Un Quarto di Secolo (racconto) Antonio Bruno NON ME LO SO SPIEGARE

Un Quarto di Secolo

È stato all’improvviso. Sei tornata, come un’onda che si infrange sulla riva con forza, portando con sé frammenti di ricordi che avevo sepolto tanto tempo fa. Per anni, mi ero abituato a una vita senza di te. Eppure, eccoti qui, davanti a me, bella come sei, forse ancor di più, proprio come diceva quella vecchia canzone.

Eppure, non provavo più nulla. Lo giuro a me stesso mentre ti guardo. Il cuore non accelera, non c’è quell’euforia irrefrenabile che una volta mi consumava. L’immagine che ho di te ora non ha nulla a che fare con quella donna che avevo idealizzato. È solo una costruzione, una fantasia elaborata in tutti questi anni. Un ricordo deformato, una proiezione di chi credevo tu fossi. Non sei più la donna dei miei sogni, quella che mi teneva sveglio la notte, il cuore ricolmo di desiderio.

Forse perché i giorni dell’amore, del sesso rubato e degli incontri clandestini sono ormai lontani, sbiaditi da una patina di realtà. Quelle notti erano fatte di tensione, di un desiderio impossibile da saziare. Era come vivere in un mondo sospeso, lontano dalla vita vera. Ma adesso, dopo un quarto di secolo, mi sembra tutto così distante, quasi irreale.

Tu mi guardi con quel sorriso che una volta mi faceva cedere ogni difesa, e sussurri: “Preferisco quelli che camminano sulle nuvole e parlano al vento. I pazzi per amore, i visionari, coloro che darebbero la vita per un sogno. Quelli che vedono possibilità là dove altri vedono solo limiti.”

Quelle parole mi colpiscono, come un colpo improvviso al petto. Sento il mio cuore sobbalzare, anche se solo per un istante. Mi ricordi com’eri una volta: quella ragazza affascinante e selvaggia che amava vivere fuori dagli schemi, che sognava mondi impossibili e credeva fermamente nell’amore eterno. In quegli occhi ci sono ancora tracce di lei, ma ora, sotto quella superficie luccicante, vedo l’infrangersi dei nostri sogni.

“Forse tu non sei più quella donna”, penso, “ma lo sono davvero io l’uomo che immaginavi?”
In tutti questi anni, ho imparato a costruirmi una vita senza di te. Ho fatto pace con il vuoto che avevi lasciato, l’ho riempito con altro: con impegni, con altre persone, con una quotidianità diversa. Ma ogni tanto, la tua assenza si faceva sentire, come una leggera fitta al cuore. Mi chiedevo se anche tu pensavi a me, o se eravamo solo un ricordo lontano che si sbiadiva col tempo.

Ma ora sei qui, davanti a me, e tutto sembra così chiaro. L’immagine che avevo di te non è reale, era solo un riflesso del desiderio di chi volevo tu fossi. Mi hai sempre affascinato con i tuoi discorsi sui sogni, sulle porte nascoste dietro le siepi, sul Bianconiglio che offre il tè. Tu vedevi sempre orizzonti che altri non notavano, e io ti amavo per questo. Ma alla fine, quel mondo che immaginavamo insieme era solo una fantasia, un’illusione che non poteva sopravvivere alla realtà.

Tu sorridi ancora, come se volessi dirmi che non è mai troppo tardi per sognare. Ma io so che, per me, i sogni di un tempo sono ormai dissolti nel vento. Ci siamo amati, sì, ma quel tempo è finito. Forse non ero io il pazzo visionario di cui avevi bisogno. Forse, in fondo, non lo sono mai stato.

“E ora?” mi chiedi con lo sguardo, sperando che io dia una risposta che possa ridare vita a ciò che eravamo. Ma non posso. E mentre ti guardo ancora una volta, capisco che il nostro tempo è davvero finito. Mi ritorni in mente, sì, ma non sei tu quella che immagino.

“Addio”, sussurro piano, sperando che, almeno nei tuoi sogni, io possa essere quell’uomo che avrebbe dato tutto per un orizzonte mai visto.

