Il Tradimento che Rende Uomini (Racconto)

 Il Tradimento che Rende Uomini 


Scrivere è l’ultima risorsa quando abbiamo tradito. Ogni parola gettata sulla pagina bianca è una confessione che non si osa fare a voce alta, un tentativo disperato di ricomporre un vaso che abbiamo rotto con le nostre mani. La scrittura nasce da una ferita che sanguina, da un dolore che non trova altro sollievo se non nella confessione muta dell’inchiostro. Un dolore che io ho cominciato a sentire nell’adolescenza, quando, come molti altri, ho iniziato a tradire l’uomo che mi ha dato la vita: mio padre.

Ricordo quei pomeriggi in cui lui tornava a casa dal lavoro, ancora vestito con la tuta sporca di polvere e sudore. Era un uomo di poche parole, il suo mondo si riduceva ai confini del giornale che sfogliava distrattamente dopo cena e i film che andava a vedere nel cinema di seconda visione di sera. Io, invece, scoprivo un universo fatto di libri e di sogni, di città lontane e conversazioni filosofiche. Sentivo crescere dentro di me un’irrequietezza che mi spingeva lontano, mentre mio padre, con i suoi modi grossolani e la sua semplicità disarmante, mi sembrava sempre più distante. Era come se un abisso invisibile si stesse allargando tra di noi.

Non era una distanza di classe, né di cultura. Era una distanza particolare, che non ha nome. Come l’amore separato. Come se io stessi crescendo in una direzione e lui rimanesse fermo in un’altra. Eppure, quella distanza era dolorosa. Era fatta di colpa e di incomprensione. Mi vergognavo di lui, dei suoi discorsi semplici e della sua risata fragorosa. Ma più di tutto mi vergognavo del mio stesso dolore, di quella sottile vergogna che mi tormentava ogni volta che sentivo il desiderio di allontanarmi.

Non potevo confessarlo a nessuno. Non potevo spiegarlo, neanche a me stesso. Ogni sera, quando tornavo a casa e lo vedevo seduto sul divano con la televisione accesa, sentivo quel nodo stringersi sempre di più. Non era colpa sua, non aveva fatto nulla per meritare quel tradimento. Eppure, tradire era inevitabile. Ogni forma di emancipazione lo è. Ed io stavo pagando il prezzo di quella libertà che stavo cercando con tanto fervore.

Crescere è un po’ come tradire. E tradire fa male, tanto a chi lo subisce quanto a chi lo compie. Mio padre non lo ha mai saputo, ma il mio tradimento non era altro che la mia strada verso l’indipendenza. Non era un rifiuto di lui, ma una ricerca di me stesso. Eppure, ogni volta che lo guardavo negli occhi e non riuscivo a trovare le parole giuste per colmare quella distanza, sentivo che stavo perdendo qualcosa di prezioso.

Forse è così che si diventa uomini. Imparando a convivere con i tradimenti che ci rendono liberi, ma anche soli. Ed è forse per questo che scrivo. Perché in ogni parola c’è il tentativo di ricucire un legame che sembrava spezzato, di dare un nome a quel dolore sconosciuto e di trovare finalmente il coraggio di guardare mio padre negli occhi, senza più sentirmi in colpa per il mio desiderio di essere diverso.

Antonio Bruno

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