"Tra le righe del silenzio" (racconto)
"Tra le righe del silenzio"
Cara Isabella
Il sole è ancora basso, non è riuscito ancora a scaldare del tutto questa
mattina fredda. Apro la posta elettronica senza aspettarmi nulla, come faccio
ormai da giorni. Lo faccio per abitudine, forse per inerzia, quel tipo di
inerzia che ti porta a cercare qualcosa di cui non sai più se esiste davvero. E
poi, all'improvviso, eccola lì: la tua email.
"Ciao Tigrotto Incazzato!", inizi. Un saluto che mi arriva come
una carezza, anche se l'ironia del nome mi fa sorridere amaramente. Da quando
non ti scrivo più, il mondo sembra piegato su di me con una pesantezza nuova. Tu
invece mi scrivi dicendomi che lavori di più, che sei diventa più efficiente,
più produttiva, quasi come se stessi cercando di riempire un vuoto che hai
lasciato dietro di te. Una dipendente modello, mi dici che sei diventata.
Sorrido, ma dentro sento qualcosa rompersi. È davvero così che si fa, Isabella?
Si riempie di lavoro lo spazio lasciato
"Mi hanno detto che per conservare il contenuto della casella di posta
devo inviare di tanto in tanto una mail", scrivi con quella leggerezza che
solo tu sai dosare. Come se le parole, così, non hanno peso. Ma ogni parola che
leggo, qui, ha il peso di un universo. Un universo che era nostro, che vibrava
di noi, e che ora sembra così lontano, come un ricordo sbiadito sotto la
pioggia.
Per il resto, mi dici, tutto è come prima. Ma lo sappiamo entrambi,
Isabella, che niente è più come prima. Non da quando hai smesso di scrivermi.
Non da quando mi hai lasciato in questo limbo di silenzio e attese spezzate.
Perché le tue mail erano molto più di semplici parole: erano un respiro che
aspettavo, una presenza silenziosa che rendeva il giorno meno vuoto, e la notte
meno buia.
E poi niente. Quel "niente" che mi uccide, che è più rumoroso di
ogni cosa non detta. Mi aggrappo a quel niente, cerco di leggerci dentro una
spiegazione, un senso che forse non c'è. Sei lì, così vicina e così lontana,
come un'ombra che sfugge sempre quando cerco di afferrarla.
Cara Isabella, questa mattina mi sono svegliato con una voglia matta di te.
Non è una voglia qualunque, è quella sensazione che mi prende alle viscere e mi
trascina verso di te senza chiedere il permesso. Voglio toccarti, sentire la
tua pelle sotto le dita, e con essa il mondo intero, perché tu sei il mio
mondo. Ho voglia della tua voce, di quelle parole che mi fai mancare, che mi
spezzano e mi ricompongono ogni volta. Ho voglia di te, di tutto quello che sei
e che eri quando eravamo insieme, anche solo virtualmente, anche solo attraverso
un'email che arrivava a rompere il silenzio.
Ma oggi il silenzio è tutto quello che ho. Un silenzio pieno di domande che
non so nemmeno più a chi fare. E mi perdono, Isabella, tra quello che è stato e
quello che avrebbe potuto essere. Tra la tua assenza e questa strana presenza
che lasci, come un'eco.
"Ciao Tigrotto! Come stai?", mi scrivi nell'ultimo messaggio, con
la stessa leggerezza di sempre. Mi mancavano le tue email, dici. Ma la verità è
che non sono le mie email che ti mancano. Ti manco io? O è solo un modo per
dirmi che tutto può continuare come prima, senza la necessità di scendere a
fondo, senza affrontare quel mare di parole non dette che ci separa?
Mi manchi tu, Isabella. E non lo dico solo perché è facile, lo dico perché
ogni tua assenza pesa più di quanto avrei mai creduto possibile.
E poi niente. Forse è tutto qui. Forse siamo rimasti impigliati tra le righe
di email che non abbiamo mai scritto davvero.
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