"Le strade che cambiano" (racconto)

 

"Le strade che cambiano"


La prima volta che ho incontrato Silvia era una mattina qualunque, una di quelle in cui ti svegli e sai già come andrà la giornata: il solito caffè al bar, le stesse strade, le stesse facce. Lecce era bellissima, come sempre, con quel suo sole che ti bacia la pelle anche se non te ne accorgi, ma quel giorno c'era qualcosa nell'aria. Mi ricordo di aver pensato che forse avrei dovuto cambiare strada, prendere una svolta diversa dal solito. Era una di quelle frasi che ti vengono in mente quando ti senti intrappolato in una routine che, a un certo punto, smette di darti piacere. Se non cambi mai strada, ti condurrai sempre negli stessi posti, dicevo tra me e me. E io non volevo più essere un esperto di abitudini.

Silvia era lì, davanti alla Basilica di Santa Croce, seduta su una panchina, con gli occhi puntati verso un punto lontano, oltre la piazza. Forse guardava l'orizzonte, o forse no. Ma c'era qualcosa in lei che mi attirava, come se quel suo sguardo sapesse già qualcosa di me che nemmeno io conoscevo ancora.

Ci siamo parlati per la prima volta senza troppa attenzione, con le parole che si scambiano tra estranei che forse non si vedranno mai più. Ma quel giorno ho deciso di cambiare strada, di farmi sorprendere da quella ragazza che non conoscevo e da cui, per qualche motivo, mi sentivo già attratto. Non era solo il suo sorriso o il modo in cui passava una mano tra i capelli; era come se il suo silenzio mi aveva già detto tutto. E io, che non avevo mai creduto al destino, ho iniziato a pensare che forse quello era il mio.

Da lì è iniziato tutto. Abbiamo iniziato a vederci, a parlare di tutto e di niente, di quanto fosse facile perdersi nelle vie strette del centro storico o di come, a volte, l'amore fosse una di quelle cose che ti prende senza chiedere permesso. Ma, a un certo punto, ci siamo resi conto che c'era molto di più. Non era solo una questione di attrazione, di chimica. Era la sensazione di avere trovato qualcuno con cui condividere tutto, anche quello che non sai di te stesso.

Silvia mi ha fatto capire che l'amore non è narcisismo. Non è guardarsi negli occhi e vedersi riflessi l'uno nell'altro come se l'altro fosse uno specchio. È condividere. È lasciare che l'altro ti mostri parti di te che non avevi mai voluto esplorare. E in questo c'è una bellezza disarmante, ma anche una paura nascosta. Perché, quando condividi tutto, diventi vulnerabile. Il legame che avevamo costruito, quella fiducia che sembrava indistruttibile, si incrinava ogni volta che uno di noi si chiudeva in se stesso, ogni volta che non riuscivamo a riconoscere l'altro.

Arriva un momento, però, in cui la condivisione finisce, e quando accade, si soffre. Perché ti rendi conto che quello che credevi un porto sicuro, un punto fermo nella tua vita, non lo è più. Non è la relazione a fare la tua identità, ma la relazione può farti sentire perso quando ti rendi conto che non è più come la pensavi. E, nel nostro caso, non lo era più.

Quando Silvia ha smesso di cercare le mie mani mentre camminavamo per le strade di Lecce, ho capito che qualcosa si era rotto. Non era un tradimento, non c'era stata una lite epica. Solo un lento scivolare via. Mi dicevo che non avrei dovuto affidare la mia identità a lei, che l'amore non era tutto ciò che mi definiva. Eppure, il rifiuto, anche se sottile, mi ha ferito. Si può piacere a tanti, ma non a quella persona che vorresti, e quando non è così, c'è una piccola frattura che senti, non solo nell'ego, ma nel cuore.

La nostra storia è finita una sera d'inverno, quando l'aria fredda ti fa sentire tutto più acuto, più vero. Silvia ha parlato poco, come sempre. Mi ha detto che non riuscivamo più a vedermi come prima, che qualcosa si era spezzato, e io l'ho ascoltata in silenzio. Ero arrabbiato, triste, ma, in fondo, lo sapevo già. Era una di quelle verità che conosci da tempo, ma non vuoi accettare.

Camminando per le strade di Lecce quella notte, mi sono reso conto che era vero ciò che pensavo quel giorno, quando tutto è iniziato: se non cambi mai strada, non conoscerai mai l'orizzonte. Eppure, a volte, l'orizzonte può far paura, perché significa lasciare andare tutto quello che conosci.

Con Silvia ho imparato che l'amore è una condivisione, un continuo mettersi in gioco, ma anche un'accettazione del fatto che nulla è eterno. Ci siamo persi, è vero, ma non era un fallimento. Era solo un'altra strada che ho preso, e chissà, forse un giorno mi porterà in un posto ancora più lontano, ancora più vasto.

Antonio Bruno

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