Il sogno

Mi addormentai con il tuo sguardo ancora impresso negli occhi, ma quando il sonno mi colse, non pensavo a te. Eppure, eccoti lì, di nuovo, ad aspettarmi in quel sogno che sapeva di nostalgia. Non era il nostro solito luogo di ritrovo – non la stanza segreta che avevamo condiviso nei giorni del nostro amore rubato. No, stavolta eravamo in un giardino sconosciuto, avvolto da una luce dorata, come se il tempo stesso avesse deciso di fermarsi solo per noi.

Camminavi scalza sull’erba morbida, i tuoi piedi leggeri come se non toccassero davvero il terreno. Il vento ti accarezzava i capelli, facendoli danzare intorno al tuo viso, e il sole tramontava alle tue spalle, tingendo tutto di arancio e rosa. Mi avvicinai lentamente, come se avessi paura che l’istante potesse svanire se fossi stato troppo veloce. E quando ti voltasti verso di me, c’era quel sorriso – quel sorriso che mi faceva crollare ogni volta.

"Ti aspettavo," dicesti, la tua voce era un sussurro, dolce e familiare, ma c’era qualcosa di diverso. Una calma che non avevo mai percepito prima.

"Sei qui," risposi, incapace di trovare altre parole. Il tuo volto era lo stesso, ma sembravi così lontana, come un miraggio in una notte d’estate, destinato a dissolversi con l’alba.

"Cammina con me," mi chiedesti, prendendomi per mano. Le tue dita erano fredde, ma il tocco era rassicurante, come se tutto fosse sempre stato destinato a quel momento. Mi condussi attraverso il giardino, le foglie autunnali si sollevavano intorno a noi, danzando nel vento, mentre la luce si faceva sempre più tenue.

"Ricordi quando parlavamo di mondi impossibili?" chiesi, osservando l’orizzonte che sembrava non finire mai. "Di porte nascoste e viaggi infiniti?"

Annuiste, gli occhi rivolti verso il cielo. "Li ho sempre visti, anche quando non eri con me. Quell'orizzonte esisteva, e lo cercavo. Ma non tutti i sogni sono fatti per essere raggiunti insieme."

Ci fermammo accanto a una piccola fontana, l’acqua scorreva con un suono lieve, ipnotico. Tu mi guardasti, e in quel momento sentii una fitta al cuore. "Sai perché ci ritroviamo sempre qui, vero?" mi chiedesti.

Scrollai la testa, cercando di capire. Ma nel sogno, come nella realtà, la risposta mi sfuggiva.

"Questo è il luogo in cui ci siamo sempre incontrati, tra i sogni e la realtà," spiegasti. "Non è né il passato né il futuro. È quel momento sospeso in cui possiamo ancora essere noi, senza il peso delle scelte che abbiamo fatto, senza il tempo che ci ha separati. Qui possiamo essere tutto ciò che volevamo essere."

"Ma non è reale," dissi, con una tristezza che non potevo nascondere. "Non siamo noi."

Sorridesti di nuovo, quel sorriso che conoscevo fin troppo bene, ma che in qualche modo mi faceva male vedere ora. "Forse non siamo mai stati del tutto reali," dicesti. "Forse eravamo sempre destinati a vivere nei sogni, più che nella vita vera. Ma questo non rende meno vero ciò che abbiamo provato."

Il vento si alzò di nuovo, più forte stavolta, e vidi le foglie sollevarsi intorno a noi come in una danza caotica. Sentivo che qualcosa stava per cambiare, che stavi per svanire. Cercai di afferrare la tua mano più forte, ma le tue dita cominciavano a scivolare via.

"Non andare," implorai, sentendo quella vecchia paura tornare, quella sensazione di perdere qualcosa di prezioso.

"Non posso restare," rispondesti, la tua voce ormai lontana, come se provenisse da un'altra dimensione. "Ma non sarò mai davvero lontana. Ci sarò sempre qui, in questo giardino, nei tuoi sogni."

