"Il Silenzio di Lecce" (racconto)

"Il Silenzio di Lecce"

Era una di quelle mattine in cui l’aria di Lecce sembrava intrisa di storie antiche, di pietre che avevano visto passare secoli e amori. I raggi del sole filtravano tra le architetture barocche, disegnando ombre leggere sui vicoli acciottolati. La città sembrava pulsare sotto il calore, e io, perso nel mio vagabondare, non facevo altro che pensare a lei, a Maria.

Maria non era una donna che si poteva dimenticare. Aveva una bellezza solenne, come quelle statue che ornano le chiese, e una distanza che rendeva ogni suo gesto un enigma. Quando la vidi per la prima volta, stava attraversando Piazza Sant'Oronzo con un abito leggero, attillato, che seguiva le curve del suo corpo in modo così naturale da sembrare scolpito su di lei. Il suo sguardo mi trapassò come un dardo, e i suoi occhi, profondi come l’abisso dei sogni, raccontavano storie di desideri taciuti, di dolori nascosti.

Mi piaceva di lei quella quiete che portava con sé, una calma antica, come il pane cotto al forno di pietra che si respira nelle cucine di paese, il cui profumo evocava ricordi lontani, radicati nella terra. Era come se la sua presenza fosse legata alla mia anima da un filo invisibile, eppure fragile, che minacciava di spezzarsi ad ogni suo distacco. Le sue mani piccole cercavano a volte le mie, e in quel tocco fugace, si accendevano desideri mai sopiti. Eppure, c’era sempre un muro, un velo di silenzio che lei erigeva tra noi.

A volte la guardavo passare senza che lei mi vedesse, o meglio, faceva finta di non vedermi. Camminava sicura, con i piedi saldamente piantati sulla pietra calda, ma era come se una parte di lei volasse altrove, verso orizzonti sconosciuti, verso un altrove che non potevo raggiungere. C’era una bellezza in quella distanza, una forma di aggressività silente, come se volesse punirmi con il suo mutismo. Non capivo se fosse rabbia o paura, o forse entrambe le cose.

Ma io la amavo, e continuavo ad amarla, nonostante tutto. L’amavo perché nei suoi silenzi c’era una verità che non potevo ignorare, una promessa nascosta tra le pieghe del suo sorriso fugace, una speranza che un giorno, forse, avrebbe abbassato quelle barriere, lasciandomi entrare nel suo mondo segreto. La città sembrava parte di questa danza immobile tra noi: le sue assenze erano come le ombre dei palazzi, che si allungavano e si accorciavano al passare delle ore, e ogni volta che lei spariva senza dirmi nulla, io rimanevo lì, con un pugno di domande senza risposte.

C’erano giorni in cui mi chiedevo se non stessi semplicemente inseguendo un’illusione. Se il suo distacco fosse una forma di protezione, o se fosse semplicemente il modo in cui lei cercava di dirmi addio, senza avere il coraggio di pronunciare quelle parole. “Dimmi tu addio”, pensavo, “se a me dirlo non riesce”. Ma non era l’addio che temevo di più; era il silenzio, quello che taglia l’aria come un coltello, che erige muri e lascia l’altro solo, perso nel vuoto delle proprie emozioni.

Le sere erano il momento in cui la città respirava lentamente, e io con essa. Mi rifugiavo nella mia stanza, con il profumo del mare lontano che entrava dalla finestra aperta, e pensavo a Maria. Pensavo a come, nonostante il suo silenzio, io avessi ancora un posto per lei nel mio cuore. Un posto che ci eravamo costruiti insieme, anche se solo nella mia immaginazione. Un posto dove eravamo uno, fusi l’uno nell’altro come il dardo e il bersaglio, dove le parole non servivano e bastava un solo sguardo per capire tutto.

La verità, però, era che Maria mi sfuggiva ogni giorno di più. Ogni volta che provavo ad avvicinarmi, lei si ritraeva, erigendo quel muro di rifiuto che mi lasciava senza fiato. Era come se il nostro amore fosse un incendio senza padrone, incontrollabile, e io, pur sapendo che avrei potuto bruciarmi, continuavo a restare lì, incantato dalle fiamme.

Una notte, sotto il cielo stellato di Lecce, decisi che era arrivato il momento. Se non ora, quando? Qui e ora, l’avrei amata. L’avrei amata con tutto me stesso, anche se lei mi avesse rifiutato. Perché l’amore, in fondo, non è altro che questo: dare senza chiedere nulla in cambio, accettare anche i silenzi, i distacchi, i rifiuti.

Quella notte, mentre camminavo verso casa, mi fermai sotto la sua finestra. Il cuore mi batteva forte, e un brivido mi percorse la schiena. Non sapevo se lei fosse lì, se mi avrebbe mai aperto, se mi avrebbe mai permesso di entrare nel suo mondo. Ma una cosa la sapevo: l’amavo, e lo avrei fatto sempre, anche da lontano, anche nel silenzio.

Perché alcune cose, quando sono pronte, accadono senza il nostro consenso. E io, quella notte, decisi di lasciare che fosse l’amore a parlare per me.

Antonio Bruno


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