Intervista al Dott. Antonio Bruno: La Competizione, la Vita e il Significato del Vero Successo
Intervista al Dott. Antonio Bruno: La Competizione, la Vita e il Significato del Vero Successo
Intervistatore: Dott. Bruno, il suo recente scritto parte
da una riflessione molto profonda: "Perché aspettare la vecchiaia per
essere sé stessi e fare ciò che vogliamo fare?". Può spiegarci meglio
il suo pensiero?
Dott. Antonio Bruno: Certamente. Viviamo in una società che
premia la competizione a ogni costo, come se vincere fosse l'unico obiettivo
della vita. Questa mentalità si riflette non solo nello sport, ma anche nel
lavoro, nella politica e nelle relazioni personali. Il messaggio che ci viene
trasmesso è che se non si vince, si è destinati all'oblio. Ma la domanda che
pongo è: perché dobbiamo aspettare di non essere più in grado di competere,
magari quando siamo anziani, per renderci conto che l'unica cosa importante è
essere fedeli a noi stessi e vivere la vita come vogliamo, senza la pressione
costante di dover superare gli altri?.
Intervistatore: Nel suo scritto, cita il bellissimo
articolo di Antonio Errico, che afferma: "Non si è campioni quando si
vince. Si è campioni se si resta se stessi quando non si può vincere più".
Perché questa riflessione è così importante per lei?
Dott. Antonio Bruno: Perché descrive perfettamente ciò che
dovrebbe essere il vero significato della vita. La società ci insegna che
vincere è tutto, ma alla fine, ciò che conta davvero è come ci rapportiamo con
noi stessi quando non abbiamo più la possibilità di competere. La competizione,
alla lunga, non ci porta a vivere una vita autentica. Ci allontana dalla nostra
vera natura, perché ci spinge a fare le cose in funzione degli altri, non di
ciò che desideriamo veramente. È solo quando ci liberiamo di questa ossessione
per il successo che possiamo diventare grandi campioni, come dice
Errico, nel senso più profondo del termine: persone che comprendono la vera
essenza della vita.
Intervistatore: Lei afferma che "la competizione
non è umana". Questa è un'affermazione forte. Può spiegare cosa
intende?
Dott. Antonio Bruno: Con questa frase voglio sottolineare
che la competizione, intesa come il dover prevalere sugli altri, è un concetto
che ci è stato inculcato, ma non fa parte della nostra vera natura umana.
L'essere umano è per sua natura cooperativo. Nelle prime società, il successo
del gruppo dipendeva dalla collaborazione, non dalla competizione tra i membri.
È la nostra cultura patriarcale, ossessionata dalla supremazia e dal potere,
che ci ha portati a credere che il valore di una persona dipenda dalla sua
capacità di vincere. Ma questo non è vero. Ogni essere umano ha un valore
intrinseco, indipendentemente dai risultati competitivi.
Intervistatore: Nella sua riflessione, ha citato l'esempio
delle elezioni nel suo "paesello bello", dove per soli 13 voti un
cittadino è diventato sindaco, e chi ha perso, così come il terzo classificato,
è stato dimenticato. Che cosa ci dice questo sulla nostra cultura?
Dott. Antonio Bruno: Questo esempio è emblematico di come
la nostra società si focalizzi solo su chi vince. Il candidato che ha perso per
soli 13 voti è stato dimenticato, nonostante probabilmente abbia fatto uno
sforzo altrettanto grande. È un riflesso della nostra ossessione per la
vittoria: chi non vince è invisibile, come se il suo impegno, la sua passione e
i suoi valori non contassero. Questo è profondamente ingiusto. Dovremmo dare
importanza non solo al risultato, ma anche al percorso che ognuno compie.
Intervistatore: Ricollegandoci a questo, nel suo scritto
afferma che "quando c'è una partita di calcio, quello che perde è il
più importante". È un concetto affascinante. Può approfondirlo?
Dott. Antonio Bruno: Sì, è un concetto paradossale ma vero.
Quando si osserva una partita di calcio, la nostra attenzione è tutta sul
vincitore, ma non riflettiamo sul fatto che senza un perdente, non ci sarebbe
alcun vincitore. La vittoria esiste solo in relazione alla sconfitta. Ecco
perché sostengo che chi perde è importante: perché dà significato alla vittoria
dell'altro. Questo è un esempio perfetto di come la competizione ci porta a
vedere solo una parte della realtà, tralasciando l'importanza del tutto.
Intervistatore: Ha anche fatto riferimento a figure leggendarie
come Reinhold Messner e Cesare Maestri, sottolineando che il loro vero trionfo
non è stato tanto nella conquista della vetta, ma nel viaggio e nel modo in cui
hanno accettato i limiti imposti dal tempo e dalla vita. Qual è, secondo lei,
il messaggio più importante che possiamo trarre dalle loro storie?
Dott. Antonio Bruno: Messner e Maestri ci insegnano una
lezione fondamentale: la vita non è una questione di record o di primati. Non
importa se si raggiunge la vetta assoluta, ma piuttosto il cammino che si
percorre per arrivare fin dove è possibile. La vera grandezza sta nell'umiltà
di accettare i propri limiti e nel comprendere che ciò che conta è
l'esperienza, non il risultato finale. Messner non ha mai rivendicato un record
e Maestri, alla fine della sua vita, ha trovato più valore nel percorrere pochi
metri con un girello che nel scalare pareti vertiginose. Questo ci ricorda che
il vero successo sta nel vivere con dignità, indipendentemente dai risultati.
Intervistatore: Infine, Dott. Bruno, lei conclude il suo
scritto con una domanda cruciale: "Perché aspettare la vecchiaia per
essere sé stessi e fare ciò che vogliamo fare?". Quale risposta
darebbe a questa domanda oggi?
Dott. Antonio Bruno: La mia risposta è semplice: non
dobbiamo aspettare. Il momento per essere noi stessi è adesso. Non dobbiamo
lasciare che la pressione della competizione, del successo e del giudizio
altrui ci allontani dalla nostra autenticità. Ogni giorno è una nuova
opportunità per vivere la vita secondo i nostri desideri, per essere fedeli a
noi stessi e per apprezzare il valore di ciò che siamo, indipendentemente da
quello che gli altri fanno o pensano.
Intervistatore: Grazie, Dott. Bruno, per questa riflessione
profonda e ispirante.
Dott. Antonio Bruno: Grazie a lei.
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