"L'inevitabile leggerezza dell'incontro" (racconto)
"L'inevitabile leggerezza dell'incontro"
Era una di quelle sere in cui il mondo sembrava ancora più confuso di quanto
già lo fosse. C'era quel misto di incertezza e aspettativa che ti attraversa
come una corrente elettrica sotto pelle, ma poi ti lascia stanco, disilluso.
Ero lì, seduto in quel bar che ormai conoscevo fin troppo bene, con il
bicchiere di vino davanti, mezzo vuoto, come a dire che stavo ancora decidendo
se abbandonare tutto o continuare a cercare qualcosa che non riuscivo a
definire.
Lei entrò senza far rumore. Lo spazio intorno a me cambiò, ma non per il
solito cliché da film romantico. Era piuttosto come se la sua presenza
spostasse leggermente l'asse del mio universo, facendomi sentire per un attimo
meno solo. Il mondo è stanco di incantatori bugiardi, pensai, e di gente alla
moda che sventola bandiere che neanche capisce. Ma lei sembrava diversa. O
almeno lo speravo.
La guardai, cercando di non sembrare troppo curioso. Sembrava una di quelle
persone che non vogliono appartenere a nulla e a nessuno, ma allo stesso tempo
cercano qualcosa di vero. Forse la stabilità, la coerenza, la chiarezza, che il
nostro cervello ama tanto, ma che raramente troviamo nelle persone, nei
sentimenti. Il problema è che la stabilità è nemica dell'evoluzione. E io, lo
sapevo bene, avevo paura di rimanere sempre lo stesso.
“Posso sedermi?” mi chiese, come se fosse la cosa più normale del mondo, e
forse lo era, ma sentivo qualcosa di diverso nella sua voce. Quel genere di
domanda che, a seconda di come rispondi, può cambiare tutto. Le feci cenno di
sì. Non parlammo subito. Era come se entrambi stessimo cercando di capire cosa
fare con quel momento sospeso tra noi. Come due persone che sanno che stanno
per incrociarsi, ma non sanno ancora se sarà uno scontro o un incontro.
“Cosa cerchi?” mi chiese a un certo punto, senza preavviso. Era una domanda
che mi aveva sempre fatto paura. Cosa cercavo, davvero? Amore? Sicurezza? O
semplicemente qualcuno con cui non sentirmi sbagliato? Le risposi con un’alzata
di spalle. Non lo sapevo. Non lo sapevo mai. Eppure ero lì, con lei, e forse
questo era già qualcosa.
“Non è così che funziona,” disse, “Non è cercando di capire che troverai la
risposta.” Rimasi in silenzio, ma dentro di me sapevo che aveva ragione. La
mente ama gli schemi ricorrenti. Lo schema dell'estate con il mare, le vacanze,
il caldo. Lo schema dell’amore con le promesse, le cene romantiche, i messaggi
della buonanotte. Ma la vita è fatta di mancanze. Quando uno schema manca di un
pezzo, cerchiamo di aggiungerlo noi, anche se non combacia.
“E tu? Cosa cerchi?” le chiesi a mia volta, più per riflesso che per vera
curiosità. Lei mi guardò, e in quel momento capii che anche lei non aveva una
risposta definitiva. Forse nessuno ce l'ha. Forse ci affidiamo continuamente a
copioni e stereotipi solo per risparmiare energia mentale.
“Io cerco qualcosa che non sia un riflesso di quello che dovrei volere,”
disse, guardando il bicchiere davanti a sé. “Non lo so ancora cosa voglio
davvero, ma so cosa non voglio più.”
Il mondo dimentica, mi dissi, il mondo dimentica tutto. E in quel momento
capii che anche noi, seduti lì, con i nostri bicchieri mezzi vuoti, stavamo
cercando di dimenticare qualcosa. La solitudine? Le aspettative non
soddisfatte? O forse solo la paura che, in fondo, anche questo fosse solo
l’ennesima illusione.
Ma c’era una cosa che non potevo ignorare: adesso, quando ero solo, non ero
mai davvero solo. La sua presenza lo rendeva evidente, mi metteva di fronte a
un'altra possibilità. Forse la chiave non era capire tutto subito, ma lasciar
accadere le cose, permettere alle condizioni di rendere possibile
l'inevitabile.
E così restammo lì, a parlare di tutto e di niente, sapendo che nessuna
risposta sarebbe arrivata quella sera, ma che forse, proprio per questo,
eravamo più vicini a trovarla.
Antonio Bruno
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