Nostalgia dell’Impossibile (racconto)

 Nostalgia dell’Impossibile 



Non c'è luce. Non c'è rumore. Solo il ronzio muto della notte, come un respiro profondo che sale dal buio. Sono qui, immobile, in questa stanza vuota che sembra non appartenere a nessun luogo, a nessun tempo. Mi guardo attorno, ma è come se non ci fosse niente da vedere. Non c'è passato, non c'è futuro. C’è solo questo presente che mi opprime, che mi stringe tra le sue mani vuote.

Io non credo di essere una persona nostalgica. Che cosa dovrei rimpiangere, del resto? La mia vita è stata una lunga marcia in mezzo a terre desolate, una corsa infinita contro un vento che mi spingeva indietro. Fin da quando ero bambino, ho attraversato distese di desolazione. Non c’erano "bei tempi andati", non c’era niente che somigliasse alla felicità o alla serenità. Solo un mare nero e gelido, e io che ci nuotavo dentro, senza sapere se sarei mai arrivato dall’altra parte.

Ma forse una nostalgia ce l’ho. Non del passato, perché non c’è niente da ricordare lì. No, la mia è una nostalgia diversa. È una nostalgia per qualcosa che non c’è, per qualcosa che forse non è mai esistito e non esisterà mai. È una nostalgia dell’impossibile. È come un buco che mi si è aperto dentro, che cresce ogni giorno, che si allarga e mi consuma. Desidero l’impossibile, lo sento vicino, lo sento pulsare da qualche parte, appena oltre il confine della mia percezione, ma non riesco mai a raggiungerlo.

Ci provo. Dio, se ci provo. Ogni tanto mi illudo di trovarlo. Forse in una persona, in una situazione, in una di quelle rare e sfuggenti circostanze in cui sembra che la realtà si spezzi e l’impossibile possa fare irruzione, scardinare tutto, rivelare il suo volto nascosto. Ma poi… no. Tutto crolla, tutto svanisce, e mi ritrovo solo, ancora più solo di prima. È come una ferita che non smette mai di sanguinare.

Eppure non posso fare a meno di cercarlo. Se l’impossibile finisse, finirebbe anche la mia vita. Cosa mi resterebbe da fare? Accettare questo mondo, questa realtà fredda e rigida che si stende davanti a me come un deserto senza fine? No. Se per non sentirmi solo devo aderire a una vita che non riconosco, a un'idea del mondo che mi ripugna, preferisco restare solo. Solo, ma libero. Solo, ma ancora capace di sognare.

Perché senza il sogno non c’è niente. Senza il sogno, il mondo è solo un guscio vuoto, un cadavere che si trascina avanti senza scopo. Io non posso smettere di sognare. Anche se il sogno è impossibile. Anzi, proprio perché è impossibile. È l’impossibile che mi tiene vivo, che mi dà la forza di alzarmi ogni giorno e affrontare l’abisso. E lo so, sarò solo per sempre. Ma non importa. Meglio la solitudine, meglio questo vuoto infinito, che il silenzio della resa.

Resto qui, in piedi, nel buio. Fuori non c’è niente. Dentro non c’è niente. Eppure, in questo niente, sento qualcosa. Sento che l’impossibile mi guarda. Da lontano, da un posto che non riesco a vedere, ma che so che esiste. L’impossibile è lì, e mi chiama. Forse un giorno riuscirò a raggiungerlo. Forse no. Ma non smetterò mai di camminare verso di lui, perché senza quel cammino, la mia vita non sarebbe nient’altro che cenere.

Antonio Bruno

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