GLI OCCHI E LA MENTE TRA PASSATO E PRESENTE NEL PAESE PIU’ BELLO DEL MONDO


Ormai sono più di trent’anni che, prima la scelta di intraprendere la carriera militare nell’ Esercito e successivamente l’aver messo su famiglia in quel di Siracusa, mi hanno portato lontano dall’ amato paese natio.
Il desiderio di rivedere i miei cari, unitamente all’ essere libero da impegni lavorativi e familiari, acconsentono, con mio sommo piacere, di trascorrere qualche giorno a San Cesario.
Durante la mia permanenza amo vivere ogni angolo del mio paese natio, dalla linda strada del centro (“lu largu palazzu”) al vicoletto di quartiere ( ” A mmera la giurdana – a Rretu lu nfiernu o subbra calvariu”).
Questo mio girovagare per il paese, mette a dura prova i miei sentimenti, tra l’osservazione del quotidiano (PRESENTE) e i ricordi del cuore (PASSATO).
PRESENTE
La parte “Te lu paise ranne” che mi piace osservare con piacere è quella che si snoda dalla metà di via Dante, nelle vicinanze della sede della Società di Mutuo Soccorso ( un tempo avrei detto dall’officina di riparazione biciclette, mi scusino gli eredi se uso il loro soprannome , dei fratelli “baresi”), fino a Piazza Garibaldi.
Ecco come appare ai miei occhi, questo tratto di “paradiso”.
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Come acqua cheta di ruscello, così la vita di un paese di provincia, scorre pigra e sonnolenta.
L’immobilità, l’inerzia, il quieto vivere sono maggiormente avvertiti se si tratta di località dell’estremo meridione, laddove il caldo afoso dell’estate e la mitezza del clima invernale la avvicinano più all’Africa che all’Europa.
Il mio San Cesario non sfugge a questo ineluttabile destino!
In questo tratto di strada si affacciano i negozi più frequentati, la chiazza cuperta , i bar, i circoli sociali e nella maestosa Piazza Garibaldi, la chiesa Matrice ed il Palazzo Marulli sede del Municipio.
Varia è la gamma di persone che si possono incontrare, dalla gioventù studentesca che con goliardica vivacità rumoreggia, ai commercianti, ai gestori che aprono i locali, alla gente comune che acquista generi alimentari freschi.
Ci sono, poi, coloro, sempre gli stessi finchè la morte non assottiglia la schiera, che, passeggiano avanti e indietro lungo questo tratto di strada, come buoi aggiogati all’aratro.
Non mancano quelli che, invece, appesantiti dagli anni, amano sostare nei luoghi riservati alla conversazione, le sedie della Società di Mutuo Soccorso, i tavolini dei bar, i sedili in marmo della Piazza Garibaldi o peculiarità sancesariana “li scaluni te la chiazza cuperta”.
E’ un campionario di umanità che merita rispetto e attenzione, vuoi per l’età avanzata dei frequentatori, vuoi perché in ognuno si potrebbe leggere una pagina di storia locale per la professione o il mestiere esercitati.
Si crogiolano come ramarri al sole, gli ex artigiani, gli ex braccianti agricoli, gli ex muratori, gli ex impiegati statali e via dicendo.
Le animate discussioni spaziano dai problemi quotidiani di sopravvivenza, alla insufficiente pensione che il governo di turno eroga; dagli acciacchi di salute che non mancano, alle gesta dell’amata squadra di calcio, il Lecce, tra i tifosi e i bastian contrari per natura, detti nel parlare sancesariano “cuntrasti”, fino ai giudizi piccanti e malevoli espressi nei confronti di quelle donne che hanno la sventura di passare davanti ai loro occhi. 
Non se ne salva una!
E se tra il dire ed il fare non ci fosse di mezzo il mare, chissà cosa farebbero.
Immancabili, poi, sono gli episodi legati alle loro professioni, dove i contenuti vengono dilatati oltre misura.
Non è raro incontrare quei Sancesariani sparsi in Italia e che, presi dalla nostalgia del paese natio e dall’affetto dei parenti rimasti, vi fanno ritorno, spesso nel periodo estivo (come il sottoscritto).
Si può notare nella loro espressione, la consapevolezza e nel contempo la soddisfazione di aver raggiunto il successo fuori dal luogo d’origine, con l’affermazione professionale nei disparati settori del pubblico impiego.
Calmo e silenzioso, apatico nel monotono scorrere del tempo, il mio Paese, mi riempie di se stesso, cullandomi nel suo grembo, la meritata pace della mia età matura.
PASSATO
Nu sacciu percene,” ma ogni tanto sento il bisogno di ritornare nei luoghi della mia infanzia, di ripercorrere quelle stradine che di volta in volta diventavano: campo di calcio, ludoteca, sala studio e refettorio. Naturalmente, dal punto di vista architettonico molto è cambiato, per i miei ricordi tutto è rimasto così com’era, e, come un sipario, si apre alla vista la mia strada!