E proprio mentre il tuo volto cominciava a sfumare, dissolvendosi nella luce del tramonto, ti voltasti un’ultima volta. "Non tutti i sogni sono fatti per essere realizzati. Ma alcuni, come il nostro, possono vivere per sempre qui."

Mi svegliai con il cuore che batteva forte, il profumo dolce dell'erba ancora nelle narici, e quella sensazione indefinibile tra malinconia e pace. Per un istante, non sapevo più dove finisse il sogno e cominciasse la realtà. Ma sapevo che, in qualche modo, ti avrei ritrovata ancora lì.

Sempre.

L’incontro che desidero

Il cielo era grigio, come se il mondo avesse deciso di sintonizzarsi sul mio umore. Ero seduto su quella vecchia panchina al parco, lo stesso posto in cui ci eravamo incontrati tante volte anni fa, quando tutto tra noi sembrava così semplice. Non mi aspettavo di rivederti, non più. Il nostro capitolo si era chiuso, o almeno questo era ciò che mi ripetevo ogni volta che il tuo ricordo riaffiorava.

Eppure, eccoti lì.

Quando ti vedo, il cuore mi si ferma per un istante. Sei lì, a pochi passi da me, con quel misto di vulnerabilità e speranza negli occhi. Il vento ti scompiglia i capelli, ma tu non te ne curi. Fai un respiro profondo, come se stessi cercando il coraggio di parlare, di dire qualcosa che non ti esce da giorni, forse mesi.

Ti siedi accanto a me, ma lasci un piccolo spazio tra di noi, quel vuoto che sembra carico di tutto ciò che è stato e che non è più. Per un lungo istante, nessuno dei due parla. Solo il suono delle foglie che si muovono sotto il vento e il rumore lontano del traffico riempiono l’aria.

"Non pensavo saresti venuto," dici alla fine, la voce incrinata, quasi un sussurro.

"Non pensavo che mi avresti chiamato," rispondo, senza riuscire a guardarti negli occhi. C'è un peso nella mia voce, uno che portavo da troppo tempo ormai.

Ti mordi il labbro, un gesto nervoso che ti conosco fin troppo bene. "Ho bisogno di dirti una cosa." La tua voce trema, ma c’è una determinazione nel tuo sguardo. "Ho sbagliato."

Quelle parole restano sospese nell'aria, e sento una fitta nel petto. Le aspettavo, forse le desideravo, ma ora che sono qui, non so cosa fare. Mi guardi come se avessi paura di ciò che sto per dire, e per un attimo ti vedo come la ragazza che eri una volta, quella che amavo con ogni fibra del mio essere.

"Non so cosa vuoi da me," dico infine, cercando di mantenere il controllo, ma sento che mi sta sfuggendo. "Sono passati anni, abbiamo preso strade diverse. Non possiamo semplicemente tornare indietro e fare finta che tutto vada bene."

"Lo so," sussurri, abbassando lo sguardo. "Lo so, ma... io ci ho provato. Ho provato a vivere senza di te. Ho provato ad andare avanti. Ma non ci riesco." Le tue mani si stringono nervosamente sulle ginocchia, e vedo che stai lottando contro le lacrime. "Non c'è stato un solo giorno in cui non abbia pensato a te, a noi. Ogni volta che cercavo di andare avanti, ti trovavo nei miei pensieri, nei miei sogni, in ogni decisione che prendevo."

"Tu sei stata quella a chiudere tutto," ti ricordo, con una durezza che non riesco a trattenere. "Sei stata tu a decidere di lasciarmi andare. E adesso, dopo tutto questo tempo, vieni qui e mi dici che hai sbagliato? Cosa pensi che succederà? Che io ti riprenderò come se nulla fosse accaduto?"

Le lacrime finalmente scivolano giù dalle tue guance, e ti copri il viso con le mani, come se volessi nasconderti dal mondo, o forse da te stessa. "Lo so," singhiozzi, "Lo so che è colpa mia. Ma ti prego... ti prego di ascoltarmi."

