"La Vertigine del Mare"

 


"La Vertigine del Mare"

La notte era di quelle che ti prendono l’anima, e la scuotono piano, come a volerle ricordare che esiste ancora qualcosa da sentire. Non c'era vento, ma l'aria sapeva di mare, e quando la respiravi ti faceva pensare a tutte le cose che avresti voluto dire e non hai mai detto. Lui era lì, sotto la finestra, senza neanche sapere perché. Non era un piano, e nemmeno una decisione. Era solo un bisogno. Il bisogno di vederla. Di stringerla. Di sapere che esisteva ancora un mondo in cui lei avrebbe potuto scendere le scale, abbracciarlo forte e dire “andiamo”.

Il cellulare in mano, un messaggio che non aveva ancora il coraggio di inviare. Scrisse solo: “Scendi, ti porto al mare.”

Lei non rispose subito. Forse stava dormendo, o forse, più semplicemente, la vita era fatta così. Di attese. Di quella dolce e crudele incertezza che sta in tutte le cose che contano davvero. Lui guardò l’orologio, come se il tempo potesse dargli una risposta. Ma il tempo non aveva mai avuto nulla da dire.

Poi, la luce della finestra si accese. E lui sorrise.

Era quel sorriso che nascondeva tutto e niente. Quel sorriso che non chiede conferme perché le ha già. Lei scese, senza parlare. Salì in macchina e lo guardò con quegli occhi che sembravano dire “Dove andiamo?” ma che in fondo non avevano bisogno di risposte. Perché non era importante dove. L’importante era il viaggio, l’essere insieme, l’avere un momento che era solo loro.

Guidarono verso il mare, senza una meta precisa. E nel silenzio di quella strada deserta, c’era tutto: c’erano i giorni che non si erano detti, le paure che non avevano condiviso, i desideri che non avevano ancora confessato nemmeno a se stessi. C’erano loro, in quella macchina, e non c’era niente di più vero.

Arrivarono sulla spiaggia quando il cielo cominciava appena a tingersi di rosa. Le onde erano tranquille, come se anche il mare, per una volta, avesse deciso di aspettare. Lui scese dall’auto, camminò verso la riva, e lei lo seguì, senza dire una parola. Non serviva. A volte, non c’è bisogno di parlare, perché l’amore è già tutto lì, tra una risata e un silenzio, in quel momento sospeso in cui capisci che non importa cosa accadrà domani.

Lei lo guardò. “È qui che dovevamo arrivare?” chiese, ma non aspettava davvero una risposta.

Lui la prese per mano, e guardando l’orizzonte le disse: “Non importa dove arriviamo. Importa che ci siamo.”

E così restarono lì, in quel silenzio che era più pieno di qualunque parola. Sentivano solo il rumore delle onde e il battito dei loro cuori, che sembrava finalmente allinearsi. In quel momento, tutto sembrava possibile. Anche volare, se solo lo avessero voluto.

Perché la verità era una: l’amore non è perfetto, non è pianificato. È come una vertigine, ti prende senza preavviso e ti porta via, senza chiederti se sei pronto. Ma è proprio lì, in quel volo, che tutto diventa possibile. Anche camminare su una fune, senza paura di cadere.

E quando il sole si affacciò timido sull’orizzonte, lei lo abbracciò forte. Non c’erano promesse da fare, né parole da dire. Solo il presente, quel fragile, meraviglioso istante in cui tutto esisteva e niente avrebbe mai potuto spezzarlo.

Lui la guardò, e sorrise di nuovo. “Chiamami, quando vuoi. Io sarò qui.”

E lei, con un sorriso che sapeva di futuro, rispose: “Non smetterò mai.” 

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