"L'eco del desiderio" (racconto) Antonio Bruno Tra te e il mare Laura Pausini
"L'eco del desiderio"
Lecce si risveglia con il suo bagliore dorato, filtrato dalle facciate
barocche che sembrano sospirare ricordi antichi. Ogni pietra parla di storie
passate, di amori consumati nel segreto dei vicoli o sotto la luce calda del
tramonto, quando il cielo si tinge di quella sfumatura rosata che sa di addii e
promesse mai mantenute. Camminavo in una di quelle stradine strette, dove il
tempo si ferma per ascoltare i passi di chi passa, e mi sentivo parte di un
quadro che non mi apparteneva. Forse era la città stessa a farmi sentire così,
una spettatrice nel teatro della mia vita.
Era stato un autunno di silenzi, quello in cui ci eravamo incontrati. Io, vagamente
scettico riguardo all'amore, tu, un enigma con lo sguardo sfuggente e il
sorriso a metà. Non ti ho amato per noia o per solitudine o per capriccio. No.
Ti ho amato perché il desiderio di te era più forte di qualsiasi felicità, come
un vento che soffia via ogni pensiero razionale. E lo sapevo, lo sapevo bene
che poi la vita non è abbastanza grande per tenere insieme tutto quello che
riesce ad immaginare il desiderio.
Ma non ho cercato di fermarmi, né di fermarti. Era impossibile. Certe cose
accadono e basta, come una pioggia improvvisa in un pomeriggio assolato. Lecce
quella sera ci avvolgeva con il suo silenzio e il cielo era basso, pesante di
stelle. Non c'era un prima, e non c'era un dopo. Solo l'adesso, in quella
piazzetta deserta che sembrava esistere per noi soltanto.
Quel che io sono, è ormai successo e qui, e ora, vive in me come un passo in
un'orma, come un suono in un'eco, e come un enigma nella sua risposta. Il tuo
riflesso in me non morirà, questo no. Scivola dall'altra parte della vita, lo
sento, come acqua che cerca la sua strada. Non mi costruirò nessuna vita,
perché ho appena imparato ad essere la dimora di quella che è stata la mia. E
mi piace, non voglio altro.
Lecce è sempre lì, uguale a se stessa, imperturbabile e piena di ricordi. Ma
io, in qualche modo, sono cambiato. Le giornate scorrono lente, come in un
sogno, e la tua assenza è un sottofondo costante, come il canto delle cicale in
estate. Non ho smesso di pensare, anche se so che non tornerai. Scrivere a
qualcuno è l'unico modo di aspettarlo senza farsi del male. E io ti ho scritto,
lettere che non leggerai mai, parole che forse non ti raggiungeranno. Ma in
esse c'è tutto ciò che sono, tutto ciò che siamo stati.
In fondo, l'amore non ha bisogno di risposte. Vive nei silenzi, nelle
attese, nei sogni che ci facciamo di notte, quando tutto è possibile. Forse non
ci vedremo mai più, eppure, dentro di me, continuerai a camminare per le strade
di Lecce, a lasciare impronte invisibili nei miei pensieri.
C'era quella notte in cui il vento caldo di scirocco aveva smosso l'aria
ferma di Lecce, rendendo la città un giardino di profumi e sussurri. Le
persiane delle finestre, socchiuse, lasciavano entrare la luce soffusa dei
lampioni, proiettando ombre lunghe e tremolanti sulle pareti della stanza. Ero
sdraiato accanto a te, la tua pelle tiepida sotto le mie dita, il respiro calmo
che si fondeva col mio. La notte ci avvolgeva, complice, e il tempo sembrava
essere fermato, sospeso tra l'inizio e la fine.
Ti sei voltata verso di me, i capelli scomposti incorniciavano il viso come
un quadro imperfetto ma perfetto proprio per questo. Non ci siamo detto niente.
Non ce n'era bisogno. Le parole sarebbero state superflue, ridondanti, come le
note fuori posto in una melodia già perfetta. Ti ho guardato negli occhi, e in
quel momento tutto il desiderio che avevo represso per giorni, forse settimane,
ha preso vita.
Le tue mani sono scivolate lentamente sul mio petto, tracciando linee
invisibili sulla pelle, e il tuo tocco era al contemporaneo dolce e urgente,
come se avessimo tutto il tempo del mondo e, allo stesso tempo, nessuno. Io
ricordo ogni dettaglio: il modo in cui i tuoi polsi tremavano appena quando ti
avvicinavi, come se l'elettricità tra di noi fosse troppo intensa per essere
contenuta.
Ci siamo trovati, pelle contro pelle, mentre la città fuori dormiva. Le
pietre antiche di Lecce, testimonianze silenziose di amori e passioni,
sembravano trattenere il respiro con noi. Il calore dei tuoi fianchi contro i
miei, il tuo corpo che si apriva e si offriva con una naturalezza che mi ha
tolto il fiato. C'era una sorta di sacralità in quei gesti, come se stessimo
celebrando un rito antico, segreto, che solo noi conoscevamo.
Le tue labbra si sono posate sul mio collo, lente, poi più sicure, mentre le
mie mani ti seguivano, esplorando ogni centimetro di te, ogni curva, ogni piega
nascosta. Il suono del tuo respiro si mescolava ai battiti del mio cuore, che
rimbombava nelle orecchie come il tamburo di un'onda inarrestabile. Eravamo
un'onda, un flusso di energia che si muoveva, cresceva, si spandeva in ogni
angolo della stanza, di noi stessi.
In quell'istante non esisteva altro che noi. Nessun passato, nessun futuro.
Solo il presente, vivo, vibrante, che scivolava tra le nostre dita come sabbia
calda. Ogni movimento, ogni respiro era una risposta a un desiderio più grande,
più forte di qualsiasi pensiero. E quando, alla fine, ci siamo lasciati andare,
abbracciati in un silenzio carico di significato, ho capito che quel momento
avrebbe vissuto in me per sempre.
Ora, a distanza di tempo, non posso fare a meno di ricordare quella notte,
quel modo in cui le tue dita si intrecciavano con le mie, il tuo corpo che
rispondeva al mio come se fossimo due parti di un unico essere. Ogni volta che
ripenso a te, mi ritorna addosso quella sensazione: il calore, il brivido, il
respiro affannato e la pace subito dopo. Come se, per una notte soltanto,
avessimo toccato qualcosa di eterno.
Antonio Bruno
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