Il valore del reddito di cittadinanza: una questione di dignità e giustizia sociale

 

Il valore del reddito di cittadinanza: una questione di dignità e giustizia sociale


Chi avversa il reddito di cittadinanza si dovrebbe vergognare. Non posso fare a meno di provare una forte indignazione ogni volta che sento qualcuno parlare contro questa misura. Penso a chi, come me tanti anni fa, avrebbe avuto bisogno di quel sostegno per vivere con dignità e perseguire i propri sogni senza pesare sulla propria famiglia.

Quando nel 1976 andai a Bari per frequentare l'università, le difficoltà economiche erano enormi. C'era il presalario, c'era la Casa dello Studente, ma non era per tutti. Nonostante mio padre fosse un ferroviere, e mia madre casalinga, con due sorelle a carico, io non avevo diritto a niente, se non a un posto nella Casa dello Studente per merito, pagando 15mila lire al mese. Non c'erano contributi che sostenevano le famiglie come la mia. Dovevamo farcela da soli, e la mia famiglia si è tolta il pane di bocca per farmi studiare.

Se a Lecce, la mia città, ci fosse stata la facoltà di Agraria, avrei potuto continuare a vivere a casa e studiare, senza dovermi trasferire. Mio padre, nel 1973, mi portò la notizia dell'apertura di quella facoltà con grande entusiasmo: “Antonio, non avrai bisogno di spostarti da casa”, mi disse, e per un attimo credetti che fosse tutto più semplice. Ma Agraria a Lecce non arrivò mai, e io dovetti andare a Bari, senza soldi e con un biglietto del treno gratuito, grazie al lavoro di mio padre come ferroviere.

Con solo 5mila lire in tasca a settimana, dovevo tirare avanti: un pasto alla mensa costava 300 lire, e solo per mangiare sei giorni a settimana ne spendevo 3600. Mi rimanevano 1400 lire con cui dovevo fare tutto il resto. Era un sacrificio continuo. E oggi penso: se avessi avuto il reddito di cittadinanza, tutto sarebbe stato diverso. Con 780 euro al mese, che nel 1976 sarebbero stati circa 300mila lire, avrei potuto permettermi di pagare l'affitto, le tasse universitarie, i libri, e avrei anche potuto mangiare in trattoria o andare al cinema senza sentirmi in colpa. Avrei vissuto con i miei soldi, senza togliere nulla ai pochi che mio padre guadagnava.

La verità è che non è bello studiare sapendo che a casa tua, le tue sorelle ei tuoi genitori si privano di tutto per te. Questo pensiero mi accompagnava ogni giorno. E la sofferenza maggiore fu quando, durante il mio percorso universitario, i miei compagni decisero di trasferirsi in un'altra sede, ma io non potevo farlo. Non c'erano abbastanza soldi per permettermi quella libertà. Mi sentivo spaesato, bloccato.

Ecco perché penso che il reddito di cittadinanza sia necessario. Perché è giusto che ognuno abbia la possibilità di realizzare i propri sogni senza fermarsi di fronte agli ostacoli che non dovrebbero esistere. È giusto che nessuno debba vedere i propri cari sacrificarsi a tal punto da togliersi il pane di bocca. Chi avversa il reddito di cittadinanza dovrebbe solo vergognarsi: non si può ignorare il diritto di ogni persona a vivere una vita dignitosa. Tutti dobbiamo vivere e abbiamo il diritto di farlo senza doverci sentire un peso per chi ci sta vicino.

Tutto questo, alla fine, si riduce a un concetto semplice: dignità. È una questione di giustizia sociale, di rispetto per gli altri e per noi stessi.

Vivere è un atto di partecipazione: Riflessioni sul reddito di cittadinanza

Nella nostra esistenza come esseri umani, non siamo isole isolate, ma partecipanti attivi in ​​un flusso continuo di interazioni con l'ambiente e con gli altri. Humberto Maturana, biologo e filosofo cileno, afferma: “Vivimos en un espacio de conversaciones y es en este espacio en donde las relaciones humanas se construyen y las culturas se configuran” (“Viviamo in uno spazio di conversazioni ed è in questo spazio che si costruiscono le relazioni umane e si configurano le culture”, Maturana & Varela, El Árbol del Conocimiento , 1984). Così, quando riflettiamo sul concetto di reddito di cittadinanza, non possiamo ignorare la rete di relazioni sociali che lo circondano e lo sostengono.