Mi guardi, e c’è una disperazione nei tuoi occhi che non avevo mai visto prima. "Ho fatto un errore. Pensavo di potermi proteggere, di non farmi male più. Pensavo che allontanarti fosse l’unica cosa giusta da fare. Ma tutto ciò che ho ottenuto è stato rendermi conto di quanto ti amo. Ti amo più di quanto pensassi, più di quanto mi permettessi di ammettere."

C'è un momento di silenzio, e posso sentire il tuo respiro spezzato mentre lotti per trovare le parole giuste. "So che ho spezzato il tuo cuore. So che potresti non perdonarmi mai. Ma non posso continuare a vivere sapendo di non averci provato, di non averti chiesto di darmi una seconda possibilità."

Abbasso lo sguardo, fissando il terreno sotto di noi, il cuore pesante. Vorrei dirti che le tue parole non mi toccano più, che sono andato avanti, ma sarebbe una bugia. La verità è che mi hai spezzato in due. E ora, mentre sei qui a implorarmi, non so cosa fare con tutto questo dolore.

"Non è così facile," mormoro, cercando di trattenere le emozioni che mi stanno travolgendo. "Non basta chiedere perdono e pensare che tutto torni a posto."

"Lo so," dici, asciugandoti le lacrime con il dorso della mano. "Ma sono disposta a fare qualsiasi cosa. Qualsiasi cosa, pur di riprovarci. Ti prego..." La tua voce si spezza, e ti vedo tremare. "Non posso vivere senza di te. Ti prego, dammi un’altra possibilità."

Il silenzio si allunga tra noi, pesante e denso. Il mio cuore è una tempesta di emozioni, e non so come fare a mettere ordine in tutto questo caos. Ti guardo, vedo il dolore nei tuoi occhi, la sincerità nel tuo pentimento, ma vedo anche il passato, le ferite che ancora non si sono chiuse.

Alla fine, mi alzo dalla panchina. Il tuo sguardo mi segue, pieno di speranza e paura. Faccio un respiro profondo, e guardo l’orizzonte. "Non so se posso darti quello che vuoi. Non so se posso fidarmi ancora di te, ma... non so nemmeno se posso vivere con questo rimpianto per sempre."

I tuoi occhi si illuminano per un istante, e fai un passo verso di me, come se avessi bisogno di toccarmi per assicurarti che sono reale, che le mie parole lo sono.

"Ti sto dicendo solo una cosa," continuo, cercando di mantenere la calma. "Se riprendiamo questa strada, sarà tutto diverso. Non sarà facile, non sarà come prima. Ma... se davvero lo vuoi, se davvero vuoi ricominciare, devi dimostrarmi che non mi spezzerai più il cuore."

Annuisci freneticamente, le lacrime scorrendo ancora una volta. "Lo farò. Te lo prometto. Non ti lascerò mai più."

E mentre le tue braccia si avvolgono intorno a me, so che, nonostante tutto, non ho mai smesso di amarti.

Mi hai fatto troppo male

Mi alzo dalla panchina e respiro profondamente, lasciando che l’aria fredda mi riempia i polmoni. Il cielo grigio si riflette nei miei occhi, come se il mondo intero condividesse il peso che ho portato per così tanto tempo. Ti guardo, ancora lì davanti a me, le lacrime che ti rigano il viso, le mani strette in grembo, come se stessi aspettando un verdetto.

Sento le parole salire dal profondo, quelle che ho tenuto dentro per anni, e so che ora devono essere dette.

"Hai idea di quanto mi hai fatto male?" Le parole escono lentamente, piene di amarezza e dolore. "Hai idea di cosa ho provato quando mi hai scartato, quando hai deciso che non valevo più niente per te? Ero lì, pronto a dare tutto, e tu... tu hai scelto di andartene. Mi hai buttato via come se fossi un capitolo della tua vita che non ti interessava più."

Il silenzio tra noi è pesante, ma continuo, incapace di fermarmi ora. "Non ero preparato per quello che è successo. Un giorno eravamo tutto l’uno per l’altra, e il giorno dopo, mi hai lasciato. Senza spiegazioni, senza combattere per quello che avevamo. Ero lì, a cercare di capire cosa fosse andato storto, cosa avessi sbagliato io... Ma la verità è che sei stata tu a sbagliare. Sei stata tu a scegliere di lasciarmi da solo, a gestire quel dolore da cui pensavo non mi sarei mai ripreso."

