Intervista al Dott. Antonio Bruno: “Il potere, le relazioni e l’obbedienza”
Intervista al Dott. Antonio Bruno: “Il potere, le relazioni e l’obbedienza”
Oggi abbiamo
il piacere di parlare con il Dott. Antonio Bruno, cultore delle materie
relative alle relazioni sociali e sistemi di potere, che ci aiuterà a
riflettere su alcune delle dinamiche che governano la nostra vita lavorativa e
sociale. Partendo dalle sue osservazioni e dalla recente riflessione di Massimo
Gramellini sul Corriere della Sera, cercheremo di approfondire il tema del
potere nelle relazioni umane.
Intervistatore: Dott. Bruno, nel suo recente
scritto ha fatto una distinzione chiara tra relazioni sociali e relazioni
lavorative, sottolineando che queste ultime si fondano sull’obbedienza. Può
spiegarci meglio cosa intende?
Dott.
Antonio Bruno: Sì,
certamente. Nel mio scritto, ho voluto evidenziare come le relazioni
nell'ambito del lavoro siano ben diverse da quelle sociali. Le relazioni
sociali si basano sul piacere di stare insieme, senza uno scopo preciso, mentre
le relazioni lavorative si fondano su compiti e doveri. In questo tipo di relazioni,
il potere gioca un ruolo centrale e si manifesta attraverso l'obbedienza. Ad
esempio, quando qualcuno mi chiede di fare qualcosa che non ho intenzione di
fare, e io lo faccio lo stesso, ecco che sto esercitando un atto di obbedienza.
Il potere, in questi contesti, è inscindibilmente legato alla capacità di
ottenere che qualcuno faccia qualcosa che non desidera.
Intervistatore: Interessante. Quindi, in che modo
si esercita realmente il potere secondo lei?
Dott.
Antonio Bruno: Il potere,
come accennavo, si esercita nella negazione reciproca. Quando obbedisco a un
ordine, non sto agendo secondo la mia volontà, ma sto subordinando la mia
decisione alla volontà di qualcun altro. Questo crea un rapporto di potere. Se
io volessi già fare ciò che mi viene richiesto, allora non ci sarebbe potere in
gioco, ma una collaborazione o una semplice relazione sociale. Ad esempio, come
accennavo nel mio scritto, non obbedisco a mia madre quando faccio
volontariamente qualcosa che mi chiede, ma obbedisco quando lo faccio controvoglia.
Il concetto di potere è quindi strettamente legato all’obbedienza e alla
negazione di sé stessi.
Intervistatore: Questo mi porta a riflettere sul
caso di Giulia Colangelo (*), descritto da
Gramellini. Secondo lei, questo abuso di potere è una conseguenza diretta della
natura del potere stesso?
Dott.
Antonio Bruno: Sì, credo
che sia proprio così. Gramellini ha evidenziato come, in alcuni casi, il potere
possa portare a un vero e proprio “delirio” di superiorità, che esalta le
frustrazioni e libera i fantasmi delle persone. Nel caso di Colangelo, sembra
che ci sia stato un uso distorto del potere, trasformando i rapporti di lavoro
in meri strumenti di sottomissione e abuso. Quando si perde di vista il fatto
che il potere dovrebbe essere un mezzo per raggiungere obiettivi collettivi, e
non uno strumento per il proprio ego, si cade inevitabilmente in queste
dinamiche di sopraffazione.
Intervistatore: In questo contesto, Gramellini ha
anche accennato all’ironia di Giorgio Napolitano (**) nel riconoscere l’effetto del potere su sé
stesso. Pensa che sia possibile esercitare il potere senza cadere in queste
trappole?
Dott.
Antonio Bruno: È una
sfida. Napolitano stesso, con il suo acuto senso dell’ironia, aveva capito
quanto il potere possa modificare la percezione di sé. Quando si viene
continuamente circondati da persone che obbediscono e ci trattano con rispetto,
è facile iniziare a credere di essere “superiori”. Ma la consapevolezza di
questo rischio è il primo passo per non cadere nel delirio di onnipotenza. Se sappiamo
in che relazione ci troviamo – se comprendiamo che il potere è temporaneo e
funzionale, non una proprietà personale – possiamo esercitarlo con maggiore
equilibrio. Come ho scritto, è fondamentale essere consapevoli del tipo di
sistema in cui ci stiamo muovendo.
Intervistatore: Mi sembra di capire, quindi, che la
chiave stia nella consapevolezza del sistema in cui ci troviamo, sia esso
gerarchico o sociale. Come possiamo sviluppare questa consapevolezza?
Dott.
Antonio Bruno: Esatto. La
consapevolezza è cruciale. Dobbiamo saper distinguere tra i diversi tipi di
relazioni che viviamo. Nel contesto lavorativo, ad esempio, dobbiamo
riconoscere che siamo all'interno di un sistema gerarchico e che la nostra
funzione principale è quella di adempiere a compiti specifici. Questo implica
spesso un rapporto di potere e obbedienza. In una relazione sociale, invece, ci
si incontra per il piacere reciproco, senza imposizioni. La mancanza di questa
consapevolezza è spesso causa di conflitti o malintesi, perché non comprendiamo
appieno le dinamiche in gioco.
Intervistatore: Ultima domanda, Dott. Bruno: quali
consigli darebbe a chi si trova in una posizione di potere per evitare gli
errori descritti da Gramellini?
Dott.
Antonio Bruno: Il primo
consiglio è quello di mantenere sempre una certa dose di umiltà e autoironia, come
facevo io prima della pensione e come faceva Napolitano. Riconoscere che il
potere è temporaneo e che non definisce il nostro valore come persone. Il
secondo consiglio è di cercare sempre di bilanciare l'obbedienza con il
rispetto reciproco, ricordando che i nostri collaboratori non sono strumenti,
ma individui. Infine, è fondamentale ricordare che, come ho detto, il potere
non è mai una proprietà personale, ma una responsabilità che ci è stata
affidata, e come tale va gestita con cura e rispetto.
Intervistatore: Grazie, Dott. Bruno, per queste
riflessioni così profonde e attuali.
Dott.
Antonio Bruno: Grazie a
voi, è stato un piacere.
(*) A Savona
Giulia Colangelo, direttrice generale della Provincia dal 2012, è sotto
inchiesta per avere abusato del suo potere non solo attingendo al classico
repertorio dei favoritismi, ma vessando i sottoposti come altrettanti Fantozzi.
Per l’accusa, ordinava loro dl farle la spese e di soddisfare altri suoi
piccoli capricci, minacciandoli di licenziamento in caso di rifiuto.
(**) Giorgio Napolitano, a cui non faceva
difetto l’ironia, ricordava di come, a furia di vedere i corazzieri irrigidirsi
sull’attenti al suo passaggio, un po' alla volta si fosse convinto di essere
davvero il presidente della Repubblica e la cosa gli avesse procurato un
momentaneo capogiro.
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