"Vibrazioni di un Amore Imperfetto" (racconto) Antonio Bruno Testarda io La mia solitudine Giuliano Palma & the Bluebea...

"Vibrazioni di un Amore Imperfetto"

 

C'era una volta un uomo che vibrava di dolore per un amore che sembrava perso. Ogni suo gesto era un sussurro timido, un tocco esitante che sfiorava l'anima della donna che aveva di fronte, come se temesse di spezzare quel legame fragile che li tenevano ancora uniti. Quando la guardava, il suo cuore sorrideva, anche se lei sembrava già lontana, persa in un mondo di sogni e pensieri inaccessibili. Lui era lì, però, sempre presente, come una presenza silenziosa che non chiedeva nulla, se non di essere vicina

Sapeva che il tempo scorre, a volte impietoso, e che bastava una goccia in più di attesa per far traboccare il vaso della pazienza. Eppure, lui attendeva. Attendeva perché il suo amore non si era stancato, anche se i sensi sembravano esausti e le giornate d'inverno si allungavano all'infinito, con la luce che spariva presto, tradita dal tramonto. Aspettava, non perché fosse illuso che lei sarebbe tornata a essere quella di prima, ma perché non riusciva a smettere di amare ciò che era stata per lui. Era difficile accettare che alcune cose non tornano mai più. Come l'acqua di un fiume che scorre, pensava, non ci rendiamo conto che scivoliamo con lei, insieme, senza possibilità di fermarla.

La vita gli aveva insegnato che l'amore è sempre una scelta. Non una di quelle che si fanno una volta per tutte, ma una che si rinnova giorno dopo giorno, anche quando è doloroso. Anche quando sembra che non ci sia più speranza. Aveva imparato che per amare davvero qualcuno, doveva amare se stesso per primo. Non poteva aspettare che fosse l'altro a riempire i suoi vuoti. Non poteva aggrapparsi all'idea che l'altra persona cambiasse per rendere felice lui. Se c'era qualcosa da cambiare, era dentro di lui. Era questo che lo faceva vibrare.

Ricordava bene i primi passi della sua vita, quelli incerti, fatti con gli occhi rivolti alla madre, e poi i primi tentativi di fidarsi delle proprie gambe. Aveva camminato, era caduto, si era rialzato, sempre con la stessa voglia di scoprire il mondo, di vivere la sua vita secondo il suo ritmo. E aveva capito, strada facendo, che ogni legame, ogni amore, ogni amicizia, erano come quei passi: a volte traballanti, a volte sicuri, ma sempre suoi.

Per questo, non poteva permettere a nessuno di dirgli cosa fosse giusto per lui. Non poteva tornare indietro, a quella dipendenza che lo aveva legato agli altri, alle aspettative, ai giudizi. Aveva scelto la libertà. Aveva scelto di essere libero perché solo così poteva rispettare il suo io più autentico. E questa libertà, per quanto difficile da conquistare, era la sua forza più grande.

Forse lei non sarebbe mai tornata. Forse, quel tipo di amore che sognava non sarebbe mai stato possibile. Ma questo non significava che avrebbe smesso di amare. Perché amare, alla fine, era l'unica cosa che gli restava. Amare la vita, amare se stesso, amare persino quel dolore che lo faceva sentire vivo.

E in quel silenzio, dove le parole non riuscivano a spiegare fino in fondo il suo tormento, lui trovava una strana pace. Come quando ascoltava la loro canzone in radio e, per un attimo, si sentiva trasportato in un altro tempo, in un altro luogo, dove tutto sembrava più semplice. Poi la canzone finisce, e lui scendeva dall'auto, sapendo che non si può restare per sempre nelle emozioni. Si deve andare avanti. E aveva ragione l'amore. L'amore ha sempre ragione.

Così, ogni sera, prima di addormentarsi, pensava che avrebbe voluto scriverle ancora una volta. Dirle che non aveva mai saputo che il tempo scivolava così velocemente, come l'acqua di quei fiumi che avevano guardato insieme. Dirle che, nonostante tutto, l'amava ancora. Ma anche se non poteva tornare indietro, aveva imparato che la vita va vissuta, passo dopo passo, anche con il cuore a pezzi.

Antonio Bruno


Commenti

Post popolari in questo blog

MESCIU ANTONIU LETTERE MEJU CU LU TIENI COMU AMICU...

Gli esami di Stato del 1976

Il pensiero filosofico di Humberto Maturana: l'autopoiesi come fondamento della scienza