Intervista al Dott. Antonio Bruno sul principio di giustizia

 

Intervista al Dott. Antonio Bruno sul principio di giustizia 


Intervistatore: Dott. Bruno, il tema della ridistribuzione della ricchezza e della gestione dei beni comuni è sempre attuale. Lei ha sottolineato che, quando un cittadino chiede di ottenere qualcosa, si aspetta che i prescelti rispondano a questa richiesta, anche se va contro il principio di giustizia. Puoi approfondire questa riflessione?

Dott. Antonio Bruno: Certamente. Il problema principale è che spesso i cittadini si rivolgono alle istituzioni con una mentalità che potrebbero definire "familistica". Quando votano, non si aspettano che i politici scelti li servano per il bene comune, ma piuttosto sperano che facciano favori personali o familiari. Questo fenomeno, purtroppo, ha radici profonde nella nostra cultura patriarcale e competitiva, dove il legame familiare viene spesso anteposto alle regole e alla giustizia.

Intervistatore: La cultura del familismo, come da lei descritta, sembra quindi in contrasto con l'imparzialità della giustizia. Può spiegarci come questo fenomeno influisce sulla vita pubblica e sulle istituzioni?

Dott. Antonio Bruno: Il familismo è, di fatto, una torsione pericolosa del sistema. Si traduce in una gestione pubblica che diventa un'appendice della propria parte o della propria famiglia, piuttosto che un servizio a beneficio di tutti. Questo porta a una distorsione delle istituzioni, dove le regole e la legge vengono rispettate solo quando non mettono in discussione la fedeltà ai legami familiari o politici. L'idea di Hobbes di separare la sfera personale da quella pubblica, attraverso l'uso della "maschera della sovranità", è oggi minacciata da questo ritorno al familismo. L'etica pubblica, in questo contesto, viene sacrificata sull'altare degli interessi di parte.

Intervistatore: Ha menzionato Platone e Hobbes, due giganti del pensiero politico. Come si inserisce la loro visione in questo discorso?

Dott. Antonio Bruno: Platone considerava la famiglia e la proprietà come ostacoli al perseguimento del bene comune. La sua visione radicale non trova riscontro diretto nella modernità, ma Thomas Hobbes, che possiamo considerare il primo teorico dello stato moderno, ha capito l'importanza di isolare le istituzioni dagli affari personali e familiari. Questo per evitare che i sentimenti o gli interessi particolari prevalgano sull'interesse generale. Oggi, tuttavia, assistiamo a una sorta di inversione di questa concezione, con la politica che si piega agli interessi di famiglia o di partito, alimentando il familismo e la corruzione.

Intervistatore: Secondo lei, come si può uscire da questa spirale del familismo?

Dott. Antonio Bruno: Bisogna prima di tutto cambiare la nostra cultura. Dobbiamo abbandonare la competizione sfrenata che deriva dal patriarcato e abbracciare una cultura della collaborazione e dell'inclusione. Finché continueremo a dare priorità alla fedeltà alla famiglia o al partito, la giustizia e le regole non verranno mai pienamente rispettate. Dobbiamo, come cittadini, pretendere che chi ci rappresenta agisca nell'interesse comune e non in quello di pochi privilegiati.

Intervistatore: A proposito di fedeltà, lei ha fatto riferimento a un episodio recente che riguarda la presidente del Consiglio e la sua fiducia nelle forze dell'ordine. Potete raccontarci meglio?

Dott. Antonio Bruno: Sì, è un esempio significativo di questa torsione familiare. Il presidente del Consiglio ha espresso dubbi nei confronti delle forze dell'ordine che lavorano a Palazzo Chigi, preferendo circondarsi di persone di sua fiducia, una sorta di "guardie pretoriane". Questo atteggiamento tradisce una mancanza di fiducia nelle istituzioni statali e suggerisce che la fedeltà personale conti più delle competenze e del rispetto delle regole. Questo è il cuore del problema: quando la fedeltà a una parte diventa il criterio principale, la legge e l'imparzialità vengono messe in secondo piano.

Intervistatore: Lei ha menzionato anche il caso di Matteo Salvini e il suo attacco alla magistratura. Pensa che episodi di questo genere riflettono una crisi più ampia nelle istituzioni?

Dott. Antonio Bruno: Assolutamente sì. L'attacco di Salvini alla magistratura, con il sostegno della presidente Meloni, è emblematico di un atteggiamento familistico che vede la legge come un tentativo di ostacolare, piuttosto che come un principio da rispettare. Quando si arriva a contestare la legalità in nome di una presunta fedeltà alla nazione o al proprio elettorato, si scivola verso una pericolosa delegittimazione delle istituzioni. La legge dovrebbe essere imparziale, e chi governa dovrebbe essere il primo a rispettarla. Tuttavia, quando si privilegiano i propri interessi o quelli della propria parte, la corruzione e il malcostume diventano inevitabili.

Intervistatore: Il sociologo Edward Banfield ha parlato di "familismo amorale" nel suo studio sulle società arretrate. Crede che questo concetto si applichi anche all'Italia di oggi?

Dott. Antonio Bruno: Banfield parlava di una gestione del bene pubblico modellata sui valori arcaici e privati ​​del clan, e credo che il suo concetto di "familismo amorale" sia purtroppo ancora attuale in Italia. Certo, il suo studio fu critico per il suo approccio paternalistico, ma non possiamo negare che molti dei comportamenti che descriveva si manifestano ancora oggi. Il familismo amorale si traduce in una sfiducia verso chi afferma di agire nell'interesse pubblico e in una tendenza a privilegiare i propri interessi a discapito della collettività. È una sfida che dobbiamo affrontare con serietà se vogliamo costruire un futuro più giusto e democratico.

Intervistatore: Grazie, Dott. Bruno, per questa analisi approfondita e lucida. Vuoi aggiungere un ultimo commento?

Dott. Antonio Bruno: Vorrei solo ribadire che il cambiamento parte da ciascuno di noi. Se continuiamo a tollerare il familismo ei favoritismi, non faremo che alimentare un sistema corrotto e ingiusto. Dobbiamo cambiare mentalità e pretendere che la politica torni a essere servizio per il bene comune.

 

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