderni, Antonio! Niente più scantinati, niente più piani alti con le scale che ti spezzano le gambe, niente più latrine condivise. Solo una casa, con una cucina vera, un bagno nostro.

Antonio:
Questa sì che è una speranza, Luigi. Ma dobbiamo essere realisti. Non sarà facile, lo sai. Ci sarà tanta gente in fila, tutti vogliono una casa nuova. Dobbiamo fare tutto il possibile per farci assegnare uno di quegli alloggi.

Luigi:
Lo so, lo so. Ma è la prima volta che sento che qualcosa potrebbe davvero cambiare. E anche se dovessimo aspettare... vale la pena sperare, no?

Antonio: (guardando l’amico negli occhi, deciso)
Sì, Luigi. Vale la pena sperare.

(I due uomini si stringono la mano, con un sorriso che nasconde una speranza ancora timida, ma luminosa. Si allontanano lentamente, sparendo tra la folla che riempie Corso Vittorio Emanuele.)

Scena 2: Piazza Duomo, Lecce.
L’atmosfera cambia. La piazza è maestosa, con la cattedrale che domina la scena. Tuttavia, il contrasto con la conversazione appena conclusa è evidente: qui regna una quiete solenne, quasi distante dalle preoccupazioni quotidiane dei due uomini.

Antonio: (voltandosi indietro verso la cattedrale, parlando a se stesso)
Chissà se anche Dio ci guarda con speranza, o se vede solo un altro gioco di illusioni...

Luigi: (sentendo il commento di Antonio, si ferma e si volta verso di lui)
Che intendi dire?

Antonio:
Intendo dire... che a volte mi chiedo se tutto questo non sia solo un altro modo per tenerci buoni, per farci sperare in qualcosa che non arriverà mai.

Luigi: (con un tono più serio)
Non puoi pensare così, Antonio. Non ora. Abbiamo bisogno di credere in qualcosa, altrimenti cosa ci rimane?

Antonio:
Hai ragione. Non ci resta che andare avanti, credere che un giorno, forse, ci sveglieremo in una casa nuova, in una vita nuova.

(I due si allontanano, lasciando dietro di sé la solennità del Duomo, simbolo di una storia che sembra lontana dalle loro vite, ma che ancora li lega, come un filo invisibile, al passato e al futuro di quella città.)

Sipario.


Antonio Bruno

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