Ti vedo abbassare lo sguardo, come se non riuscissi a sopportare il peso delle mie parole, ma non mi fermo. Questo discorso l’ho ripetuto nella mia mente centinaia di volte, immaginando ogni dettaglio, ogni emozione, e ora deve uscire.

"Tu mi hai spezzato," dico, la voce incrinata dal ricordo di quel dolore. "Ho provato un dolore così profondo che mi ha tolto il respiro. Mi svegliavo ogni mattina sperando che fosse solo un incubo, ma ogni volta mi rendevo conto che eri davvero andata via. Mi hai tolto tutto. Mi hai tolto la nostra storia, i nostri sogni, e il futuro che pensavo fosse nostro. E per cosa? Perché ti faceva paura essere felice? Perché pensavi che l’amore non fosse abbastanza?"

Faccio una pausa, cercando di contenere la rabbia che sento montare nel petto, ma il dolore è ancora lì, bruciante. "Mi sono sentito scartato. Come se fossi un peso di cui ti dovevi liberare. E ho cercato di capire. Ho passato giorni, mesi, a chiedermi cosa avrei potuto fare di diverso, cosa avrei potuto cambiare per farti restare. E ogni volta arrivavo alla stessa risposta: niente. Non avrei potuto fare niente, perché eri tu quella che aveva deciso che non ne valeva più la pena."

Ti vedo tremare leggermente, le mani che si stringono con forza, ma non dici nulla. Forse perché sai che ho ragione, o forse perché non ci sono scuse che possano davvero giustificare ciò che hai fatto.

"E mentre io soffrivo, tu... tu eri là fuori, a vivere la tua vita come se niente fosse. Come se io fossi solo una parentesi, qualcosa che potevi chiudere e dimenticare. Sai quanto è stato difficile guardare avanti, sapere che tu eri andata avanti così facilmente?"

Il nodo che ho in gola si stringe, ma non posso fermarmi ora. "Io ti amavo. Ti amavo più di quanto abbia mai amato qualcuno. E quando mi hai lasciato, hai portato via quella parte di me che credeva ancora nell’amore, che credeva che le cose potessero andare bene, che avremmo superato qualsiasi ostacolo. Mi hai lasciato con niente, e ho dovuto ricostruirmi da solo. Ho dovuto imparare a vivere senza di te, anche se ogni giorno mi chiedevo cosa fosse andato storto."

Ti vedo scuotere la testa, le lacrime che scorrono senza sosta ora. "Mi dispiace," sussurri, ma quelle parole sembrano così piccole, così insignificanti rispetto al dolore che ho vissuto.

"Mi dispiace?" ripeto, la voce piena di amarezza. "Mi dispiace non è abbastanza. Non puoi cancellare quello che è successo con due semplici parole. Non puoi aspettarti che tutto torni a posto solo perché adesso ti sei resa conto di aver sbagliato."

Faccio un passo indietro, la distanza tra noi sembra improvvisamente enorme. "Ho provato a vivere senza di te, e alla fine ci sono riuscito. Ma non puoi pretendere che io dimentichi tutto questo dolore solo perché ora hai capito che hai fatto un errore."

Il silenzio che segue è assordante. Il tuo volto è rigato dalle lacrime, e vedo il rimorso nei tuoi occhi, ma non so se è abbastanza. Non so se il tuo pentimento può cancellare tutto il dolore che mi hai causato.

"Mi hai distrutto," dico infine, con una calma che mi sorprende. "E non so se posso mai dimenticarlo. Non so se posso mai fidarmi di nuovo di te."

Rimani lì, immobile, mentre le mie parole affondano, e io sento un vuoto aprirsi tra di noi, uno spazio che forse nessuno potrà mai colmare.