Quando qualcuno dice "Chi avversa il reddito di cittadinanza si dovrebbe vergognare", non si tratta solo di una riflessione economica o politica, ma di una visione del mondo profondamente radicata nella comprensione dell'umano. Maturana ci invita a vedere ogni atto di vita come un atto di partecipazione. “Todo hacer es un hacer en el mundo que hacemos con otros” (“Ogni azione è un'azione nel mondo che facciamo con gli altri”, Maturana & Varela, El Árbol del Conocimiento , 1984), ci ricorda. In questa prospettiva, il reddito di cittadinanza non è un semplice supporto finanziario, ma un atto che permette la partecipazione attiva e dignitosa di ogni cittadino nella società.

Ho raccontato come, negli anni settanta, la mia esperienza universitaria fosse segnata da privazioni e difficoltà economiche. L'assenza di un sostegno adeguato mi obbligava a vivere con pochi mezzi, a dipendere dal sacrificio dei miei genitori. “Vivimos en redes de conversaciones, y es en ellas donde configuramos nuestra realidad” (“Viviamo in reti di conversazioni, ed è in esse che configuriamo la nostra realtà”, Maturana & Poerksen, Del Ser al Hacer , 2004). Quella realtà, per me, era di continua tensione: lottare per il proprio futuro con il peso della responsabilità sulle spalle, sapendo che ogni mia scelta aveva un impatto diretto sulla vita dei miei cari.

Il reddito di cittadinanza, in questa luce, diventa un modo per sostenere non solo gli individui, ma anche le reti sociali in cui sono inseriti. Quando una famiglia è costretta a togliersi il pane di bocca per permettere al figlio di studiare, non è solo una questione di risorse economiche: è una questione di partecipazione umana, di interazioni che determinano il modo in cui si vive e si percepisce la vita. “Lo que negamos de otros, lo negamos de nosotros mismos” (“Ciò che neghiamo agli altri, lo neghiamo a noi stessi”, Maturana, La Realidad: ¿Objetiva o Construida?, 1997). Negare il sostegno a chi ne ha bisogno significa, in ultima analisi, negare la nostra stessa umanità, negare il valore delle relazioni che ci avanzano come esseri sociali.

Ma perché allora qualcuno dovrebbe avversare un sistema che consenta a tutti di vivere dignitosamente e di realizzare i propri sogni senza gravare sugli altri? Forse, come suggerisce Maturana, la paura dell'alterità o l'incapacità di comprendere che il benessere collettivo arricchisce il singolo è alla base di questa resistenza. “El ser humano es el resultado de sus interacciones, y lo que ocurre en su medio lo moldea ” (“L'essere umano è il risultato delle sue interazioni, e ciò che accade nel suo ambiente lo modella”, Maturana & Varela, El Árbol del Conocimiento , 1984). Se il nostro ambiente culturale ci insegna che il successo individuale è l'unico valore, allora dobbiamo perdere di vista il fatto che il benessere comune rafforza l'intera comunità.

Il reddito di cittadinanza non è una questione di assistenzialismo, come spesso viene dipinto dai suoi detrattori. È, piuttosto, un modo per creare le condizioni in cui ogni individuo può esprimere il proprio potenziale senza essere schiacciato dalla necessità quotidiana. Ho raccontato come, con un supporto economico adeguato, avrei potuto vivere una vita universitaria più serena, senza gravare sulle spalle della mia famiglia. Questo, in definitiva, è il senso profondo della convivenza umana, che Maturana descrive così: “La convivencia consiste en la aceptación mutua, en el respeto por el otro como legítimo otro en la coexistencia” (“La convivenza consiste nell'accettazione reciproca, nel rispetto per l'altro come legittimo altro nella coesistenza”, Maturana, Amor y Juego: Fundamentos Olvidados de lo Humano , 1995).

In conclusione, avversare il reddito di cittadinanza significa non comprendere che siamo esseri interdipendenti, che il benessere dell'altro è anche il nostro benessere. Come ci insegna Maturana, “La base de lo social es el reconocimiento del otro” (“La base del sociale è il riconoscimento dell'altro”, Maturana, La Realidad: ¿Objetiva o Construida? , 1997). E riconoscere l'altro significa accettare che ognuno ha il diritto di vivere dignitosamente, di partecipare pienamente alla società, e di inseguire i propri sogni senza dover sacrificare la propria umanità o quella dei propri cari.

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