"Sguardi d'Estate" (racconto)

 "Sguardi d'Estate"



Sono entrato nel bar con l’idea di prendermi solo un caffè, di quelli veloci, giusto per svegliarmi. Poi siete arrivate voi. Ho alzato lo sguardo e ho visto due figure entrare. Due sorelle, ho pensato. La più piccola, con i capelli legati in una coda alta e un’aria curiosa da adolescente, mentre l'altra… beh, l’altra mi ha colpito subito. Tu, con quei pantaloncini corti, gambe lunghe e abbronzate, un sorriso che sapeva di sole d’agosto e una presenza che non passava inosservata. "La sorella maggiore", mi sono detto, "ma sempre una ragazzina".

Cercavo di non dare nell’occhio, di concentrarmi sul caffè che avevo davanti. Ma sentivo il tuo sguardo su di me, lo percepivo, come se mi spingesse a sollevare di nuovo gli occhi e guardarti. Ho resistito, per un po'. Perché, diciamocelo, in fondo sei bella, hai qualcosa di magnetico, qualcosa che spinge a desiderarti, a volerti osservare un po’ più a lungo.

Ma poi, quel gioco di sguardi è diventato inevitabile. Hai continuato a guardarmi, come se volessi sfidarmi, come se stessi aspettando che me ne accorgessi. E io ho ceduto, ti ho guardata anch’io, per davvero questa volta. E in quel momento, tutto è diventato chiaro. Non eri la sorella maggiore, non eri una ragazzina. Eri la mamma della ragazzina con cui eri seduta.

E in un attimo, tutto ha assunto una luce diversa. Ho pensato a quante volte ci si lascia ingannare dalle apparenze, da un paio di gambe, da un sorriso. Ma c’era qualcosa di più, qualcosa di più profondo nel modo in cui ti muovevi, nel modo in cui osservavi tua figlia. Una dolcezza matura, una sicurezza che solo l’esperienza sa dare. E io, lì, con il mio caffè ormai freddo, mi sono ritrovato a sorridere. Perché la vita è così, ti sorprende sempre, ti regala incontri che ti costringono a guardare oltre, a vedere quello che davvero conta.

Ho finito il caffè, mi sono alzato e ho dato un'ultima occhiata a te, alla ragazzina. E mentre uscivo dal bar, ho sentito che quel momento, quel breve scambio di sguardi, aveva già lasciato un segno. Forse in te, forse in me. O forse, semplicemente, in quel giorno d’estate che avevamo condiviso senza neppure conoscerci.


Antonio Bruno

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