Non posso e non voglio

Il vento si fa più freddo, e sento il peso di ogni parola che ho pronunciato scendere tra noi, come un muro che non sono sicuro di voler abbattere. La tua mano si solleva lentamente, incerta, quasi timorosa, e per un istante sfiora il mio braccio. Un tocco leggero, ma che manda una scossa attraverso il mio corpo. Ci siamo sempre capiti in silenzio, con gli sguardi, con quei gesti che un tempo erano così naturali tra noi.

Poi, con gli occhi pieni di lacrime e di una disperazione che non riesci più a nascondere, mi implori con un filo di voce, come se ogni parola fosse una preghiera. "Ti prego… fammi sentire di nuovo che siamo noi. Ti prego, voglio solo sentire il tuo amore. Anche solo per una notte."

Il tuo viso è così vicino al mio ora, le tue labbra tremano, e sento il calore del tuo respiro sul mio viso. Cerchi di avvicinarti di più, come se potessi colmare quella distanza tra i nostri corpi che però sembra infinita. Gli occhi implorano, supplicano. "Ti prego… facciamo l’amore. Fammi sentire che non è tutto perduto."

Ogni fibra del mio corpo è in conflitto. Il desiderio c’è, e lo sento bruciare sotto la superficie. È la stessa attrazione magnetica che ci ha sempre legato, quella che non riuscivo mai a controllare del tutto. La tua vicinanza, il modo in cui mi guardi, mi riporta a quei giorni in cui i nostri corpi parlavano per noi, quando tra noi non c’era bisogno di parole.

Ma qualcosa dentro di me si spezza. Non posso. Non voglio.

"Non posso farlo," dico, la mia voce rauca, quasi un sussurro. "Non così."

Tu ti fermi, il tuo viso a un respiro dal mio, e vedo la confusione nei tuoi occhi, mista a una disperata speranza. Cerchi di avvicinarti ancora, ma io mi ritraggo, lasciando un vuoto freddo tra di noi.

"Perché no?" sussurri, la tua voce spezzata, come se non riuscissi a capire. "Ti prego… lo so che mi ami ancora. Lo sento. Non possiamo ignorarlo. Anche solo per una notte… per ricordare cosa significa essere noi."

Scuoto la testa, cercando di mettere distanza, non solo fisica ma emotiva, perché so che una volta aperta quella porta, non ci sarà ritorno. "Non è così semplice," dico, con una calma che mi sorprende. "Non posso farlo solo perché lo vuoi. Non posso farlo perché questo non risolverebbe nulla. Sarebbe solo un’illusione. E io non posso vivere di illusioni."

La tua mano cade lentamente, come se ogni energia ti avesse abbandonato, e vedo il dolore dilaniarti dall’interno. "Ma… ci amiamo ancora, lo so. Lo sento," ripeti, quasi incapace di accettare il mio rifiuto. "Perché non possiamo lasciarci andare? Perché non possiamo essere di nuovo noi, anche solo per un momento?"

Chiudo gli occhi per un attimo, cercando di non lasciarmi trascinare da quelle emozioni che so mi farebbero cedere.

Il silenzio tra noi è denso, carico di emozioni non dette, ferite aperte che faticano a guarire. Ti vedo fare un respiro tremante, come se stessi cercando le parole giuste. Poi ti alzi lentamente dalla panchina, fai un passo verso di me. I tuoi occhi sono pieni di lacrime, ma anche di desiderio, un desiderio che riconosco, uno che una volta ci univa.

"Ti prego," sussurri, la voce rotta dal dolore. "Lascia che io ti faccia sentire quanto ti amo ancora. Ti prego… fammi entrare di nuovo nella tua vita. Fammi entrare in te."

C’è una disperazione nelle tue parole, e lo capisco. Ti stai aggrappando all’unica cosa che ci legava con una forza che sembra disperata. Ma mentre ti avvicini, sento una distanza sempre più grande crescere dentro di me. Una distanza che il desiderio fisico non può colmare.

Prendi le mie mani e le porti sul tuo viso, come se volessi che ricordassi il calore della tua pelle, il modo in cui una volta bastava un solo tocco per farci crollare. Ma ora è diverso. Le tue mani tremano, e io sento il tuo respiro farsi irregolare mentre ti pieghi verso di me.

