"Un caffè in Piazza Navona" (racconto)

 "Un caffè in Piazza Navona" 


Era una di quelle mattine romane, con il sole che ti scalda senza bruciare e la città che sembra svegliarsi piano, come se anche Roma avesse bisogno di un altro caffè. Io e Giulia, mia moglie, eravamo in vacanza. Non era proprio una vacanza di quelle classiche, con l’ansia di vedere tutto e subito, ma una di quelle fughe che fai per scappare dalla routine, per provare a ritrovare qualcosa che hai perso ma non sai nemmeno bene cosa.

C'erano anche altre due persone con noi: Luca e Serena. Non li vedevamo da anni. Con Serena, in particolare, c’era stato qualcosa, ma ormai sembrava una storia lontana, di un’altra vita. Lei era stata una delle ragioni per cui, nel '99, avevo chiesto la separazione a Giulia. Cinque mesi di passione, di quella che ti consuma e ti fa pensare che forse hai capito tutto della vita e che sei pronto a buttare tutto all’aria. Poi, però, la realtà ti sveglia, ti ricorda chi sei davvero e cosa hai costruito. Serena aveva scelto di restare con Luca, e io... beh, io avevo scelto Giulia. O forse lei aveva scelto me, e io mi ero lasciato convincere che fosse la cosa giusta.

Adesso, anni dopo, eravamo di nuovo insieme, in questa vacanza strana. E c’era anche il resto della famiglia di Giulia: i suoi genitori, Mario e Anna. Stavamo per festeggiare il loro anniversario di matrimonio. Una cosa di famiglia, quelle cerimonie che non puoi evitare, anche se dentro ti senti a pezzi o magari hai solo voglia di startene da solo in una piazza a bere un caffè.

Quel giorno, a un certo punto, Luca ha iniziato ad allontanarsi spesso. Faceva delle passeggiate da solo, come se dovesse risolvere qualcosa dentro di sé, ma lontano da tutti. Ero lì che lo osservavo, sorseggiando un caffè, quando Giulia si è avvicinata. Aveva quello sguardo che conosco bene, quello che ti lancia quando sa che sta per dirti qualcosa che cambierà tutto.

"Hanno deciso di separarsi", mi ha detto. Le sue parole erano cadute come un sasso nell’acqua calma della mia mente. Ho sentito un’ondata di emozioni travolgermi, ma ho cercato di non farlo vedere.

"Serena tornerà dai suoi genitori, immagino", ho risposto, quasi per automatismo. Ogni volta che litigava con Luca, chiamava i suoi, come se cercasse in loro una conferma che non arrivava mai. Mi aveva detto una volta, una di quelle sere in cui eravamo troppo vicini per essere solo amici, che i suoi non le avevano mai voluto bene davvero. Chissà se lo pensava ancora.

Ma Giulia ha scosso la testa, come se avesse una notizia più sorprendente. "No, rimarrà nella casa in cui abita adesso."

Roma improvvisamente sembrava troppo grande, troppo piena di ricordi che non avevo mai del tutto dimenticato. Ho finto indifferenza, ma dentro ero un casino. E poi è successo: sono andato a casa di qualcuno, non ricordo neanche chi fosse, per ritirare dei mobili. Le persone lì mi hanno chiesto se potevano firmare su un pezzo di legno, come se fosse una dedica per il futuro. Ho detto di sì, ma la mia testa era da un’altra parte.

E poi è arrivata Serena.

Non c’era nessun mobile che contasse più. Eravamo soli, e in quel momento ho sentito di nuovo quella connessione, quella fottuta connessione che pensavo di aver sepolto sotto anni di matrimonio, figli, bollette da pagare e cene a casa di amici. Lei era dolce, come se nulla fosse cambiato, e io mi sono perso in quel dolce per un attimo che sembrava eterno.

Ma poi è arrivata Giulia.

La connessione si è spezzata come un filo teso troppo a lungo, e io mi sono sentito colpevole, ma anche arrabbiato, con me stesso, con la vita, con questo strano gioco che stavamo tutti giocando. È stato in quel momento che le parole mi sono uscite da sole: "Ieu ogghiu bbene alla Serena", ho detto, in dialetto, come per sottolineare quanto fosse autentico. "Io amo Serena."

L’ho detto tante volte, forse troppe, come se ripeterlo potesse farmi credere che fosse vero o che potessi, in qualche modo, cambiare le cose. Ma non era così. C’era una vita intera a separarci ormai.

Il sogno finisce con una cerimonia. Io e Mario, il padre di Giulia, siamo inginocchiati in chiesa. Una scena che sembra già decisa, come se fosse il finale di un film scritto da qualcun altro. So perché siamo lì. Tutto era già stato organizzato, non potevo tirarmi indietro, nemmeno dopo aver detto a Giulia che amavo un’altra. Forse perché non era davvero così. O forse sì, ma non importa. La vita va avanti lo stesso, e io ero lì, inginocchiato, mentre tutto il resto del mondo continuava a girare.

Roma è così, ti costringe a guardarti dentro, ma ti lascia anche la libertà di scegliere cosa fare con quello che scopri.

Antonio Bruno

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