Su chi inneggia al capitalismo
Su chi
inneggia al capitalismo
Di Antonio
Bruno
Nel contesto
attuale, riflettere sul capitalismo e sulle sue implicazioni non è solo
un'esigenza politica o economica, ma un esercizio che riguarda la nostra
comprensione stessa della vita e delle relazioni che intessiamo nel mondo. Come
ho più volte sostenuto, "il modo in cui vediamo il mondo determina ciò che
facciamo, e il modo in cui agiamo determina il mondo che vediamo"
(Maturana e Varela, L'albero della conoscenza , 1984). Se guardiamo il
capitalismo non solo come un sistema economico, ma come un sistema che modella
le nostre relazioni, appare chiaro che non possiamo ignorarne gli effetti
distruttivi sull'essere umano e sulla vita stessa.
Un amico, di
recente, ha cercato di convincermi che il capitalismo, nonostante i suoi
difetti, rimane il miglior sistema possibile, citando la famosa battuta:
"Il capitalismo è il peggiore sistema sociale ad eccezione di tutti gli
altri". Ma è davvero così? È sufficiente guardare al quadro complessivo
per accorgerci che, pur avendo migliorato alcuni parametri, come la riduzione
della povertà globale e l'aumento dell'accesso a istruzione e salute – dati
confermati dalle Nazioni Unite – il capitalismo ha lasciato un segno profondo e
inquietante su altre dimensioni dell'esistenza umana, specialmente in
Occidente.
Il capitalismo
non solo ha prodotto una proposta di benessere medio, con il ridimensionamento
dello stato sociale e l'erosione dei diritti civili e lavorativi, ma ha anche
contribuito a un maggiore sfruttamento del lavoro e un drastico aumento delle
disuguaglianze. Queste disuguaglianze si manifestano tanto a livello globale,
tra Nord e Sud del mondo, quanto all'interno delle stesse società occidentali.
Il potere si è concentrato nelle mani di pochi, con un conseguente aumento
delle tensioni sociali. Ancora più preoccupante è la distruzione delle risorse
naturali e l'inquinamento ambientale, che mette in pericolo la vita su questo
pianeta. Questo è il frutto di una logica che, come ho sempre affermato,
"non tiene conto della rete della vita e delle interdipendenze ecologiche
che ci sostengono" (Maturana, Il senso del umano , 1997).
Ma forse
l'effetto più devastante del capitalismo risiede nella sua capacità di
penetrare nelle nostre coscienze. Il capitalismo, ponendo al centro la materia
e il profitto, piuttosto che la dignità della persona, ha provocato una
profonda crisi identitaria e una perdita di valori. Ha omologato la cultura,
portando violenza, nevrosi e disturbi psichiatrici. Siamo diventati schiavi di
un sistema che ci insegna a vedere il mondo come una fonte di risorse da
sfruttare, piuttosto che come un ambiente di cui siamo parte integrante.
È proprio in
questo contesto che emergono alcuni segnali allarmanti del malessere collettivo
della società capitalistica. L'aumento vertiginoso del senso di solitudine e
del bisogno di appartenenza, la disgregazione familiare, il crescente consumo
di psicofarmaci e l'incremento del tasso di suicidi sono tutti indicatori di
una società profondamente malata. Non è una sorpresa, dunque, che molti di noi
trovano sempre più difficile gestire le proprie emozioni, ricorrendo a
comportamenti irrazionali, spesso distruttivi. Come ha scritto Humberto
Maturana: "La sofferenza umana nasce quando perdiamo la consapevolezza
della nostra coesistenza e della nostra capacità di amarsi reciprocamente"
(Maturana, La biologia dell'amore , 1992).
Il
capitalismo non solo frammenta le nostre relazioni con gli altri, ma ci aliena
da noi stessi. Riducendo tutto a una questione di competizione e guadagno, ci
allontaniamo dalla nostra natura profonda di esseri biologicamente e
socialmente orientati alla collaborazione e alla coesistenza. Ci fa dimenticare
che "il mondo che vediamo non è un dato oggettivo, ma un mondo che emerge
dalle nostre interazioni" (Maturana e Varela, L'albero della conoscenza
, 1984).
Di fronte a
questa realtà, è difficile non concludere che chi ancora inneggia al
capitalismo, chi lo difende a spada tratta, lo fa o per ignoranza, o per
interesse personale, o per incapacità di comprendere i profondi legami che
uniscono l'essere umano al il suo ambiente. Se continuiamo a percorrere questa
strada, stiamo mettendo a rischio non solo la sopravvivenza del pianeta, ma
anche la nostra capacità di convivere e amare. La domanda che dobbiamo porci,
dunque, non è se il capitalismo sia il migliore dei sistemi, ma se sia un
sistema che possa ancora sostenere la vita, in tutte le sue forme, su questa
Terra.
Fonti:
- Maturana, H. e Varela, FJ
(1984). L'albero della conoscenza .
- Maturana, H. (1992). La
biologia dell'amore .
- Maturana, H. (1997). Il
senso dell'umano .
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