"Non puoi dirmi che non mi desideri ancora," dici, quasi implorando. "Non puoi dirmi che tra noi non c’è più niente. Non dopo tutto quello che abbiamo condiviso."

Sento il tuo corpo avvicinarsi al mio, e il ricordo di noi, dei momenti passati insieme, torna come un'onda impetuosa. I nostri corpi che una volta si incastravano perfettamente, la passione che ci consumava fino a non lasciarci scampo. È come se stessimo entrambi cercando di tornare a quel luogo sicuro dove tutto aveva un senso, dove l’amore e il desiderio erano la nostra unica realtà.

Ma mentre sento la tua pelle sotto le mie dita, qualcosa dentro di me si spezza. Non posso. Non voglio. Non così.

"No." Le parole escono decise, anche se non me le aspettavo così forti.

Ti fermi, il viso a pochi centimetri dal mio, gli occhi pieni di incredulità. "Cosa?" sussurri, come se non potessi credere a ciò che hai sentito.

"Non posso farlo." Mi ritraggo, allontanandomi, e vedo il dolore esplodere nei tuoi occhi. "Non posso fare finta che basti il desiderio a sistemare tutto quello che è successo tra noi."

"Ma..." cominci a dire, la tua voce incrinata. "Ma io ti amo. Ti amo ancora. Lo so che anche tu mi ami. Lo sento. Perché non possiamo semplicemente tornare a noi?"

Scuoto la testa, il cuore in pezzi, ma le mie parole sono ferme. "Non è solo il corpo, non è solo fare l’amore che ci tiene insieme. E questo non risolverebbe nulla. Anzi, ci farebbe ancora più male."

Vedo la tua disperazione crescere, e cerchi di prendermi di nuovo, come se volessi che il contatto fisico possa annullare il vuoto che si è creato. Ma mi allontano, più deciso.

"Ti prego..." la tua voce si rompe, e stavolta c’è solo supplica, dolore. "Dammi almeno questo. Lascia che io ti senta di nuovo, come una volta."

"Non posso." Le parole mi lacerano, ma so che sono vere. "Non così. Non adesso. Non possiamo usare il nostro corpo per nascondere il fatto che ci siamo spezzati. Fare l’amore non risolverà il dolore, non ci farà dimenticare tutto ciò che è successo. Tu mi hai lasciato. Mi hai spezzato il cuore, e adesso... io non sono più lo stesso. Noi non siamo più gli stessi."

Ti fermi, paralizzata dalle mie parole, e vedo le lacrime scorrere silenziose lungo il tuo viso. Rimani lì, immobile, mentre il mondo intorno a noi sembra fermarsi.

"Non possiamo tornare a ciò che eravamo," continuo, cercando di mantenere il controllo della mia voce. "Non basta il desiderio, non basta l’amore fisico. Abbiamo perso troppo, e fare l’amore adesso... non sarebbe giusto. Non per me, non per te. Non sarebbe quello di cui abbiamo davvero bisogno."

Le tue spalle si abbassano, e vedo la lotta nei tuoi occhi, il modo in cui cerchi di accettare quello che ti sto dicendo, anche se fa male.

"Non ti sto dicendo che non ti desidero," aggiungo con un tono più morbido, "ma non è questo il modo in cui possiamo guarire. Non stasera. Non così."

Tu annuisci lentamente, anche se le lacrime continuano a scendere. Ti avvicini di nuovo, ma stavolta con un gesto diverso, più lieve. Mi sfiori la mano, e poi, con una dolcezza che mi spezza il cuore, la lasci andare.

"Capisco," sussurri, la voce fragile, come se le parole ti costassero ogni forza rimasta. "Capisco."

E in quel momento, c’è solo silenzio. Un silenzio che ci avvolge, carico di quello che è stato e di tutto quello che non sarà mai più.

Antonio Bruno


Commenti

Post popolari in questo blog

MESCIU ANTONIU LETTERE MEJU CU LU TIENI COMU AMICU...

Gli esami di Stato del 1976

Il pensiero filosofico di Humberto Maturana: l'autopoiesi come fondamento della scienza