“La mia strada” è quel territorio, che oggi si estende tra Largo A. Forcignanò, via Caduti della Libertà (un tempo rispettivamente via Verdi e un immensa campagna) via Saponaro e via Pistilli, durante la mia infanzia questi luoghi venivano indicati con un solo nome “ a dhra mmera le scole noe“ 
I giochi spaziavano dal monopoli o a “nomi, città, cose, animali, cantanti”, ai giochi, chiamiamoli così, “d’azione”, ma sopra tutto interminabili sfide a pallone.
A confronto “i ragazzi della via Pal” erano membri del “Circolo Pickwik”. Che pomeriggi! Finiti i compiti, si incominciava.
A proposito, di compiti scolastici, rimango eternamente grato a quel sant’uomo del mio maestro elementare, Alberto CAPPELLO, perché i suoi insegnamenti uniti a quelli dei miei genitori, sono stati alla base della mia educazione ed al senso del dovere, conditi ogni tanto insieme a qualche scappellotto, perché come dice il proverbio: a volte, “le mazzate”, quando ci vogliono, sono meglio del pane.
Di volta in volta si sceglieva come confrontarsi e come approntare la propria squadra.
Giustamente in giochi di forza si selezionavano i più corpulenti, mentre, in quelli di agilità i più contesi stavolta erano gli smilzi.
Da ragazzino io appartenevo a quest’ultima categoria, non avevo mai fame, bruciavo quelle poche calorie in corpo, scorrazzando per tutto il quartiere. Non si poteva rimanere in casa, non c’era niente da fare, la televisione proponeva la TV dei ragazzi che cominciava non prima delle cinque del pomeriggio e, allora, oltre alle interminabili partite di calcio, ci si industriava con la costruzione di giocattoli, come, spade e scudi di legno, aquiloni o monopattini con cuscinetti a sfera.
Per la realizzazione di questi manufatti si elemosinavano i cuscinetti a quei poveri meccanici, o pezzi di legno dai falegnami che, tartassati dalle nostre continue visite a volte estraevano dalle bielle dei pistoni, ancora funzionanti, o si disfacevano di pezzi di legname ancora utilizzabile pur di toglierci davanti.
Costruito il veicolo o l’attrezzo, era un continuo rischio per la nostra incolumità fisica per via dei ruzzoloni che si prendevano, vista la velocità e la poca affidabilità del mezzo.
Ma si era ragazzi e se si ritornava a casa accusando un incidente qualsiasi, era buona norma che una buona dose di “mazzate”, a prescindere, ti veniva elargita come “unguento” per le escoriazioni riportate.
Traduco, era una specie di chiodo schiaccia chiodo, tu per imperizia ti eri fatto male? La giusta punizione non era il solo semplice rimprovero, ma c’era l’aggiunta di qualche piccola dose di botte, affinché potessi ricordare più a lungo la malefatta. Metodo Montessori.
PASSATO/PRESENTE
Certo qualcosa è cambiato, le macchine lasciano liberi pochi centimetri d’asfalto, i ragazzini sono impegnati ad ignorarsi grazie alla collettività interattiva che si chiama facebook, chattano con migliaia di amici sparsi in tutto il mondo e non parlano più con i vicini di casa, o un suo coetaneo. Eccezionali nello scaricare applicazioni dal telefonino, migliorare record dei videogiochi, ma incapaci di qualsiasi manualità! 
Forse è lo specchio dei tempi.
Si spingono con i loro nickname in avventure internaute, forse ancora più pericolose delle nostre litigate per una partita di pallone.
Se i colori, gli odori sono rimasti uguali, purtroppo i suoni hanno subito una radicale metamorfosi, da un balcone una giovane mamma richiamava l’attenzione dei suoi figli con “Gionatan’ sa fattu tardu, cerca sorda la Samantha”, ho avuto come un tuffo al cuore il mio quartiere cominciava a trasformarsi.
Stavo andando via quando da un’altro balcone sibila come il suono di una sirena: ” Chevini, aaaaaaha, se nun terni subitu stasira nni la ticu a sirda e su mazzate sicure”, mi sono sentito rinascere, la signora aveva detto tutto questo mordendosi l’indice, forse non tutto era perso, basta aspettare le prossime telenovelas con protagonisti i vari: lu Melucciu, lu Ronzu, la Picia, la Tetta.
Ho fiducia. 
 Questo è lu paise ranne visto dai miei occhi e impresso nella mia mente o sarebbe più giusto dire, conservato nel mio cuore.
Lillino CATANZARO


Antonio Panzera Questa foto scattata nel '72 da Gioacchino Panzera ( mio zio ) ritrae la gloriosa Speldik nel campo di allenamento a casa mia, grazie alla disponibilità e alla pazienza di Pietro Panzera ( mio padre ). Una sezione sportiva, uno spogliatoio, cose impensabili per quei tempi. Ci si preparava tutta la settimana per la sfida domenicale, rigorosamente dopo la messa del fanciullo. 50 lire ( la paghetta settimanale ) in una sola partita. Alcuni di questi ragazzi hanno giocato in serie importanti. Antonio Manno, Stefano Rollo, Fabrizio Patarnello, Antonio Tondi. Grande Speldik rimasta imbattuta per molto tempo. Grazie Lillino centravanti d'altri tempi.

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